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Manifesto: Immigrati, allarme scuole «ghetto»

I nuovi dati del ministero mostrano che nei territori la presenza di studenti stranieri è spesso squilibrata. E per questo corre ai ripari. Oggi un incontro nazionale con 200 scuole multietniche

31/12/1969
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il manifesto

Cinzia Gubbini
Roma
Al ministero dell'Istruzione la discussione tiene banco. In Italia la distribuzione degli alunni con cittadinanza straniera non è equilibrata. Ci sono regioni, province, piccoli comuni e persino scuole di uno stesso quartiere che contano un altissimo numero di iscrizioni. Mentre in altri territori - che però a volte sono vicinissimi - non c'è neanche un bambino o un ragazzo straniero, o comunque sono pochissimi. Non è un caso. Soprattutto quando si tratta di scuole dirimpettaie. Se in una scuola i bambini di origine straniera superano gli italiani e viceversa nella strada accanto sembra essere passato l'Ispettorato generale per la razza, non c'è dubbio che ci sia una scelta precisa: evitare di essere troppo accoglienti con ragazzi di origine straniera, così da non far scappare l'utenza italiana. Al contrario ci sono situazioni che non sono dettate dalla scarsa volontà, ma da precise ragioni economiche: al nord la concentrazione di immigrati «stabili» è più alta che al sud. L'immigrazione si concentra ormai da qualche anno nei piccoli comuni piuttosto che nelle grandi città, perché le case costano di meno. La questione, dunque, è governare il fenomeno, cercare di riequilibrare le cose quando è possibile o tentare di fare di necessità virtù. Proprio oggi (e fino a sabato) 200 dirigenti scolastici sono chiamati a Torino per un seminario nazionale organizzato dal ministero dell'Istruzione. Titolo: «Dirigere le scuole in contesti multiculturali».
La scelta è caduta sui presidi che guidano le scuole a più alta concentrazione di studenti stranieri. Perché l'Italia a macchia di leopardo continua a emergere con nettezza dai dati raccolti dall'Osservatorio nazionale. Qualche numero, ancora inedito, da cui partirà la discussione oggi. Proprio a Torino - teatro del seminario - la situazione è interessante: è una delle 15 province italiane con la più alta concentrazione di scuole statali che ospitano più del 30% di alunni stranieri. Per la precisione sono 40, e la maggior parte (il 95%) insiste proprio sulla città capoluogo. Viceversa in luoghi come Treviso o Macerta - anch'esse nella classifica dell 15 province - sembrano stare tutti nell'hinterland (l'incidenza è del 15% nel primo caso e addirittura dello 0% nel secondo). Se nel nordovest le scuole con studenti stranieri sono 11.178 e quelle senza alunni stranieri sono 2.263, al sud il rapporto è opposto: 7.482 quelle con studenti stranieri e 8.728 quelle senza studenti stranieri. Esistono poi piccoli comuni dove l'incidenza media di alunni con cittadinanza non italiana è molto alta. A Novellara, in provincia di Reggio Emilia, è del 23,2%, lo stesso a Calcinato, in provincia di Brescia, e ancora a Susegana, in provincia di Torino, dove l'incidenza è del 22%. In tutta Italia i piccoli comuni con un'incidenza superiore al 20% sono dieci. Mentre quelli con una presenza superiore al 15% sono triplicati in due anni.
«L'idea è che in questa sfida per l'integrazione se non c'è un dirigente scolastico formato non si fa nulla - spiega Vinicio Ongini dell'Osservatorio nazionale - il fatto che ci siano delle zone ad altissima concentrazione di alunni con cittadinanza non italiana implica la capacità dei dirigenti di collegarsi tra di loro e con le istituzioni». Il terrore del ministero, anche per i noti fatti di cronaca, è che si creino delle «scuole ghetto», che certamente non fanno bene a nessuno. «In alcune situazioni sta emergendo una criticità molto forte - aggiunge Ongini - scuole che attraggono un'utenza straniera perché sono capaci di essere accoglienti e mettono in campo buone pratiche, ma che per questo vengono penalizzate dagli studenti italiani. Viceversa scuole che disincentivano la presenza di immigrati, proprio per questo motivo. In altri casi, non si riscontra alcun problema». La sfida, infatti, consiste anche «nel rendere attraente e vincente la scuola in cui ci sono i figli degli stranieri». E a questo proposito Ongini invita a fare attenzione a come vengono usati i termini e i numeri: «Quando si parla di bambini con cittadinanza non italiana bisogna iniziare a distinguere tra chi è nato e cresciuto qui e chi è arrivato da poco. E' chiaro che la criticità riguarda questi ultimi, e non chi è italiano anche se non ha il passaporto».


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