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Licei, tecnici o professionali: ecco come scegliere la scuola superiore giusta guardando al lavoro che cambia

Mauro Borsarini, presidente di AlmaDiploma: "I dati sono importanti, ma bisogna indirizzarsi verso istituti che preparano ad adattarsi allo scenario mutevole"

24/01/2021
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Scegliere la scuola superiore con un occhio anche al mercato del lavoro: giusto o sbagliato? Anche se in tre o cinque anni lo scenario cambia, perché il mondo del lavoro corre veloce, e anche se con la pandemia nulla sarà più come prima, "è giusto avere attenzione ai dati sull'occupazione dei diplomati. Ma attenzione a scegliere solamente schiacciati su quella variabile. Guardate piuttosto a quanto un istituto attrezza i ragazzi sulle competenze trasversali, a come li prepara ad adattarsi allo scenario mutevole". L'indicazione viene da Mauro Borsarini, presidente di AlmaDiploma, l'associazione che ogni anno esce con un'indagine sulla condizione occupazionale dei giovani a uno e tre anni dal diploma.

"In realtà lo sforzo che andrebbe fatto è quello di superare un sistema sbagliato che porta chi va bene nello studio ai licei, chi va meno bene ai tecnici e chi va male ai professionali - spiega Renato Salsone, direttore di AlmaDiploma e docente di Economia aziendale all'istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze - anche nell'ambito professionale ci sono settori ad elevate competenze, che richiedono ragazzi con ottime capacità".

Gli ultimi dati ad oggi disponibili riguardano oltre 47mila diplomati 2018 analizzati nella loro condizione formativa o lavorativa nel 2019. Cosa raccontano? Ad un anno, il 66,9% dei diplomati del 2018 prosegue la propria formazione ed è iscritto ad un corso di laurea (il 51,4% ha optato esclusivamente per lo studio, il 15,5% ha scelto di frequentare l'università lavorando); il 20,3% ha invece preferito inserirsi nel mercato del lavoro, tanto che ad un anno dal titolo si dichiara occupato (la definizione esclude attività di formazione retribuita come stage in azienda, tirocinio o praticantato per l'iscrizione ad un albo). La restante quota, infine, si divide tra chi è alla ricerca attiva di un impiego (7,2%) e chi invece, per motivi vari (tra cui la formazione non universitaria, motivi personali o l'attesa di chiamata per un lavoro già trovato), non cerca un lavoro (5,6%).

L'analisi sui professionali distingue solo tra "Industria e artigianato" e "Servizi": a un anno dal diploma il 48% lavora, il 61% col primo tipo di diploma, il 43,5% con il secondo. Prevalgono in emìntrambi i casi i contratti precari (definiti non standard) e formativi, nel pubblico. Chi esce con un diploma "Industria e artigianato" lavora soprattutto nel settore metalmeccanico e della meccanica di precisione (32,5%); chi esce con un diploma nei "Servizi" lavora in maggioranza nel commercio (53,5%). La retribuzione mensile netta è di 946 euro, che varia dai 108 per chi è occupato nell'industria e 875 per chi lo è nei servizi.

Diversa la fotografia sui tecnici. Chi lavora a un anno dal diploma è il 32%, chi prosegue all'università è il 38,6%. Poi c'è chi studia e lavora (12%) e chi cerca lavoro (10%). Gli occupati per indirizzi? Eccoli: amministrazione, finanza e marketing (28,8%), turismo (33,5%), Costruzione, ambiente e territorio (29%), elettronica ed elettrotecnica (43,7%), informatica e telecomunicazioni (30,5%), altri indirizzi tecnici e tecnologici (35%).

Questi dati contano molto per le scuole, avverte Borsarini: "Un esempio? Se vedo che i miei liceali dopo tre anni hanno abbandonato o che il loro percorso negli studi è lento, devo farmi delle domande sulla mia offerta formativa. Ancora, devo intervenire se i miei diplomati di elettronica non trovano lavoro, lo cambiano spesso o vanno a lavorare in settori non coerenti col titolo di studio". Dalla parte delle famiglie, invece, "è uno dei parametri di valutazione e tra i meno significativi rispetto alle attitudini del ragazzo, ai suoi desideri".


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