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Ma intanto scende il numero dei docenti

La professione più scelta è l’insegnamento (31,8 per cento di presenze) seguita dal commercio (11,5 per cento) e dall’industria (8,7 per cento)

10/04/2017
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la Repubblica

LAura Montanari

Ci sono diversi osservatori per capire i cambiamenti dell’area umanistica negli atenei italiani. Andrea Zanini, docente di Storia moderna all’università di Udine, ha scelto come punto di vista, quello delle cattedre. «Negli ultimi sette-otto anni c’è stata una forte riduzione dei docenti, la media è del 12 per cento, ma il dato non è affatto uniforme, l’area umanistica è quella che ha pagato di più». In un articolo pubblicato sul sito Roars (Return on academic research), lo stesso Zanini aveva notato come il combinato dei tagli ai finanziamenti e gli effetti della riforma sullo scorrimento delle carriere avesse prodotto delle scelte precise da parte dei vertici accademici: si registrava per esempio un calo del 27,8 per cento per le cattedre di Storia e del 22,1 per quelle di Filosofia. Cala anche Scienze della Terra, mentre la contrazione delle docenze era di poche unità percentuali per Scienze politiche e Scienze giuridiche. E se Economia resta stabile, hanno guadagnato cattedre gli ingegneri e le comunicazioni. Questione di scelte.

Se poi con una lente andassimo a vedere cosa è successo all’interno dell’area umanistica, troveremmo che a perdere più cattedre sono stati i docenti e i ricercatori di Storia, di Filosofia e di Geografia, mentre sono cresciuti quelli di Psicologia e di Pedagogia. Che segno sarà? È un’università che cerca di orientarsi al mondo del lavoro e alle richieste di un’area disciplinare, quella umanistica, che mai come oggi ha aperto i propri confini riuscendo a tenere insieme professioni che vanno dall’insegnante al consulente delle risorse umane, dal filosofo al drammaturgo, dall’addetto stampa al bibliotecario, dalla storia dell’arte alla moda. L’area umanistica è costretta a una rincorsa: i numeri di Alma Laurea evidenziano l’handicap dell’occupazione. Rispetto alle altre lauree magistrali, qui siamo, a cinque anni dal titolo di “dottore”, quasi dieci punti sotto la media. «L’università deve preparare menti che siano in grado di inventarsi il futuro, sono contrario all’idea che l’università, siccome è sul mercato, debba illudere di preparare a un lavoro che non c’è», sostiene Alessandro Pagnini, docente di Storia della filosofia dell’università di Firenze e presidente del polo accademico di Pistoia. È vero che in questi anni di tecnologie spinte e mondi digitali ruoli e mansioni sono in evoluzione: «Lo abbiamo visto bene negli ultimi tempi, il mercato del lavoro cambia in modo molto rapido, ed è già profondamente diverso dopo cinque anni di università. Incoraggiamo i giovani a studiare la filosofia, la filologia, la matematica… le materie fondamentali, quelle che una volta erano le arti liberali, non i corsi che spicciolano il sapere orientandolo a questo o a quel lavoro», spiega ancora Pagnini che racconta anche di essere stato contattato da una grande banca per tenere dei corsi di formazione ai manager. «Mi hanno chiesto di parlare non di marketing né di etiche applicate, ma di filosofia e della cultura umanistica e scientifica che devono essere intese come una sola cultura. Forse anche il mondo dell’economia sta capendo ». Anche uno che se l’è presa comoda con gli studi come lo scrittore Giordano Meacci, autore del recente Il cinghiale che uccise Liberty Valance e sceneggiatore per il cinema di Non essere cattivo difende l’importanza della scelta letteraria: «Gli studi umanistici mi hanno dato un metodo, qualcosa che mi è servito tantissimo nel leggere, nel capire, nello scrivere. Sono finito fuori corso, ma ho studiato con professori come Giulio Ferroni e Luca Serianni e i seminari che ho seguito mi hanno insegnato ad avere la consapevolezza di quello che leggevo e scrivevo. Lettere, filosofia, lo studio della storia dell’arte o della linguistica ti aiutano a leggere il mondo, non soltanto a leggere le carte ».

Nei dati di Alma Laurea quello che appare oggi è che il polmone occupazionale resta l’insegnamento (31,8 per cento) e che al secondo posto c’è il commercio (11,5) e poi l’industria (8,7). La media del primo stipendio è di 1.117 euro contro i 1.388 delle altre medie magistrali. Altra nota dolente è il precariato: molto diffuso, i laureati umanistici a cinque anni con un contratto stabile sono il 50,2 per cento (contro il 72 della media generale) e se andiamo a vedere fra i precari troviamo un alto numero di persone che lavora con un part time: 32,9 per cento contro il 16,9. «Ma le università si sono attrezzate», sostiene il professor Luca Marinelli della Sapienza di Roma, uno dei più grandi atenei italiani. A quella che era la facoltà di Lettere sono riconducibili oggi 14 lauree triennali, 17 magistrali, due corsi a numero programmato e il prossimo anno due corsi in lingua inglese, uno per gli anglisti, l’altro per la magistrale in moda. «L’offerta formativa è molto articolata e soprattutto i corsi sono sempre più orientati verso l’innovazione, si studiano con l’apporto del digitale anche le materie classiche come la filologia, le letterature, lo stesso Dante».


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