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Lo stato è tornato al 1979

PUBBLICO IMPIEGO I dati del rapporto Aran «svelano» il massacro di welfare, scuola e sanità

10/04/2013
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

La cura neo-thatcheriana ai costi dello stato inizia a produrre i suoi effetti: dal 2006 al 2011 i dipendenti pubblici sono passati da 3.627.139 a 3.396.810. Oltre 230mila persone hanno smesso di lavorare per lo stato negli ultimi cinque anni. Questi dati sono contenuti nel rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, presentato ieri dall'Aran, l'agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione nella contrattazione collettiva nazionale.
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l'Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire, considerata le tradizioni dei nostri vicini d'Oltralpe. Ma, sorpresa, l'Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell'Iron Lady Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Nessun problema, l'Italia la raggiungerà presto, anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero, il blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali, tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo. Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli ultimi 5 anni. Per l'Aran nel 2012 il calo sarà del 2,3% e continuerà nel 2013. Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36 miliardi (-2,3%). Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.
I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più sono quelli che garantiscono il Welfare, scuola e sanità, e poi gli enti locali e i ministeri. Il processo è iniziato con l'ultimo governo Prodi, ma l'onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quinto Sella al ministero dell'Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all'istruzione. Un concerto che ha posto le basi per i tagli del futuro che colpiranno in Lombardia (dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono invece sotto organico del 23%.
Una controprova che l'austerità di Stato continuerà la offre il «rapporto Giarda» sulla spending review (ne abbiamo parlato su il manifesto del 20 marzo). Ci attendono nuovi tagli da 135,6 miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno già perso quasi 10 miliardi di euro. Sono previsti tagli del 33,1% alla spesa sanitaria, oltre a un'altra sforbiciata del 24,1% agli enti locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno.
Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero ripianare il debito, che però è aumentato nell'ultimo anno di 19 miliardi. È probabile che anche i prossimi tagli sulla pubblica amministrazione avranno lo stesso effetto. Questa è la regola dell'austerità: più tagli il debito (Monti l'ha fatto per 21 miliardi in 400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo Stato, mentre l'«efficienza» della spesa pubblica tagliata non migliora, deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l'1% nel 2012). Nel privato, invece, sono aumentate del 2,1% negli ultimi 11 anni dove però l'Aran registra un calo dell'occupazione.
Siamo in un circolo vizioso, ma c'è chi ancora pensa di reinvestire i «risparmi» fatti sui ministeri e gli enti locali per finanziare il debito che la P.A. ha con le imprese (l'ha sostenuto l'inarrestabile Gelmini a Piazza Pulita l'altra sera).


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