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Manfredi “Pochi atenei aperti agli studenti A settembre tutti in aula”

Intervista

15/06/2020
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la Repubblica

Ilaria Venturi

«A settembre si torni a fare lezione in aula». Il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi sprona gli atenei titubanti a riaprire. Solo 17 faranno esami in presenza a luglio.

Pochi, non crede ministro?

«Intanto è un segnale. Ma dopo l’estate, se lo consentirà l’andamento del contagio, bisogna ripartire il più possibile in presenza. L’università è una comunità».

In una nota ministeriale viene indicata la didattica “mista” sino a dicembre. Perché non l’apertura completa delle aule?

«I servizi online andranno garantiti solo per gli studenti internazionali, i fuorisede che non saranno in grado di spostarsi e laddove l’affollamento non consente la frequenza a tutti».

Per chiedere la riapertura dell’università le hanno scritto 870 professori contestando la didattica a distanza e anche quella mista che riporterebbe a un sistema di istruzione diseguale e per pochi.

Concorda?

«È importante che oggi si sia ripreso a parlare di didattica dopo tanto tempo. Il mio invito è a non contrapporre la didattica in presenza a quella a distanza, non buttiamola in scontro. Il tempo in cui il docente sale in cattedra e parla di fronte agli studenti, cioè la lezione frontale va rivista. Innovare la didattica è una esigenza e in questo la tecnologica può aiutare. La mia idea è che la didattica è interazione, che si debba stare in aula senza però fare crociate anti-tecnologiche».

C’è anche, tra i docenti, chi ha paura a tornare in aula. Per alcuni è anche più comodo.

«La sicurezza deve essere garantita.

Ma occorre tornare alla normalità, le due cose si possono conciliare.

Ripeto. Si deve tornare in aula».

Per farlo in sicurezza gli atenei reclamano spazi, già carenti prima del Covid.

«È aperto un bando di 400 milioni, chiuderà a luglio, ne abbiamo appena dati 60 per infrastrutture tecnologiche. Gli atenei potranno migliorare le aule e ricavarne di più».

Teme ancora un calo del 20% delle matricole a causa della pandemia?

«La preoccupazione c’è perché la crisi economica morderà. Ma abbiamo messo in campo importanti misure sul diritto allo studio, si tratta di 290 milioni: l’innalzamento del tetto per la no tax area a 20mila euro di Isee, più riduzioni sulle tasse e la possibilità per gli atenei di rafforzare gli sconti alle categorie svantaggiate. E l’aumento delle borse di studio».

Basterà un miliardo e quattro nel decreto Rilancio?

«È un bell’inizio, viene dopo anni di sofferenza. Ma è insufficiente rispetto a investimenti strutturali in università e ricerca di cui abbiamo bisogno, interventi che saranno legati al Recovery Fund. Ci saranno e saranno significativi».

A proposito della ricerca, state pensando a riformare il reclutamento?

«L’idea è accorciare il percorso dei ricercatori di tipo A e B e il preruolo: abbiamo bisogno di diminuire gli anni di precariato e di far entrare i giovani. È una misura che stiamo studiando, mentre a breve usciranno i bandi per 1.600 posti per ricercatori, finanziati con 110 milioni. L’anno prossimo i posti per le università e gli enti di ricerca saliranno a seimila»

E per le università del Sud in sofferenza cosa sarà fatto?

«Con la crisi del 2008 le università del Sud furono lasciate sole, non va commesso lo stesso errore. Significa avere piani specifici per il Mezzogiorno».