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Le università del Sud perdono 120 professori ogni anno

Studio Svimez sugli organici: gli atenei meridionali penalizzati dalle regole che danno più risorse alle accademie con i bilanci migliori. Catania e Cassino possono assumere un ordinario ogni due pensionati, la Sant'Anna di Pisa dieci. "Così svuotiamo il Mezzogiorno"

13/10/2019
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la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA - I soldi attraggono soldi, anche nel sistema universitario. E in università fanno crescere i "punti organico", ovvero le possibilità di assunzione o promozione di docenti assegnate dal ministero dell'Istruzione a ognuno dei 65 atenei pubblici. In diversi dipartimenti già poveri, segnatamente al Sud, non si assume, però. Non si rinnova, non si può ampliare l'offerta.

L'ultimo lavoro di Svimez, l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, analizza il decreto che l'8 agosto scorso ha dato - sulla carta - le risorse alle singole accademie soffermandosi sull'allegato "punti organico", termine ostico ma decisivo per garantire in ateneo didattica e ricerca. Bene, la tabella del Miur indica - per segnalare i poli estremi - da una parte due atenei come Cassino e Catania, che nel 2019 hanno ottenuto "0" punti organico aggiuntivi e, dall'altra, l'Università di Bologna, a quota 75,69 "po aggiuntivi" e il Politecnico di Milano, a 69,54. Ecco, Cassino e Catania possono assumere un nuovo professore ordinario ogni due che vanno in pensione (si sono guadagnati un "regime assunzionale" al 50 per cento), la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa quasi dieci docenti per ogni pensionato, la Sissa di Trieste sette, il Politecnico di Milano cinque (così come l'Università di Bergamo).


Buchi in bilancio e scandali nei dipartimenti

Gli atenei di Cassino e Catania si sono fatti male da soli. Il primo all'inizio del 2017 si è accorto di un buco di bilancio da 44 milioni di euro per contributi previdenziali non versati: si è dovuto imporre un piano di rientro ventennale che lo ha messo in ginocchio. Il secondo - Catania - entra ed esce con buona continuità da inchieste giudiziarie che ne hanno certificato le spese ardite e la non credibilità dei concorsi pubblici. Al di là di questi casi limite, si nota come nella tabella siano "al di sotto del 100 per cento" (un professore va in pensione e uno entra) perlopiù università del Centro-Sud: il Salento ha il turnover al 64 per cento, Messina al 65 per cento, Palermo e la Seconda Università di Napoli al 71 per cento, Perugia al 72, il Molise e Roma Tor Vergata al 73, la Calabria al 75, la Tuscia e la Basilicata al 76 e Macerata all'81.

In questa collocazione penalizzante rientrano solo due università del Centro-Nord, entrambe con problemi specifici: Siena, terzultima con il 58 per cento di ricambio possibile in cattedra, si trascina la crisi del Montepaschi e un ateneo come Genova (75 per cento) paga un prezzo alto all'ormai profonda crisi di natalità della città. 


Un esodo di studenti che costa al Meridione 3 miliardi

Le scarse possibilità di rinnovare il parco docenti, i corsi di laurea, l'offerta generale da parte di quasi tutti gli atenei del Sud, figlia com'è dei conti ancora sofferenti degli stessi, mina la possibilità di recuperare immatricolati e iscritti e alla fine spinge nuovi studenti nel Nord Italia. Svimez sottolinea come il saldo migratorio universitario dal Meridione al Settentrione sia in costante aumento e come questo pesi sul piano economico e, quindi, sociale. "Esiste un circolo vizioso della formazione che drena soldi e talento", sottolinea l'associazione. Questo esodo, ha calcolato, costa al Mezzogiorno tre miliardi di euro l'anno.

"Avere molte università meridionali con una possibilità di reclutamento inferiore alle persone che hanno cessato servizio e avere, invece, gran parte degli atenei settentrionali in grado di ampliare offerta didattica e qualità della ricerca è una scelta suicida per il Paese", dice Luca Bianchi, direttore di Svimez, autore dell'articolo insieme al ricercatore Pasquale Terracciano. "Al Nord si continua a vedere una crescita di studenti e questo significa più richiesta, più tasse incassate, dunque, più cattedre che a loro volta stimoleranno un movimento virtuoso verso il Settentrione e strangolante per le accademie del Sud".

I meccanismi di compensazione dell'impianto "punti organico" sono largamente insufficienti. "In tutto il Meridione si contano 60 punti in meno rispetto alle cessazioni, significa centoventi docenti perduti e non sostituiti ogni anno. Solo in Sicilia si arriva a meno settantadue professori". Al Nord, dice ancora lo studio, il Veneto registra 30 punti in positivo, il Piemonte è a più 60, la Lombardia a più 168. Con la quota premiale, sistema che dà risorse ulteriori agli atenei con i migliori numeri economici, "si arriva a più 250 punti per tutto il Nord con Politecnico e Statale di Milano che da soli fanno più 100". Svimez ha contato in mille i docenti aggiuntivi al Nord negli ultimi sette anni.

Basta osservare le spesa per il personale per comprendere le distanze Meridione-Settentrione. La Normale superiore di Pisa impiega negli stipendi il 41,42 per cento di quello che ha a disposizione, Catania l'80,03 e Cassino, ateneo ancora considerato in "tensione finanziaria", addirittura l'83,39 per cento. Queste ultime due, spendendo il doppio di Pisa, superano l'asticella dell'"ottanta su cento" posta alle università dai tempi del Governo Monti (2012).

"Un numero rilevante di insegnamenti universitari sta migrando da atenei che avranno minore capacità di fare buona ricerca e, quindi, di attrare finanziamenti d'eccellenza. Così un'intera area geografica, il Sud, muore: muoiono la formazione, la cultura, la capacità di fare innovazione". E' ancora Svimez. L'associazione no profit segnala come gli atenei penalizzati siano spesso e comunque virtuosi rispetto ai canoni ministeriali - l'università del Sud con i conti in miglior ordine è Catanzaro -, ma non reggono il passo delle università settentrionali, "dove è più semplice avere finanziamenti da privati o supporti dalle Regioni". Dice il direttore Bianchi: "Si può controllare il baronato e il familismo senza bruciare l'intera foresta". Infine, "se sistematicamente tutta un'area, la più fragile del Paese, risulta svantaggiata in un settore determinante per lo sviluppo, ha senso per l'intero sistema continuare con un modello di ripartizione che rafforza i più forti e indebolisce i più deboli. Il divario si riduce investendo nelle infrastrutture sociali, le università appunto, non punendole".

Il rettore Betta: "Molte accademie hanno i punti ma non assumono"

Giovanni Betta, rettore a Cassino, dice: "Il meccanismo dei punti organico è vecchio, ci sono atenei che non utilizzano quelli a disposizione e in questo modo si limita la possibilità di immettere nuovi docenti nell'intero sistema. Il ministero dovrebbe varare e gestire una banca dei punti con la possibilità di redistribuirli tra gli atenei che hanno volontà di assumere. Con il sistema attuale, invece, il numero complessivo dei professori continua a diminuire, al Sud in maniera pericolosa. Vorrei aggiungere che siamo a metà ottobre e nessun ateneo sa ancora quante risorse riceverà per questo 2019".


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