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Le nozze coi fichi secchi dell’ANVUR

L’uso degli aberranti parametri ANVUR (sia per ASN che per VQR) e la contemporanea scarsità di risorse rappresentano una “miscela letale” per Università e Ricerca.

08/07/2015
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ROARS

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Quale fisiologo vegetale potrebbe mai valutare le normali potenzialità di sviluppo di piante di edera facendole crescere nel deserto del Sahara? Quale premiata scuderia automobilistica eseguirebbe dei test di velocità di un nuovo prototipo in un circuito dal manto stradale dissestato? Non sarebbe più saggio e redditizio fornire alle piante le adeguate risorse nutrizionali ed il giusto ambiente, così come eseguire i test di velocità dei prototipi su una pista automobilistica in perfette condizioni? Allo stesso modo, prima di valutare i ricercatori (e le ricerche che essi svolgono) uno stato serio non dovrebbe almeno garantire loro la possibilità di accedere a finanziamenti degni di questo nome? Ma quello che è ovvio per noi poveri mortali, non sembra esserlo per l’Agenzia Nazionale di Valutazione di Università e Ricerca (ANVUR).

Senza ribadire le aberrazioni del sistema valutativo targato ANVUR, già ampiamente denunciate da molti di noi su Roars e altrove, è sorprendente notare come un’agenzia, che dovrebbe riconoscere e premiare il merito e l’eccellenza del sistema università e ricerca, abbia accettato di svolgere questo delicato compito nel peggiore momento storico di sempre caratterizzato dai tagli indiscriminati a Università e Ricerca. La progressiva riduzione dei FFO decisa a suo tempo dalla ditta Tremonti & co, il blocco del turnover della legge Gelmini e l’azzeramento dei finanziamenti pubblici alla ricerca hanno, infatti, portato il sistema al collasso. Ricordate i Progetti di Ricerca di Importanza Nazionale (PRIN), una delle poche fonti di finanziamento per la ricerca pubblica? Ebbene, l’ultimo bando di cui si ha memoria è del 2012, quando il finanziamento toccò il minimo storico con gli scandalosi 38 milioni di euro del Governo Monti! Nel 2014, il Ministro Carrozza, poco prima del crollo del suo governo, in zona Cesarini sostituì i PRIN con i RIDE, acronimo di Ricerca Italiana Di Eccellenza, esempio di grande autoironia (temo involontaria) da parte del Ministro dei suoi collaboratori. Da allora nessuno ha mai più sentito parlare di RIDE.

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Ma attenzione, attenzione: è fresca di pochi giorni la notizia che il PRIN è vivo e lotta insieme a noi! Ma non era morto e sepolto? No, Marco Mancini, capo Dipartimento per l’università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca del MIUR, alla fine del recente convegno di Roars ha dato con orgoglio conferma della imminente riesumazione del PRIN. Ma sarà più bello e più forte che pria? C’è da avere seri dubbi. Il budget annunciato è di 95 milioni di euro, certo non molto esaltante considerando che nel 2004 si era toccata la vetta di 137 milioni. Inoltre, bisogna considerare che, alla sua ricomparsa sulla faccia terra dopo due anni di “ibernazione”, il PRIN si troverà a dover soddisfare un enorme bacino di utenti che comprende tutti quelli che nel frattempo sono rimasti a secco. Quindi, in realtà è come se il bando si riferisse al triennio 2013-2015 ed è evidente che il budget effettivo sarà di circa 31,600 milioni di euro all’anno, una cifra addirittura inferiore all’elemosina di 38 milioni del 2012, sicuramente insufficiente rispetto alo tzunami di domande di finanziamento che si abbatterà sul MIUR. Alla fine dei giochi, è facile prevedere che la competizione sarà all’ultimo sangue e i pochi fortunati vincitori si troveranno a spartire le solite briciole per due o tre anni di finanziamento. Vista la pochezza del budget, rispetto alla domanda, è possibile che, come accaduto nel 2012, sia prevista la preselezione interna agli atenei, una forca caudina escogitata per ridurre drasticamente il numero di domande da inviare ai revisori. Peccato che l’ultima volta gli esiti di tale preselezione abbiano sollevato non poche polemiche e sospetti di inciuci accademici locali.

Prima di dare inizio ai cerimoniali della valutazione anvuriana, non sarebbe stato più saggio e redditizio pianificare una seria programmazione a lungo termine con lo stanziamento di risorse adeguate per finanziare la ricerca pubblica? Oppure il vero e unico scopo dell’ANVUR è di selezionare nuove specie di “ricercatori mutanti” resistenti agli ambienti ostili e capaci di lavorare e produrre in assenza di risorse? Che sia questa la novità, il risultato degli esperimenti dell’abominevole dottor ANVUR, la grande prospettiva per lo sviluppo della ricerca e della conoscenza nel nostro paese?

Tralasciando l’ironia, l’ANVUR non sembra affatto disposta a fare una seria autocritica, tant’è vero che l’imminente VQR si annuncia molto simile alla precedente, in termini di meccanismi di base e intenti.  Ad esempio, anche questa volta le riviste saranno classificate in categorie di “qualità” a seconda di IF e citazioni e si ripeterà l’assurdo che uno stesso articolo pubblicato su una rivista presente in più subject category potrà avere valutazioni diverse. Della serie  “Uno, nessuno e centomila”. Ne consegue che la qualità di una pubblicazione scientifica non è intrinseca alla pubblicazione stessa, ma dipende da chi e come compila la scheda VQR.

Di questo passo, quindi, l’ANVUR finirà per fare le classiche “nozze coi fichi secchi” rendendo inutile, o a dir peggio dannoso il dispendioso lavoro svolto finora.

L’uso degli aberranti parametri ANVUR (sia per ASN che per VQR) e la contemporanea scarsità di risorse rappresentano una “miscela letale” per Università e Ricerca. Si è scatenata, infatti, una competizione esasperata che, lungi dall’avere effetti positivi, tende a favorire gruppi accademicamente più forti e ampi che sfornano valanghe di pubblicazioni, con eserciti di autori e numerose citazioni (spesso autocitazioni): un sistema autocatalitico che, come anche un bambino capirebbe, non produce necessariamente qualità.

Così i parametri quantitativi dell’ANVUR sono diventati delle pericolose armi improprie da usare in una sorta di “Hunger Games” accademici dove verrà cancellata quella variabilità culturale e scientifica fondamentale per lo sviluppo della conoscenza.

Ci auguriamo vivamente che nel futuro imminente il vento cambi, che le metodologie valutative siano riviste per favorire il miglioramento vero di università e ricerca e non quello fittizio dell’ANVUR, fatto di numeri vuoti e classifiche irreali spesso ottenute grazie a normalizzazioni arbitrarie che tendono a falsare i valori in campo. Prima che sia troppo tardi. Altrimenti sarà il tracollo definitivo del nostro paese.

Purtroppo, dalle prime indiscrezioni sulla “buona” università del PD renziano, c’è poco da stare allegri.


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