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Le primarie nel sindacato. No, grazie!

di Pippo Frisone

21/12/2013
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ScuolaOggi

La febbre delle primarie sta contagiando un po’ tutti,  chi a torto e chi a ragione. L’on. Faraone, neo-nominato responsabile del welfare per conto del PD , ha sostenuto in questi giorni la tesi che il sindacato per rinnovarsi deve fare le primarie come ha fatto il PD. Certo, aver portato a votare alle primarie 2,8milioni di cittadini nonostante i facili populismi e la sfiducia montante contro la politica , è stato indubbiamente un  successo inaspettato. E’ la conferma che il metodo delle primarie è risultato ancora valido. Una procedura durata due mesi fino all’8 dicembre,  quando con le primarie aperte sono stati eletti l’assemblea nazionale e il segretario nazionale del PD.

Proporre come fa l’on Faraone di applicare il metodo delle primarie al sindacato, vuol dire non conoscere abbastanza quel che il sindacato è stato nel nostro Paese  ma nemmeno quel che è il suo funzionamento interno.

                                    I sindacati quando  vanno a congresso per eleggere i loro gruppi dirigenti lo fanno, è vero, in tempi rurali.

Così è stato con l’ultimo congresso CISL, iniziato a gennaio 2013 e conclusosi con quello confederale dal 12 al 15 giugno, con una durata complessiva di 6 mesi !

Il XVIII Congresso della Cgil si è messo in moto in settembre e solo il 2 dicembre ha licenziato i due documenti congressuali: il lavoro decide il futuro, documento della maggioranza che fa capo alla Camusso e il sindacato è un’altra cosa, documento che fa capo alla minoranza di Cremaschi.

Si comincia a gennaio 2014 con i congressi di base, poi quelli di categoria territoriali entro metà marzo, poi seguiranno le assisi regionali confederali a fine marzo, le categorie nazionali  fino al 17 aprile, per finire il 6-7-8 maggio col congresso confederale nazionale !

Una lunga maratona anche questa della CGIL come quella della CISL che dura sei mesi è francamente un po’ troppo!    Un rito quello del Congresso  che ha visto moltiplicarsi i livelli territoriali, le categorie  e che si ha più di un motivo per rimetterlo in discussione .

                                    Tempi cosi lunghi rischiano di far apparire obsolete le stesse tesi congressuali perché non rispecchiano più  una realtà in continua trasformazione e che viaggia oramai alla velocità  della luce.

E ancora, la durata di quattro anni tra un congresso e l’altro, richiedono strumenti di adeguamento più rapidi ed efficaci.

Le Conferenze d’organizzazione infra-congressuali hanno fatto il loro tempo e oggi risultano molto appesantite e burocratizzate.

In questo quadro di riferimento la scorciatoia delle primarie all’italiana per rinnovare e selezionare la classe dirigente dal basso, magari in tempi sicuramente più rapidi, non è a mio avviso applicabile ai sindacati italiani.

I motivi risiedono innanzitutto nelle differenti finalità che perseguono partiti e sindacati.

I primi hanno come scopo primario quello di “ concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale “ (art49 Cost), mentre i secondi quello di  fare accordi e “ stipulare contratti collettivi di lavoro “ ( art.39Cost).  Per perseguire queste diverse finalità, partiti e sindacati molto simili organizzativamente  agli inizi , soprattutto nei territori, si sono via via negli anni, distinti e affrancati sempre più gli uni dagli altri , in nome dell’autonomia e nella distinzione di ruoli .

Fino al definitivo superamento di una fase che vedeva nel sindacato “ una cinghia di trasmissione dei partiti”.

E’ vero che dove oggi ci sono le RSU e ancor prima c’erano i consigli di fabbrica o le commissioni interne, soprattutto nelle grandi fabbriche, c’erano le cellule di quelli che una volta si chiamavano partiti operai.

                    Il partito che faceva politica e per alcuni versi “concorrenza” al sindacato negli stessi luoghi di lavoro !

Questa concorrenza anomala è andata avanti fino agli anni ’80 per poi esaurirsi del tutto con

l’indebolimento dei cosiddetti partiti di massa nella prima repubblica.

Poi tutto è  cambiato ed oggi non è più così.

Alla vigilia di queste  primarie, il PD a stento sfiorava i 500mila iscritti, cifra nemmeno lontanamente paragonabile ai 5,8 milioni di iscritti alla Cgil o ai 4,5 milioni della CISL ma neanche ai 2,1milioni della UIL.

Gli iscritti che sono andati a votare alle primarie interne del PD  sono stati 295.000, pari al 55%.

Basterebbe portare a votare nei congressi del sindacato soltanto gli iscritti allo SPI- Cgil per avere lo stesso dato “straordinario” alle ultime primarie aperte del PD.

E’ anche vero che ai congressi sindacali di base partecipa solo una minima parte degli iscritti, tra il 15-20 % del totale. Sul terreno della partecipazione degli iscritti , le primarie interne del PD risultano di gran lunga più partecipate . Ma il confronto sui numeri si ferma qui.

All’elezione diretta dei dirigenti del PD, il sindacato risponde col meccanismo della cooptazione che resiste e si fa metodo man mano che si sale di livello nelle gerarchie regionali e nazionali nelle elezioni di secondo e terzo livello.

Un’altra differenza molto accentuata nella Cgil, è stata la forte ideologizzazione che si organizzava  per componenti (comunista, socialista, sinistra extraparlamentare..) fino agli anni novanta . Dopo quel periodo è prevalsa una sempre più convinta rivendicazione di autonomia dai partiti vecchi e nuovi della sinistra.

Altra peculiarità del sindacato è l’organizzazione interna per federazioni territoriali  di categoria e per strutture territoriali confederali. Alle categorie la tutela dei diritti e degli interessi che andavano

poi codificati nei contratti mentre alla confederazione spettava il compito più politico  di fare sintesi in nome dell’interesse generale.

Poi c’è la questione della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato nei luoghi di lavoro.

Laddove sono state elette le RSU, come è avvenuto nella scuola e in tutto il pubblico impiego, la rappresentanza sindacale  e la partecipazione dei lavoratori è risultata sempre  molto alta.

Il problema oggi è dare certezza con una legge alla rappresentanza sindacale dove ancora non c’è  e che misuri anche il livello di rappresentatività dei sindacati .

Non c’è quindi alcun bisogno di fare le primarie per rinnovare il sindacato. Basterebbe una legge sulla rappresentanza.

Ma c’è senz’altro il bisogno di adeguarlo ancor più alla realtà che oggi viviamo, di ancorarlo agli altri sindacati europei, di rinnovarlo nelle sue strutture, oggi molto burocratizzate, riducendo i troppi  livelli organizzativi e facendoli coincidere solo con i livelli di contrattazione.

Ma il rinnovamento vero è lasciar fare bene a ciascuno il suo mestiere, proprio come sta scritto nella nostra Costituzione:  ai partiti quello di concorrere alla politica nazionale e al sindacato quello di stipulare i contratti, a partire da quelli nazionali, a salvaguardia dei lavoratori più deboli  e della coesione sociale.


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