Maturità più facile? Anche no, grazie
Ennesima riforma della riforma. Ma si spera che l’esame resti un grande rito di passaggio
Alberto Mattioli
L'esame di maturità
è uno di quegli argomenti di cui non bisognerebbe mai parlare, figuriamoci scrivere. Ogni generazione rinfaccia a quella seguente il fatto che l’esamone degli esamoni non è più quello di una volta, cioè la sua, quando sì che era una cosa seria, non ci si dormiva la notte, la commissione era di una severità che arrivava al sadismo e via risalendo fino alla notte dei tempi, magari non ai maturandi romani che almeno avevano il vantaggio di non dover studiare il latino. Insomma, si rischia davvero di sembrare più anziani di quanto si è e di risultare più acidi dei due vecchietti del Muppet Show.
La notizia del giorno è che alla maturità del ’18 si potrà essere ammessi con la media del 6, quindi non sarà più richiesta la sufficienza in tutte le materie come avveniva finora. E poi allo scritto le prove non saranno più tre ma due e all’orale sarà abolita la tesina. Morale: sia l’ammissione che l’esame diventano più facili, o meno difficili.
Ora, chi scrive è così bacucco da aver dato la maturità classica quando ancora i voti erano in sessantesimi, e così stordito da esserne uscito, forse l’unico studente italiano dai tempi di Gentile, con un assurdo 59 (era l’anno, se ricordate, nel quale i cervelloni del ministero sbagliarono clamorosamente a «tagliare» la versione di greco, che risultò quindi in pratica intraducibile: io presi 1). Il che significa che ormai pateticamente anziano per commentare le tumultuose novità che la scuola italiana sforna ogni due per tre. Inoltre se c’è qualcosa su cui si sfogano le smanie riformistiche di insegnanti, pedagogisti, deputati e ministri è appunto l’esame di maturità, e si vuol credere che l’ennesima riforma della riforma non sia fatta caso ma lungamente ponderata.
Inutile quindi rinfacciare ai maturandi di oggi le pene dei maturi di ieri, tanto più che ieri come oggi la percentuale dei promossi è tranquillamente superiore al 90%. E tuttavia si spera e prega che l’esame non diventi troppo facile. Intanto perché è, o era, una delle poche prove serie esistenti in questo Paese. E poi perché, se nella vita gli esami non finiscono mai, questo era davvero una pietra miliare, un rito di passaggio, la prima avvisaglia che si diventava «grandi» e che, insomma, il tempo delle mele e del cazzeggio non sarebbe durato per sempre. Forse per la prima volta, ci si scontrava con la realtà, che è anche prova, selezione, talvolta delusione. Che è poi la ragione per cui da adulti si ricorda la maturità con un sollievo intenerito che diventa quasi nostalgia.
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