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Manifesto: I nuovi concorsi al Cnr e il talento negato

LETTERA DI UN PRECARIO DELLA RICERCA

21/02/2010
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il manifesto

Lorenzo Fioramonti
In questi giorni si sono chiuse le iscrizioni agli ultimi concorsi del vecchio ciclo, prima dell'entrata in vigore della nuova riforma. Si tratta dell'ultima speranza per migliaia di ricercatori di entrare di ruolo, prima che si inauguri la fase del ricercatore a tempo e scatti la mannaia dei tagli a cascata imposti dalla Gelmini. Sembra che per quest'ultimo ciclo di concorsi le commissioni concorsuali verranno estratte a sorte, proprio per scongiurare il rischio che i risultati siano nuovamente pilotati, come è prassi da sempre. Staremo a vedere.
Le riforme non propongono rimedi, ma puntano solamente a togliere l'ossigeno ad un malato terminale. Si parla molto della «privilegiocrazia» e del nepotismo inveterato che spinge tanti giovani studiosi verso l'estero, ma non viene quasi mai raccontato cosa accade a quelli che restano. A quelli che il concorso (sì, il fatidico concorso) riescono a vincerlo. Perché l'assetto baronale delle nostre università non avvilisce soltanto quelli che sono costretti a partire, ma deprime anche il talento di quelli che restano.
Ci sono tanti ricercatori competenti in Italia. Ma la competenza non è l'elemento decisivo per vincere un concorso. Devi infatti essere sostenuto da qualcuno che conta. Un professore ordinario, meglio se uno di quelli potenti. Quindi anche quando sei bravo e meriteresti di vincere il concorso solo per i famigerati titoli, avrai comunque bisogno della «spintarella». Dovrai fare la corte a qualcuno. Se sei fortunato ti verrà chiesto di fare corsi gratuiti per un paio di anni, giusto per dimostrare fino a che punto arriva la tua fedeltà. Poi, dopo esserti sudato la benevolenza della gerarchia e una volta trovati i finanziamenti, verrà finalmente indetto il «tuo» concorso. Salvo rarissime eccezioni, i concorsi in Italia vengono preconfezionati con un «nome e cognome». Per questo sono sempre pochi i candidati alternativi che si presentano alle prove, nonostante la pletora di precari che cercano un posto. Ma il timore di essere additati come i guastafeste è forte, anche perché la ruota potrebbe girare a loro favore la prossima volta.
Quando il concorso alla fine lo vinci (e l'avresti vinto comunque perché hai i titoli per vincere in modo trasparente), ti resterà sempre l'amaro in bocca. La competizione era truccata. Dovevi comunque vincere. E questo sentimento avvilente non ha soltanto un impatto psicologico sulla tua autostima, ma ti costringe anche ad un graduale processo di asservimento nei confronti della gerarchia che ti ha «spinto». Da quel momento, sai benissimo che la tua carriera accademica la devi al sistema. Non riuscirai a dire di no a chi ti ha regalato il concorso. Non sei più un intellettuale autonomo. Devi riconoscenza imperitura all'elite baronale. E così comincerai a sobbarcarti di mansioni che non sono previste dal contratto. Ti ritroverai a fare il docente, il tutor, l'assistente magari persino il portiere o il bidello. Molto spesso, ti verrà chiesto di insegnare corsi per i quali non sei qualificato, con risultati mediocri anche per gli studenti. E la tua ricerca? Finisce con il cadere in secondo piano. Proverai a farla nei ritagli di tempo. Con pochi o senza fondi. Basta guardare le cifre messe a disposizione dal Miur nei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin).
Salvo eccezioni, è spesso così che procede il sistema. Chi entra nell'università viene inserito in un vero e proprio ingranaggio che lascia poco o nessuno spazio all'innovazione. Il talento, anche quando c'è, viene negato ed avvilito. I tagli imposti dal nostro ministro renderanno ancora più difficile sottrarsi all'assetto baronale dell'accademia italiana. Meno soldi e chiamata diretta. Quindi, aspettatevelo pure, assisteremo ad una nuova fase di nepotismo dilagante, con i poveri ricercatori a sgobbare dalla mattina alla sera pur di assicurarsi gli avanzi. Disposti a tutto pur di essere chiamati a fare qualche lavoretto. Precari fino all'osso, verranno ridotti ad insegnanti di liceo, tutti dedicati alla docenza e senza più tempo per fare ricerca. Come si può ancora credere che questa classe politica sia in grado di dare uno slancio all'università italiana? Quanti baroni siedono oggi in parlamento, sia tra l'opposizione sia tra la maggioranza? Quanti di loro mandano i figli alla scuola privata e all'università all'estero?
* Ricercatore precario all'Università di Bologna


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