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Manifesto-Scuole di eccellenza, una riforma ineludibile

UNIVERSITA' Scuole di eccellenza, una riforma ineludibile MICHELE CILIBERTO* Il nostro è un curioso paese: anche le idee più innovative possono morire prima ancora di crescere, riducendosi a grig...

30/12/2005
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il manifesto

UNIVERSITA'
Scuole di eccellenza, una riforma ineludibile
MICHELE CILIBERTO*
Il nostro è un curioso paese: anche le idee più innovative possono morire prima ancora di crescere, riducendosi a grigi testimoni di una politica sostanzialmente conservatrice. Il caso delle "Scuole di eccellenza" è un esempio clamoroso di questo tratto tipico della nostra vita nazionale: nate per rinnovare l'Università e rafforzare il campo della ricerca in Italia, rischiano di diventare qualcosa di profondamente diverso da quello per cui erano state pensate. E' paradossale, ad esempio, che esse stiano mettendo in difficoltà di ogni genere - a cominciare da quelle finanziarie - proprio quelle Università che avrebbero dovuto contribuire a rafforzare, adeguandole alle esigenze complesse e raffinate della società contemporanea. Giustamente l'Unità, a suo tempo, ha richiamato l'attenzione su questo punto, con un articolo di Valeria Giglioli del 13 novembre, in cui viene sottolineato come l'Università e i beni culturali siano profondamente penalizzati dalla nuova legge finanziaria, con tre sole eccezioni, l'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e due "Scuole di Studi avanzati", una a Firenze, l'altra a Lucca, quest'ultima nata per impulso del Presidente del Senato. Si tratta di una decisione durissima per l'Università italiana, che viene colpita in uno dei suoi gangli vitali: il rapporto, costitutivo e programmatico, fra ricerca e didattica, cioè il pernio intorno al quale hanno girato gli studi superiori in Italia, fin dall'unità nazionale.

Alla crisi di questo rapporto si è arrivati anche per il costituirsi e lo svilupparsi della cosiddetta Università di massa, soprattutto negli anni `60 e `70 del secolo scorso. Non c'è però dubbio che questo processo si sia fortemente accelerato in tempi più vicini a noi, nonostante gli sforzi fatti per tenere insieme il binomio di ricerca e didattica, via via adeguandolo alle tumultuose trasformazioni degli ultimi decenni. La stessa distinzione delle lauree in triennale e specialistica, da un lato; e il potenziamento dei dottorati di ricerca dall'altro - nuclei centrali della politica universitaria di Luigi Berlinguer - avevano precisamente questo obiettivo principale. Ma le cose, anche per i limiti dell'azione riformatrice dello stesso Berlinguer, sono andate in un'altra direzione: il quadro che abbiamo oggi di fronte è quello di una progressiva e irreparabile separazione tra didattica e ricerca.

Quello che si viene imponendo è - si dice - il modello delle research universities, autonome e finanziate dallo Stato, con una progressiva, ma inesorabile, trasformazione delle Università di massa in puri luoghi di trasmissione di un sapere prodotto in altre sedi. E' un processo che deve essere duramente contrastato, in primo luogo dalle forze riformatrici e di sinistra, spazzando via gli equivoci che si annidano su questo terreno, a cominciare da quello sulla questione del "merito".

L'Università deve essere imperniata sul riconoscimento del merito: su questo non c'è alcun dubbio, a patto di non cadere in forme di retorica che celano solamente la salvaguardia dell'esistente e la sostanziale immobilità delle classi sociali e delle élites dirigenti nel nostro Paese. Il primato del merito, oggi di moda, si deve accompagnare all'osservanza del principio costituzionale che obbliga la Repubblica a mettere tutti i suoi cittadini in condizioni di partenza omogenee e non predeterminate da privilegi di potere o di classe. E' solo a questo patto che il merito diventa un elemento decisivo della mobilità democratica del Paese, incrinando barriere sociali e culturali consolidate. Concepito in modo diverso, il merito diventa invece solamente la leva per rafforzare, in forme nuove, antichi privilegi.

E' curioso che un Paese come l'Italia, nel quale hanno operato straordinari educatori e teorici della scuola come Rodolfo Mondolfo e nel quale agli inizi degli anni `60 è stata compiuta quella vera e propria rivoluzione - frutto di mezzo secolo di battaglie - che è la scuola media unica, è singolare, dicevo, che il livello e il fronte della discussione sia così arretrato, perdendo quelle che erano diventate verità elementari, quasi senso comune. Certo, in questo spostamento di asse e di orizzonte culturale hanno inciso i processi di modernizzazione del Paese e le varie ideologie che ad essi si sono accompagnate. Ma il punto di fondo è precisamente questo: la concezione e il segno complessivo della modernizzazione. Nella storia italiana si sono costantemente intrecciate, in modi inestricabili, grandezza e miseria, su tutti i piani, compreso quello della scuola e dell'Università.

Il problema delle forze riformatrici è stato, e resta, quello di orientare quel sottile confine verso il primo e non il secondo corno del dilemma; né c'è alcun dubbio, da questo punto di vista, che la separazione tra ricerca e didattica e la riduzione dell'Università di massa a subalterno strumento di trasmissione di saperi istituiti altrove potenzi gli elementi di miseria della storia nazionale, favorendo una modernizzazione che, invece di porsi come elemento di mobilità democratica, si configura come leva di stagnazione sociale e culturale.

Intendiamoci: io sono persuaso che le "Scuole di eccellenza" siano importanti, e che la loro istituzione e il loro sviluppo sia richiesto dal livello che la ricerca in Italia deve assumere, se vogliamo essere all'avanguardia sul piano internazionale. La ricerca deve essere una delle grandi risorse del paese. Quello su cui bisogna confrontarsi, e discutere, è il "sistema" in cui le Università e le "Scuole di eccellenza" devono essere inserite, con una audace politica di carattere riformatore. E' necessario, infatti, sapere andare oltre i vecchi confini della ricerca in Italia, misurandosi con le nuove realtà che sono emerse negli anni di crisi dell'Università e che con l'Università possono - e debbono - collaborare, dando vita a un nuovo sistema "integrato" della formazione e della ricerca. Sono molti gli Istituti di alta cultura che oggi in Italia sono scesi nel campo dell'alta formazione e della ricerca, dotandosi di Scuole di eccellenza i cui diplomi, in molti casi, sono equipollenti ai diplomi di dottorato di ricerca rilasciati dalle Università italiane.

E' un patrimonio eccezionale, che in Italia poco si conosce - eccezionale per le biblioteche spesso uniche al mondo di cui questi Istituti dispongono, per le attrezzature informatiche, per le collane editoriali che essi promuovono e che sono, nei loro rispettivi campi di ricerca, all'avanguardia della ricerca internazionale.

E' solo un esempio; ma il paese deve potersi giovare, con gli altri, anche di questo patrimonio - accumulato a volte lungo molti secoli. E ciò sarà possibile solo se si darà mano a un nuovo sistema integrato dell'alta formazione che abbia i suoi pilastri nell'Università, nelle Scuole d'eccellenza, negli Istituti di alta cultura e nelle altre strutture che via via nasceranno. E' un problema di ordine sia culturale che istituzionale che può essere risolto con efficacia sulla base di nuove forme di collaborazione fra Ministero dell'Università e della Ricerca, da un lato, e Ministero per i Beni e le Attività culturali, dall'altro, con una politica riformatrice di ampio respiro, imperniata su un equilibrato, rigoroso e non clientelare uso delle risorse.

Solo in questo modo - ripensando l'alta formazione e la ricerca in termini di sistema, e tenendo fermo al tempo stesso il binomio di didattica e ricerca -, sarà possibile avviare una politica effettivamente riformatrice. Ma il nostro, come si sa, non è un Paese normale: da noi non si lavora cercando le necessarie sinergie: l'Università è in uno stato precomatoso; gli Istituti di ricerca hanno l'acqua alla gola; due sole "Scuole di eccellenza" - di cui una patrocinata dal Presidente del Senato - sono state finanziate ciascuna con 1,5 milioni di Euro ogni anno. Come hanno scritto Luciano Modica e Marta Rapallini, "dopo le leggi ad personam, le Università ad personam". Contrastare tutto questo è uno dei massimi banchi di prova di una politica riformatrice nel nostro paese.

* presidente dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento


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