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Medicina, il governo sbaglia il test

Nel comunicato sul via libera alla manovra viene annunciata l'abolizione del numero chiuso. Ma la sorpresa non piace a nessuno. Nemmeno ai ministri interessati, che correggono il tiro

17/10/2018
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il manifesto

Andrea Capocci

Il comunicato stampa con cui il governo annuncia l’accordo sulla manovra economica contiene una sorpresa: «Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi», recita testualmente il punto n. 22. Sarebbe una rivoluzione: quest’anno ai test di ammissione si erano presentati in 67 mila per 10 mila posti disponibili. Ma a essere colti di sorpresa sono soprattutto i ministri interessati, che prima dichiarano di non saperne nulla, poi correggono il tiro: «Aumentare sia gli accessi sia i contratti delle borse di studio per Medicina (…) è un auspicio condiviso da tutte le forze di maggioranza», ma si procederà «per gradi», recita un comunicato congiunto. Il disegno di legge di bilancio licenziato dal governo però non è ancora noto, e bisognerà aspettare il testo per capire cosa si preveda esattamente.

Le motivazioni per allargare l’accesso alle facoltà mediche ci sarebbero tutte. Nei prossimi cinque anni andranno in pensione circa 35 mila medici dipendenti del sistema sanitario nazionale, e in molti settori (pediatria, ginecologia, chirurgia in testa) ne verranno rimpiazzati poco più della metà. Inoltre, le associazioni degli studenti da sempre contestano la restrizione al diritto allo studio, e in diverse occasioni i tribunali amministrativi hanno dato loro ragione.
Eppure, l’annuncio non piace a nessuno. Secondo Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei Rettori, si può arrivare al massimo a 15 mila posti. Oltre quella cifra ci sarebbero problemi nel reperire le strutture, le aule e i docenti necessari. Non piace ai vari ordini dei medici, perché il vero collo di bottiglia riguarda le borse di studio post-laurea per gli specializzandi (solo 7 mila) e secondo loro allargare l’accesso restringerebbe ulteriormente l’imbuto. Persino gli studenti si dichiarano scettici. L’Unione degli Universitari, da sempre contraria al numero chiuso, oggi invece critica l’annuncio perché, dice il coordinatore Enrico Gulluni «non si fa un minimo accenno alla copertura economica e agli investimenti che si devono fare per attuare una simile manovra».

Questo è il punto sottolineato un po’ da tutti. Il numero chiuso è stato introdotto con la legge 264 del 1999 per ottemperare alla normativa europea che riconosce il titolo di studio solo se gli atenei garantiscono standard minimi di qualità. E con le risorse attuali assicurarli è impossibile, se non restringendo l’accesso. Ma ci sono altre soluzioni. La stessa ministra Grillo, che oggi si dice sorpresa, meno di un mese fa proponeva il superamento del numero chiuso e l’adozione del sistema francese, in cui l’accesso è libero ma la selezione avviene durante gli studi. Ma è un sistema costoso e necessita di investimenti. Così come, per non stipare migliaia di studenti nelle aule, servono concorsi per assumere docenti. Soprattutto, occorrono risorse per finanziare un maggior numero di specializzazioni e reclutare medici per garantire un servizio sanitario già in grosse difficoltà.
Lo ribadisce anche Stefano Guicciardi, presidente di Federspecializzandi, che riunisce gli specialisti in formazione: «Per coprire il fabbisogno annuale servirebbero circa 8500 nuovi medici, mentre le borse di studio per gli specializzandi sono meno di 7mila». E i 1500 laureati che restano fuori sono proprio quelli che mancano alla sanità. Invece di investire di più, dice Guicciardi, «la maggioranza pensa a un doppio canale formativo» affiancando alle scuole i cosiddetti teaching hospitals, strutture accreditate dal sistema sanitario in cui è più difficile verificare la qualità della formazione.


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