FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3916841
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Legge di stabilità 2014: un vero affare per l’università?

Legge di stabilità 2014: un vero affare per l’università?

Ma è tutto oro quel che luccica?

25/10/2014
Decrease text size Increase text size
ROARS

Antonio Banfi

«Un’aggiunta da 150 milioni di euro al budget delle università … che azzera quasi del tutto il taglio già in programma per il fondo di finanziamento ordinario del 2015». Non solo: «Una prima boccata d’ossigeno che può aprire le porte degli atenei subito a 700-800 ricercatori e a regime fino a 2mila nuovi cervelli all’anno». Se prestiamo fede ai quotidiani, la Legge di stabilità 2014 sembra essere un vero affare per l’università. Sarebbe bello se arrivasse davvero «un piccolo segnale di fiducia dopo anni di mannaia». Ma è tutto oro quel che luccica? Tanto per cominciare, ci sono «una serie di misure di spending review che toccano anche gli acquisti degli atenei (tagliati 34 milioni per il 2015 e poi 32 per i due successivi)». Ma le spine non finiscono qui. Per vederci chiaro, analizziamo il testo trasmesso al Capo dello Stato per la firma.

L’articolato, nelle parti che ci interessano, è in più punti mal scritto e pone problemi interpretativi, secondo uno stile non nuovo – purtroppo – al legislatore italiano.

Nelle righe che seguono si tenta una interpretazione: se essa è corretta, vi sono buoni motivi per essere seriamente preoccupati.

  • 18 c. 12: si incrementa l’FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario per gli atenei) a decorrere dal 2015 per 150 milioni di euro “al fine di incrementare la quota premiale”. Questa misura sterilizza in parte gli effetti del cosiddetto “taglio Tremonti”, pari a 170 milioni di €. Da notare che l’incremento per 150 milioni è stabile e non una tantum.
  • 22: è prorogato fino al 31.12.2015 il blocco degli automatismi stipendiali per il personale non contrattualizzato (professori e ricercatori inclusi). Le retribuzioni sono bloccate dal 2010, con effetti che si riveleranno molto significativi in particolare sul personale più giovane, che a fine carriera si troverà ad aver raggiunto classi stipendiali inferiori a quelle che gli sarebbero spettato. Il danno si trasferirà, ovviamente, anche sul trattamento previdenziale.
  • 29 c. 18: le risorse per la realizzazione di un polo universitario nella sede di Erzelli sono dirottate all’FFO a partire dal 2016 e fino al 2022 in ragione di € 5 milioni annui.
  • 29 c. 19: l’FFO è ridotto di 34 milioni per il 2015 e di 32 milioni per il 2016 e 2017, “in considerazione di una razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi da effettuarsi a cura delle università”. Gli indirizzi per l’attuazione della razionalizzazione saranno definiti con successivo DM.
  • 29 c. 24: analoga previsione per il FOE (Fondo di Finanziamento per gli Enti Pubblici di Ricerca), che è ridotto di 42 milioni a decorrere dal 2015. Il precedente comma prevede anche riduzioni per i compensi dei componenti i CdA degli enti di ricerca in modo da ottenere risparmi pari a 916.000 € nel 2015 e un milione a decorrere dal 2016. Tali importi sono sottratti al FOE.
  • 29 c. 31: le università “virtuose” (ossia quelle che, ai sensi del Dlgs. 49 del 29 marzo 2012, “al 31 dicembre dell’anno precedente riportano un valore dell’indicatore delle spese di personale inferiore all’80 per cento”) possono assumere, dal 2015, ricercatori a tempo determinato di tipo A e B “anche utilizzando le cessazioni avvenute nell’anno precedente riferite ai ricercatori [..] [di tipo A], già assunti a valere sulle facoltà assunzionali del presente comma”. In sostanza, a partire dal 2015 gli atenei che rispettano il previsto parametro potranno applicare un turnover pari al 100% per ricercatori di tipo A e B utilizzando le risorse liberate dai ricercatori tipo A scaduti. Da notare che, nella presente formulazione, parrebbe che ciò si possa fare solo per i ricercatori “già assunti a valere sulle facoltà assunzionali del presente comma”. Dunque, la disposizione diventerebbe operativa non prima del 2018 (gli RTDa hanno durata pari a 3 anni, salvo l’eventuale proroga per altri 2 anni). Viene dunque sanato l’assurdo principio per il quale posti a tempo determinato sono sottoposti a turnover (un ricercatore TDa costa 0,5 punti organico, ma con le attuali regole alla sua fuoriuscita rientrano solo 0,25 punti organico a causa dei limiti di turnover), ma tale provvedimento riguarderebbe solo il futuro lasciando inalterata la situazione per quanto concerne gli RTDa già assunti.
  • 29 c. 32: è soppresso il rapporto, vincolante per gli gli atenei con una percentuale di professori di I fascia superiore al 30 per cento del totale dei professori, fra assunzione o avanzamento di un professore ordinario e assunzione di almeno un ricercatore di tipo B. Il rapporto è adesso esteso a tutti i ricercatori, siano essi di tipo A o B.
  • 29 c. 33: si estende alle università l’art. 3 c. 3 del dl 90/2014 (secondo periodo), in ragione del quale “a decorrere dall’anno 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.”

Si può dunque osservare quanto segue: l’FFO recupera parzialmente il taglio Tremonti ma si aggiungono ulteriori tagli, non piccoli, per gli anni 2015-2017. Tali tagli sono legati a una razionalizzazione di spesa per gli acquisti di beni e servizi. Sembra per questo motivo che se ne possa dedurre che tali tagli siano permanenti e cumulativi. Sarà da vedere come e quanto i tagli, in piccola parte ridotti e solo dal 2016, grazie allo storno dei fondi “Erzelli” impatteranno sul funzionamento degli atenei.

Le norme che favoriscono l’assunzione di ricercatori sembrano soprattutto dirette agli RTDa, sancendo – casomai ce ne fosse ancora bisogno – la morte della “tenure track” all’italiana. Inoltre tali norme, per quanto ragionevoli, pare che resteranno non operative per lungo tempo: sarebbe stato ragionevole che esse fossero state immediatamente applicabili, per le cessazioni di RTDa già assunti: allo stato, infatti, le assunzioni di RTDa si traducono in una perdita secca di capacità assunzionale da parte degli atenei, a causa dei vincoli di turnover; infatti, se la lettura qui fornita è corretta, si prevede il turnover al 100% a partire dal 2018 (calcolando la data di scadenza di RTDa reclutati nel 2015 e non prorogati), anno per il quale il turnover sarebbe comunque risalito – salvi futuri interventi legislativi – al 100%. Da questo punto di vista, la disposizione è del tutto vuota. In questo senso, il Governo sembra aver scelto di applicare un turnover al 100% solo ed esclusivamente a quelle assunzioni di RTDa compiute da atenei “virtuosi”: per questo motivo, tutte le assunzioni già perfezionate di RTDa, e per questo riferibili anche ad atenei che non rispettino i parametri dell’80%, ricadranno sotto la scure dei vincoli di turnover. Resta il fatto che da più parti si riteneva necessario incentivare il reclutamento di RTDa, anche per rimediare alla preannunciata emorragia di assegnisti ex lege Gelmini, che dovrebbe cominciare fra pochi mesi, quando costoro matureranno il quarto anno di contratto e non potranno essere rinnovati. Se l’interpretazione qui proposta è corretta, la legge di stabilità non assicura alcun rimedio all’esodo degli assegnisti, con tutte le conseguenze negative che ciò avrà sugli Atenei e sugli individui.

Infine, il cumulo delle risorse previsto dall’art. 29 c. 33 consente, parrebbe di capire, di far salvi margini di spesa (punti organico) derivanti dalla cessazione di personale non ancora utilizzati, adottando un termine massimo per l’uso di tali margini pari a tre anni.

In conclusione, ancora una considerazione sull’FFO, basata su quella che pare l’interpretazione più probabile e più attenta alla lettera della disposizione.

Il “taglio Tremonti” avrebbe causato una riduzione dell’FFO di

  • -170 milioni

Il “rifinanziamento” proveniente dalla legge di stabilità di

  • +150 milioni

porta il taglio a

  • -20 milioni

A questi si aggiungono

  • -34 milioni per il 2015
  • -32 milioni per il 2016
  • -32 milioni per il 2017
  • +10 milioni ex Erzelli (anni 2016 e 2017)

Il che porterebbe il saldo totale a -108 milioni, fra ora e il 2017, con l’FFO che solo dal 2018, ricomincerà a crescere (sempre grazie alle quote ex Erzelli) di 5 milioni/anno.

E’ certo vero che queste cifre sono migliori di quelle di cui si è parlato solo poche settimane fa. E che anziché un immediato “taglio Tremonti” di 170 milioni ci ritroviamo con un “taglio Renzi” di 108 milioni fra il 2015 e il 2017, dunque spalmato su più anni e per questo più gestibile oltre che – sicuramente molti sperano – oggetto di possibile correzione (spes ultima dea). Resta il fatto che rebus sic stantibus, e se bene abbiamo compreso – da qui al 2018 – l’FFO continuerà a decrescere.

Chi scrive si augura di poter essere smentito o, meglio ancora, di veder scritta diversamente la legge di stabilità proposta al Parlamento.