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"Malala ci insegna che diritti e scuola camminano insieme Ora tocca ai governi”

Amartya Sen.L’economista indiano Nobel nel ’98: “Il premio a lei e a Satyarthi ispira anche noi scienziati Grazie al loro coraggio abbiamo capito qual è la via per uscire dalla miseria: il mondo deve finanziare l’istruzione”

12/10/2014
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la Repubblica

ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA
«QUESTO Nobel ci ricorda che la scuola è il mezzo principale per combattere ignoranza, miseria e sopraffazione». Così Amartya Sen, l’economista e filosofo indiano che ha vinto il Nobel per l’Economia nel 1998, reagisce al premio per la Pace assegnato venerdì a Malala Youssafzay e a Kailash Satyarthi. «È un Nobel in difesa dei bambini e, speriamo, anche un gesto per spingere India e Pakistan al riavvicinamento», dice il cattedrattico di Harvard.
Professor Sen, come ha saputo del Nobel a Malala e a Satyarthi?
«Ero a una conferenza all’università di Ginevra, mi hanno dato la notizia e chiesto a caldo le reazioni. Ho provato una grande felicità. A freddo dico che sono deliziato dalla scelta. Si tratta di due persone che non soltanto esprimono valori altamente positivi, ma hanno anche avuto il coraggio di correre grandi rischi per portare avanti le proprie idee. La giovanissima pachistana Malala, naturalmente, è la più nota dei due, diventata famosa in tutto il mondo per ciò che le è capitato. L’indiano Sayarthi ha svolto tuttavia un lavoro molto importante per lungo tempo, impegnandosi per salvare dal lavoro minorile i bambini delle zone depresse, che vengono sfruttati e sottoposti a terribili abusi. Entrambi sono accomunati dal riconoscimento del ruolo fondamentale dell’istruzione nelle nostre vite, dall’avere capito che la scuola, la lotta contro l’ignoranza, è spesso una via decisiva, se non la principale, per uscire dal gorgo della miseria e della sopraffazione ».
È dunque in primo luogo un premio in difesa dei bambini?
«Non c’è dubbio. Ed è una denuncia della cultura della tolleranza degli abusi nei loro confronti, nel senso di negazione dei diritti più elementari. Una tolleranza tipica del subcontinente asiatico, ma anche di molte altre zone del mondo».
Cosa ammira di più in Malala?
«Il fatto che non è mai indietreggiata, non ha mai smesso di credere nella fede nella scuola, nell’istruzione, a dispetto della arretratezza della regione in cui è cresciuta e delle minacce a cui è stata sottoposta. Questa sicurezza sarebbe ammirevole in qualunque individuo in circostanze analoghe, lo è ancora di più in una persona così giovane, una ragazza che aveva 15 anni quando è stata attaccata e ne ha appena 17 oggi. Malala ha compreso che l’educazione scolastica è la soluzione a molti problemi. La sua tenacia intellettuale è straordinaria».
E che cosa la colpisce di più in Satyarthi?
«Un atteggiamento simile a quello di Malala. La sua organizzazione è diventata un movimento che combatte e denuncia persone molto violente, persone pericolose. Sarebbe comprensibile spaventarsi. Lui non ha mai fatto un passo indietro».
C’è qualcosa di particolare nell’assegnazione di questo Nobel per la Pace?
«Il Nobel per la Pace è diverso dagli altri pre- mi Nobel per un motivo molto chiaro: dovrebbe premiare le azioni, i fatti, non la teoria. Naturalmente quando uno studioso vince il Nobel per l’economia o per la medicina o per la fisica con il suo lavoro accademico anche questo ha delle applicazioni pratiche e contribuisce al miglioramento della società, al progresso, o perlomeno ha il potenziale per farlo. Con questo Nobel abbiamo il fenomeno opposto: il premio dato a Malala e a Satyarthi per le loro azioni pratiche, concrete, nella vita di tutti i giorni, può e anzi deve avere un impatto sul lavoro scientifico, accademico, deve avere effetti sull’istruzione, ispirando gli educatori a raddoppiare gli sforzi per diffonderla e i governi a finanziarli ».
Un altro aspetto del premio che è stato notato da molti commentatori è che va a un indù e a una musulmana, a un indiano e a una pachistana. In questo senso è stato paragonato a due Nobel del passato, quelli a Mandela e De Klerk per la fine dell’apartheid in Sudafrica e ad Arafat, Rabin e Peres per l’inizio del processo di pace fra israeliani e palestinesi. Può avere lo stesso valore anche per India e Pakistan?
«Sono due Paesi che sono stati a lungo insieme e che sono separati dal 1947, l’anno della partizione. È difficile prevedere l’effetto del Nobel a Malala e Satyarthy sulle tensioni fra queste due grandi nazioni. Non sono due leader politici. Ma anche un’iniziativa civile può aiutare a spingere India e Pakistan verso il dialogo. Il conflitto viene da tanti problemi, non particolarmente da problemi religiosi perché anche in India esiste un’ampia minoranza musulmana, ma ragioni politiche, storiche, economiche. Anche un piccolo gesto, come è questo Nobel rispetto alla vastità dei problemi, può cominciare a smuoverli. Auguriamoci che accada».

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