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Manifesto: Quando la frontiera arriva sui banchi di scuola

Marina Boscaino Il caso della scuola Pisacane di Roma: la maggioranza è straniera

26/02/2009
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il manifesto

ROMA
Deve essere proprio una persona terribile Nunzia Marciano, dirigente scolastico della scuola elementare Carlo Pisacane di Roma, tra Torpignattara e Pigneto, borgate storiche della capitale. In quel circolo didattico, su 374 iscritti, 213 bimbi non hanno cittadinanza italiana. Tra loro 144 sono nati in Italia. 23 le nazionalità presenti. La percentuale colpisce, ma dà il senso della realtà multietnica di uno dei municipi della capitale con più antico e stabilizzato flusso migratorio. Sono i nuovi italiani di seconda generazione, figli di gente perbene che viene nel nostro paese a lavorare per guadagnare il diritto ad una vita dignitosa e meno deprivata.
La Marciano è accusata delle peggiori nefandezze. E - dulcis in fundo - pare che in autunno sia stata persino fiera avversaria della cosiddetta «riforma Gelmini». C'è da giurare che sia inorridita all'idea delle impronte digitali e persino alla proposta Cota delle classi neo-differenziali: roba dell'altro mondo! Una vera sovversiva. Per capire di che tipo si tratti, lei, ostinata a difendere il diritto di tutti di frequentare la scuola al di là delle etnie, delle provenienze, del colore della pelle, delle fidi religiose, ecco qualche stralcio della lettera aperta che le illuminate genitrici hanno inviato al ministro dell'Istruzione e ai parlamentari. «I nostri figli hanno diritto ad avere amichetti con cui giocare anche al di fuori dell'orario canonico, mentre le comunità di stranieri presenti nel nostro istituto sono chiuse e non si lasciano frequentare. Hanno diritto ad andare in gita scolastica, mentre per la stessa ragione e, probabilmente, anche per motivi economici, i bambini stranieri nel nostro istituto non possono mai partecipare ai viaggi: niente città d'arte, nessun soggiorno sulla neve: non si raggiunge mai il numero minimo per partire. I nostri figli hanno diritto a vedere un presepe con il bambin Gesù, la Madonnina e San Giuseppe, mentre il "villaggio globale" organizzato lo scorso anno aveva moschee, minareti e donne in burka mischiati a pastori e Re Magi» (...) «I nostri figli hanno diritto a vivere la loro italianità con naturalezza e non come una punizione» (...) «I nostri figli conoscono il nostro alfabeto ed è evidente che questo risulta un vantaggio rispetto a chi scrive in cirillico, in arabo, in cinese; così come è evidente che questo vantaggio si trasforma in handicap quando si cerca di uniformare l'offerta formativa per renderla adatta a tutti». Pare, scrivono, che in prima elementare ci sia un solo bambino «italiano» su 23.
Una delle tante domande banali è: qual è il problema rispetto agli alfabeti per bambini non ancora alfabetizzati? Sarebbe bello - con una telecamera invisibile - poter filmare la giornata tipo di quella originalissima classe: sono pronta a scommettere che tutto fila liscio, in una normale quotidianità, che solo menti e occhi obnubilati dal pre-giudizio possono valutare inadeguata. I bambini no. Loro, davvero, non badano a certe sottigliezze. So quel che dico: i miei figli hanno frequentato un nido «multietnico». Ma, evidentemente, quegli occhi e quelle menti sono talmente contaminati da amplificare le proprie «verità» e ridurre l'entità delle ragioni dei propri bambini. «Porteremo via i bambini», è l'ultimatum delle pasionarie del VI municipio. Che hanno una parola buona per tutti, oltre che per quella eversiva fiancheggiatrice della jihad islamica che evidentemente è la Marciano («il problema generale è che la dirigenza esalta ogni aspetto della cultura musulmana» tanto che «i bambini di altri paesi non arabi hanno problemi: una mamma cinese, del comitato, vuole portare via il figlio pure lei»): soprattutto per le maestre, che «dicono ai bambini di non mangiare il prosciutto», ma anche per quelle 3 mamme «che venivano a scuola in burqa nero e i bambini si spaventavano».
La cellula romana di Al Qaeda che è la scuola elementare Pisacane non poteva non attirare l'attenzione di Alemanno, e dell'assessore Laura Marsilio. Si erano già esibiti in tandem quando - a settembre - il sindaco di Roma aveva contestato la definizione di «male assoluto» che Fini aveva dato del fascismo: casomai le leggi razziali, ma il fascismo proprio no. E lei, la Marsilio, a plaudire. I due si sono impegnati a risolvere il «caso Pisacane». Una promessa che - considerate le comuni vocazioni - suona come una minaccia. Analogamente, Fabio Rampelli, parlamentare romano della Pdl e membro della commissione cultura, in conferenza stampa ha dichiarato: «Una scuola di frontiera, un simbolo della miopia culturale figlia di una certa sinistra, che ha portato realtà come questa, ad uno squilibrio imprudente tra italiani e stranieri. Il rischio ghetto incombe su alcuni frammenti di città come Roma, Torino, Milano o Vicenza, dove a risentirne è la formazione nel suo complesso e una concreta politica di serena integrazione tra diverse realtà culturali» . Un mio amico ha commentato: «Mentre ci arrabattiamo a discutere sui massimi sistemi, ecco quello che accade nel nostro Paese. Cosa stiamo aspettando?». Già, cosa stiamo aspettando? È una domanda inquietante. Perché mette il dito nella piaga di una sorta di assuefazione che anche la coscienza democratica ed egalitaria sta patendo. L'indignazione lascia il posto all'allentamento progressivo della vigilanza. Segnali che un tempo avrebbero scatenato reazioni veementi fanno registrare bisbiglii e farfugliamenti. Il bipartizanismo strisciante impedisce di dire no definitivi, senza se e senza ma. La mediazione a tutti i costi ottenebra coscienze, principi, valori. Le loro valenze pratiche e simboliche.
Un paese che non investe sulla scuola, sull'educazione, sulla cultura è un paese orbo. Un paese che non avverte la necessità di interrogarsi sul suo futuro è un Paese senza futuro. Il nostro futuro - piaccia o no - è fatto anche da volti di colori diversi. Volti che saranno in grado di esprimere cittadinanza attiva solo se la scuola materna e la scuola elementare saranno in grado di favorirne crescita ed emancipazione. Quando constatiamo che il 40% degli alunni che frequentano l'istituto professionale sono migranti, abbiamo già definitivamente stabilito il futuro di quegli alunni e della scuola professionale, così come è. Abbiamo già derogato alla funzione inclusiva della scuola e alla funzione realmente emancipante dell'istruzione. Abbiamo già accettato l'assurdo principio secondo il quale c'è chi è nato per studiare (o al massimo per lavorare a casa sua) e chi è nato per migrare. Un principio neo-lombrosiano di per sé discutibile, tanto più se derivato implicitamente dalle provenienze socio-economico-culturali-razziali degli studenti. Il danno è già fatto. La ghettizzazione già avvenuta. La logica di incatenarli ad una condizione di minorità ha già imbrigliato i meccanismi. È prima che bisogna lavorare. È quando sono piccoli. I nostri figli e i loro. Insieme. Uguali. Anche se non va più di moda, c'è scritto sulla Costituzione. Che, per quanto sia «una legge fatta molti anni fa sotto l'influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa cone a un modello da cui prendere molte indicazioni», continua ad essere - nonostante le illuminanti osservazioni di Berlusconi - vigente; ed è la concretizzazione normativa di una visione di un mondo certamente migliore di quello che abbiamo davanti. Al quale ha ancora senso tendere.


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