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Manifesto-Se sapere fa rima con lavoro

Se sapere fa rima con lavoro Incontro ravvicinato fra Cofferati e un gruppo di intellettuali: su lavoro e cittadinanza, saperi e poteri, contro la democrazia padronale IDA DOMINIJANNI - ROMA ...

19/03/2002
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il manifesto

Se sapere fa rima con lavoro
Incontro ravvicinato fra Cofferati e un gruppo di intellettuali: su lavoro e cittadinanza, saperi e poteri, contro la democrazia padronale
IDA DOMINIJANNI - ROMA

Sala stracolma, platea di qualità. Non solo perché l'iniziativa, partita da Alberto Asor Rosa, di un incontro fra Sergio Cofferati e un buon numero di intellettuali per discutere di come si ricostruisce un ponte fra saperi e lavoro ha richiamato alla Residenza di Ripetta molti e qualificati esponenti della cultura italiana e molti e qualificati esponenti della Cgil (pochi o niente invece i politici di partito, e qualcuno nota segnatamente l'assenza di esponenti del "correntone" e della sinistra Ds). Ma anche perché è di qualità l'asse del discorso. Alla vigilia della manifestazione del 23, nonché antivigilia dello sciopero generale ("Verificheremo se ci sono, come io credo e spero, le condizioni per uno sciopero unitario", dirà a margine del convegno Cofferati), non si tratta solo di testimoniare solidarietà alla Cgil e ai lavoratori che rischiano, sull'articolo 18, la perdita di un diritto cruciale. Si tratta di unire con una linea - analitica, prima che politica - quello che finora è rimasto diviso, anche nei movimenti che tornano a affollare la scena. E cioè: questione democratica e questione sociale, rischio di regime e pratica padronale del governo, diritto del lavoro e diritti di cittadinanza. E ancora: saperi e lavoro, che da troppo tempo, cioè da ben prima dell'era Berlusconi2, hanno preso a divaricare: perché, come dice Giacomo Marramao, è stato simmetrico e contemporaneo l'esodo del centrosinistra, e della sinistra di governo in particolare, dalle problematiche del lavoro e dalle problematiche dei saperi, e lo è stato - a proposito di modernità - proprio nell'epoca in cui più che mai lavoro e saperi si intrecciano nella produzione e nella riproduzione sociale. O il canale fra cultura e lavoro si riapre, dirà Mario Tronti, o la capacità della sinistra di fare presa sulla realtà non si risveglierà.
Della necessità di riaprirlo, la Cgil di Cofferati sembra da qualche tempo convinta, e a questo è affidata la buona riuscita non solo di questo primo incontro, ma di altri che seguiranno se - auspica Asor Rosa -lo stesso Cofferati si convincerà che una pratica di relazione fra mondo della cultura e mondo del lavoro deve attivarsi in modo continuativo, e non restare affidata all'emergenza dei momenti di scontro estremo come in questi giorni. La richiesta è d'obbligo ed è tutt'altro che rituale, perché dalla parte degli intellettuali qui riuniti c'è, esplicita ancora Asor, "delusione e frustrazione" per l'andamento del rapporto con la sinistra negli anni che abbiamo alle spalle. Dunque, quel rapporto è tutto da ricostruire. Cofferati risponderà con un sì, promettendo - pur senza nominare la Fondazione Di Vittorio cui sembra volersi dedicare prossimamente - che è a questa ricostruzione che intende lavorare nel prossimo futuro. Quanto all'altra apertura di credito che Asor Rosa gli consegna - "la Cgil e il suo segretario ci hanno restituito quel segno della dignità dell'agire politico che credevamo di avere smarrito" -, Cofferati incassa, sottolinea due volte come dire "no" sia stato a un certo punto necessario non per conservatorismo ma perché non si può cedere alla distruzione "di alcuni pilastri del patto sociale", ma non lascia spazio - per ora - ad alcuna investitura politica: "l'ho detto e lo ripeto, non deborderemo dal nostro ruolo, una organizzazione sindacale non può supplire alle mancanze della rappresentanza politica". Né, da parte loro, intendono debordare gli intellettuali qui riuniti: "non fonderemo un nuovo partito né un nuovo movimento", sottolinea Asor Rosa a scanso di equivoci.
L'impegno a esserci - "in questo momento resistere è necessario per esistere", dice Luigi Mariucci, giuslavorista e ex assessore emiliano, tutt'altro che conservatore, alle riforme istituzionali - però c'è ed è forte. Si basa su una speranza - Lidia Ravera: "che la manifestazione del 23 mi faccia dimenticare per sempre la marcia dei 40.000 dell'80" - e su una convinzione. La convinzione, per dirla con Rossana Rossanda, è che la manifestazione del 23 "ci riguarda tutti come cittadini". Perché le minacce che gravano sull'articolo 18 sono solo la punta dell'iceberg, la "cartina di tornasole" (Mariucci) di un progetto più vasto che dalla demolizione di un diritto del lavoro punta alla demolizione della cittadinanza, sotto il segno - insiste Rossanda - di una democrazia senza Costituzione, modellata sull'impresa e sul solo criterio dell'efficienza e della competitività. Il segno del padrone, appunto. La democrazia dell'imprenditore che s'è fatto Presidente (del consiglio per ora, e domani chissà che no n arrivi al Quirinale). E che non è un personaggio impazzito del folklore italiano, ma - sottolinea Tronti - un pezzo della destra europea.
E' "regime" una democrazia siffatta? Sul podio tutti pronunciano il termine con cautela: ma se regime non è, dicono, è certo una democrazia deformata fino allo sfiguramento. Cofferati scende nel dettaglio della deformazione. Parte dalle deleghe che il governo s'è preso in materia di ambiente, fisco, previdenza, scuola e mercato del lavoro, e dice che bastano a smantellare pezzo per pezzo non solo lo stato sociale, ma alcune forme basilari della democrazia politica. Perché, delega su delega, si cancella il confronto con le parti sociali e si esautora il ruolo del parlamento: corpi intermedi e rappresentanza politica saltano tutt'e due, e resta non il cittadino libero, come dice la retorica di governo, ma il consumatore solo, a confronto con il governo-padrone. Altro che concertazione: alla provocazione di Tronti - che essa, da pratica sindacale, rischi di diventare prassi del moderatismo politico- Cofferati risponde che la concertazione, quella sindacale, è già stata resa impraticabile da un governo che nelle riunioni ufficiali dice una cosa alle controparti, mentre nella stanza a fianco un ministro ne dice un'altra alle tv. Quanto all'auspicio sempre di Tronti, che la battaglia sull'articolo 18 chiuda la stagione difensiva per aprirne una di contrattacco, Cofferati lo traduce in un invito più mansueto a saper essere propositivi, e garantisce che le proposte alternative del sindacato alla politica del governo ci sono e verranno a tempo debito, quando si tratterà di lavorare per estendere i diritti ai lavoratori non garantiti, "ma questo è il momento di dire no, perché sull'articolo 18 c'è una diga che sta crollando e l'acqua rischia di travolgere tutti". Senza neanche la garanzia di più certe dighe europee, perché a Barcellona, continua il leader della Cgil, la strategia reazionaria della precarizzazione ha bloccato la strategia riformista della "società della conoscenza" che era stata delineata a Lisbona. E l'Europa che non vuole l'Europa, e non voleva la Carta europea dei diritti - che, vale ricordarlo e non solo incidentalmente, contrasta frontalmente con l'abolizione dell'articolo 18 - , rischia adesso di diventare maggioritaria.
"Iniziativa demagogica" aveva scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corsera bollando in anticipo l'incontro di Ripetta: evidentemente perché, ribatte Marramao, "in Italia ormai è ammessa solo l'opposizione di Sua Maestà". Di demagogico in verità c'è assai poco, la strada rimanendo impervia e tutt'altro che popolare. Però Cofferati esce dalla sala sentendosi, dice, meno solo che nei mesi passati, "quando i segnali c'erano già tutti ma un incontro così sarebbe stato impensabile". E l'ex ministro dell'istruzione Tullio De Mauro ne esce più speranzoso: "noi siamo qui per aiutare la Cgil, ma nel mondo della scuola e dell'università speriamo che stavolta la Cgil sappia ricambiarci".