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«Medicina, dal 2019 basta test» Al via la legge che apre i corsi

La maggioranza non ha alcuna intenzione di abbandonare quell'obiettivo e anzi vuole portare a casa il risultato entro il 2019

04/11/2018
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Il Messaggero

ROMA Quando a metà ottobre era parso che la decisione potesse essere già operativa con la manovra, era scoppiato un mezzo caos. E giù con i ministri competenti, quello dell'Istruzione Marco Bussetti e quella della Salute Giulia Grillo, a spiegare che l'abolizione del numero chiuso e dei test d'accesso alla facoltà di medicina erano per il momento «un auspicio», un traguardo da raggiungere sì, ma «gradualmente». 
Cambiare le regole ex abrupto, insomma, avrebbe creato scompiglio ad anno accademico in corso. Ma la maggioranza non ha alcuna intenzione di abbandonare quell'obiettivo e anzi vuole portare a casa il risultato entro il 2019: dal 12 novembre, infatti, le commissioni congiunte Istruzione e Affari sociali della Camera cominceranno l'esame delle proposte di legge che si occupano di questo argomento. 
I DOCUMENTINe sono state depositate varie, comprese quelle di Fratelli d'Italia e del Pd, oltre a una - l'ultimissima - presentata dal consiglio regionale del Veneto. Ma, soprattutto, ce ne sono due che portano la firma di esponenti della maggioranza gialloverde: una la propone l'attuale capogruppo alla Camera del M5s, Francesco D'Uva, e l'altra il deputato leghista, Paolo Tiramani. 
Entrambe guardano al modello francese. Cosa prevede? Ecco come il pentastellato lo sintetizza nella relazione che accompagna il suo ddl. L'ingresso alle facoltà di medicina «è consentito a tutti gli studenti, indipendentemente dal loro tipo di istruzione secondaria e senza la necessità di alcuna selezione» almeno per l'ammissione al primo anno del corso di studi. Al termine però si svolge «un concorso utile a determinare la reale attitudine dello studente a proseguire il proprio percorso». In pratica, tutti accedono al primo anno ma alla fine si deve superare un test per proseguire nella facoltà di medicina.
CRESCITA CULTURALEPer Luigi Gallo, presidente M5s della commissione Cultura di Montecitorio, è «il momento di pensare che l'università è un luogo in cui c'è una crescita culturale dei cittadini e non soltanto dove ci si forma per l'inserimento nel mondo del lavoro». 
L'idea, spiega, è quella di fare un esame approfondito, non soltanto delle proposte di legge presentate, ma anche dei punti di vista. «Per quanto riguarda i tempi - prosegue Gallo - tutta la commissione è disponibile a un confronto ampio, quindi ci saranno lunghe audizioni. Partiamo il 12 e ci sarà una fase di ampio ascolto ma l'obiettivo per noi è chiaro ed è aumentare il numero di laureati nel nostro paese e per questo abbiamo tre leve da utilizzare: una è il superamento del numero chiuso, l'altra è l'aumento della no tax area e il terzo è avviare in Italia la rivoluzione dei Mooc, le lauree digitali che già Harvard e Yale stanno attuando».
TEMPI STRETTIL'obiettivo, comunque, è quello di varare le nuove regole in tempo per il prossimo anno accademico. «Il nostro orizzonte - conferma Paolo Tiramani - è quello dell'anno scolastico 2019-2020» anche se sappiamo che «andremo a scontraci con qualche lobby perché c'è chi sui corsi di preparazione fa un vero e proprio business, quindi l'abolizione de plano dà fastidio a qualcuno».
Su questa linea la Lega è assolutamente sulla stessa lunghezza d'onda dei colleghi di governo. «È una sintonia di buon senso, non si può vincolare il percorso formativo di una persona a un test secco che si svolge in un solo giorno. Io l'ho sempre vista come una ingiustizia», insiste Tiramani. Secondo cui, però, è corretto che prima della questione dell'abolizione del test di accesso sia stato affrontato il tema delle scuole di specializzazione. «Quella è una emergenza ancora più importante perché il vero problema è che ogni anno vanno in pensione molto più medici di quelli che vengono specializzati», «in questo la risposta della legge di bilancio è fattiva perché vengono finanziati 900 corsi di specialità in più» e anche se «non colma tutto il gap che è quasi di tremila unità» si tratta di «un notevole passo in avanti». 
Barbara Acquaviti


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