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Le letture deformate delle prove Invalsi da 55 milioni di "esperti"

Vero è che il catastrofismo assicura il successo mediatico, ma un’analisi meno catastrofica assicurerebbe immagino meno attenzione ma aprirebbe la via al ragionamento, che in piena catastrofe generalmente non si fa.

14/07/2019
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L'Huffington Post

Mila Spicola

“I cambiamenti rispetto al 2018 in italiano e matematica al grado 10.

Al grado 10 si registra nel 2019 in tutte le aree e in entrambe le materie un aumento statisticamente significativo di alcuni punti percentuali della quota di alunni che raggiunge o supera il livello 3. In Italiano, la percentuale di alunni a questo livello o superiore cresce nel Nord Ovest di 2,3 punti, nel Nord Est di 2,8 punti, nel Centro di 4,0 punti, nel Sud di 2,5 punti e nel Sud e Isole di 4,1 punti; in Matematica l’aumento della percentuale di studenti che arriva al livello 3 e oltre è di 2,6 punti nel Nord Ovest, di 5,6 punti nel Nord Est, di 3,9 punti nel Centro, di 3,1 punti nel Sud e di 3,3 punti nel Sud e Isole. Mediamente, a livello nazionale, il progresso è di 3,1 punti percentuali in Italiano e di 3,8 punti in Matematica.” (Rapporto Nazionale Invalsi 2019, uno dei sunti, pag.111)

Se avete letto attentamente il sunto fatto dall’Istituto Invalsi sulle prove di rilevazione dei rendimenti scolastici al grado 10 avrete appreso che c’è del positivo e non del marcio.

Visto che nel 2019 nelle prove Invalsi si notano dei miglioramenti statisticamente significativi rispetto al 2018, mi dite come mai i 55 milioni di docimologi che da qualche giorno stanno gridando al disastro, lo scorso anno non hanno minacciato la rivoluzione coi forconi? (Docimologia: è nelle vostre facoltà andare a cercare il significato della parola su Google; nel farlo senza chiederlo risultereste al grado uno dei livelli Invalsi, nel chiederlo senza farlo sotto il grado uno).

E, visto il miglioramento che comunque c’è stato, mi dite come mai i suddetti 55 milioni di docimologi affermano che le gravissime sorti siano anche progressive? Parlando di “crollo del sistema”.

So già che mi state dicendo: ma i dati sono drammatici! Sì, lo sono. Ma sono drammatici da sempre e comunque in costante miglioramento. Un miglioramento che potrebbe essere decisivo anche in tempi non lunghissimi ma non c’è per assenza di azioni di sistema adeguate.

Vero è che il catastrofismo assicura il successo mediatico, ma un’analisi meno catastrofica assicurerebbe immagino meno attenzione ma aprirebbe la via al ragionamento, che in piena catastrofe generalmente non si fa.

C’è che prima non avevate posto attenzione e adesso invece sì. Bene, mi conviene sfruttare i pochi minuti della vostra attenzione allora per dire alcune cose. Così a saltare.

Allora non va tutto bene, ma nemmeno tutto male. Il bambino è nato gracile, porello fa di tutto per riprendersi da solo e in parte migliora, ma siccome non lo ha mai visitato un medico bensì i dottori di Pinocchio, continua a crescere ma lentamente.

Se l’allarmismo degli ultimi giorni portasse alla conclusione di farlo visitare a veri medici specialisti ne sarei felice. Ma così non sarà, perché come in Collodi nessuno si prende la briga di ritenere che servano dei veri medici specialisti.

Bastano la Fatina o il Gatto e la Volpe. Mi avventuro a mettere giù delle notizie, semplici notizie (non mi avventuro in analisi perchè ho più dubbi che certezze e tante e tante lacune). A ciascuno dei miei 25 lettori la facoltà di leggere, di fare qualche somma, quale correlazione e di unire qualche puntino.

1. Il 35% di studenti italiani che non arriva alla comprensione adeguata di un testo è composto perlopiù di studenti di contesto deprivato, del Sud, che frequenta un istituto professionale, non ha frequentato il nido e nemmeno il tempo pieno, non è vero che non è stato bocciato, perché in maggioranza ha accumulato negli anni almeno una bocciatura.

2. Le rilevazioni Invalsi sono nazionali, dunque non comparano con altri Paesi, e non rilevano competenze, rilevano qualche abilità e qualche conoscenza. Voi non capite in che senso, non importa. Un docente lo capisce invece. Mi chiedo perché l’Istituto continui a raccontare il contrario. Questo ne mina la serietà e la credibilità. No, non sono “contro le prove Invalsi” ma sono una studiosa di rilevazioni. E tengo alla cultura della valutazione. A mio parere in Italia vige una incultura della valutazione, a tutti i livelli, scolastico o amministrativo che sia. Detto ciò le prove sono comunque una fotografia del sistema nazionale, che dicono delle cose e questo potrebbe starci bene.

3. Il mio lettore dovrebbe sapere che il sistema nazionale ha anche altre rilevazioni di sistema, questa volta internazionali. Quelle, sì, rilevano le competenze (le Ocse Pisa e le Iea Pirls e Timms, ovvero la cultura della valutazione, quella approfondita, che costa, che ha i migliori esperti di sistema e i migliori docimologi del mondo), fanno dunque una fotografia più aderente.

Noi scegliamo di sottoporre il sistema nazionale sia alle rilevazioni internazionali, che sono campionarie, sia alle rilevazioni nazionali Invalsi, che riguardano questa volta tutta la platea degli studenti, con delle prove meno sofisticate dalle quali otteniamo ogni anno dati simili ma meno attenti di quelli che otteniamo con quelle internazionali.

La differenza è anche che quelle altre rilevazioni ci danno delle indicazioni su come agire per risolvere problemi che sono antichi e sistemici (bassi rendimenti analizzati per tipo di contesto, dispersione scolastica, gap di genere, eccetera) suggerendo azioni sistemiche. L’Istituto Invalsi non lo fa, limitandosi a un’attenta analisi della variabilità tra le scuole senza considerazione alcuna su azioni o differenze di sistema. Quelle che ho appena scritto sono considerazioni “fattuali” direbbe il poeta, non vi è nessun giudizio o opinione.

4.La situazione è critica e lo sappiamo, non solo nel valore medio e in assoluto, ma soprattutto in merito ai divari. Al Sud gli studenti sono più indietro del Nord. Da sempre. Se andiamo a osservare meglio però, osserviamo quest’anno dei miglioramenti, le isole hanno i miglioramenti maggiori ad esempio. In assenza di provvedimenti di sistema effettuati nello scorso anno, significa che le scuole si danno da fare, nonostante l’idea che vi siete fatti andrebbe contro questa conclusione.

Miglioramenti, ma la situazione rimane grave. I provvedimenti più efficaci per agire sarebbero quelli di sistema e i più precoci, ovvero i nidi (che agiscono sullo sviluppo delle cellule neurali e sulle abilità linguistiche, specialmente nel caso di bambini di contesti deprivati , sono indicati come l’investimento più efficace per prevenire le fragilità scolastiche) o il tempo pieno (perché permette una didattica individualizzata e in un tempo disteso e copre tutta la platea degli studenti in modo diacronico e sincronico, a differenza di tutte le mille azioni puntuali e non sistemiche che comunque si fanno nelle scuole del Sud).

Eppure al Sud, da sempre, non abbiamo né nidi né tempo pieno. Questo significa che uno studente di terza media di Palermo ha già accumulato circa tre anni di scuola in meno rispetto al coetaneo di Milano. Questo influisce in generale, ma ancor di più se è di contesto deprivato e aveva delle fragilità all’ingresso; quelle fragilità si contengono nella primaria, si manifestano nella secondaria, esplodono alle superiori, manifestandosi con bassi rendimenti, bocciatura senza recupero e, nei casi più critici, abbandono scolastico. Conosciamo dunque gli effetti e conosciamo le cause più rilevanti della situazione fotografata dall’Invalsi, da anni, eppure ce la teniamo (un’offerta scolastica di sistema diseguale in modo macroscopito, minore là dove dovrebbe essere maggiore).

Con il panorama appena descritto sarebbe strano se non ci fossero i divari. Le prese d’atto, tante. Le azioni per rimediare messe in campo? Non quelle che si dovrebbero mettere in atto.

5. E comunque il dato drammatico è che il 30% di studenti italiani (ripeto, generalmente poveri) non arriva alla comprensione adeguata di un testo. Aggiungo una considerazione ancora più sconfortante: se dovessimo fare un confronto brutale tra percentuale di low perfomer nei test Pisa che riguardano i quindicenni e low perfomer nei testi Piaac che riguardano la popolazione adulta, noteremmo che è meno della metà della percentuale di quella degli adulti.

Due domande per chi ha letto attentamente: dunque la scuola è migliorata o peggiorata negli anni? E anche: cosa accade in Italia dall’uscita della scuola in poi nella vita degli adulti per avere dati così drammatici?

6. Cose che non si sanno e che è interessante sapere: nelle rilevazioni internazionali che riguardano le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche nella scuola primaria (IEA Pirls e Timms), l’Italia conserva il suo posto nei primi dieci al mondo, in quelle dei quindicenni (le Ocse Pisa) siamo circa a metà su una settantina di Paesi testati, in quelle sulla popolazione adulta (le Ocse Piaac) siamo tra gli ultimi.

No, l’anello debole non è la Scuola Media, ma la progressione crescente del peggioramento del percorso che si evince soprattutto dai divari per tipi di scuola e che generalmente si sovrappongono ai contesti, che la scuola non riesce a neutralizzare. Fate quello che credete di queste informazioni. Io ve le ho date.

7. Abbiamo citato due delle azioni di sistema possibili più importanti, i nidi e il tempo pieno, aggiungerei le compresenze, che tutti abbiamo dimenticato e che vennero eliminate dai governi Lega-Berlusconi; ancora un monitoraggio dell’impatto di quella riforma non è stato compiuto, ma serviva ad agire sul recupero delle insufficienze nella scuola primaria, nella scuola con la scuola, soprattutto nei contesti deprivati, dove si concentra il maggior numero degli studenti con bassi rendimenti

8. Aggiungo la quarta azione di sistema, quella che il rapporto Talis mette in cima e indica come uno dei fattori principali di miglioramento dei sistemi d’istruzione, ovvero la formazione e selezione dei docenti.

Ci sono due scuole di pensiero: la via mondiale, quella che dice che per diventare insegnante oltre al sapere serva il sapere insegnare e dunque prevede una seria formazione specialistica di competenze professionali per il docente (pedagogia, didattica, psicologia, tirocinio) sulla quale essere selezionato insieme alle competenze disciplinari prima di andare in cattedra, e la via italiana (supportata da buona parte del mondo accademico, culturale e amministrativo per motivi ideologici, se in buona fede, di orticelli da conservare, se in mala fede) che dice che bastano una buona laurea e un concorso ed eccoci tutti pronti per andare in cattedra, in alcuni casi basterebbe il diploma.

Senza poi contare i 55 milioni di docimologi che ovviamente sono tutti pronti per fare l’insegnante. Lascio al lettore, che spero sia rimasto attento e non si sia stufato della mia logorrea, la scelta.

Andrebbe chiesto non al lettore attento ma ai 55 milioni di meravigliosi esperti docimologi che commentano da ieri le prove e danno ricette una più bella dell’altra suggerite dal cugino o dalla figlia liceale, compresi autorevoli editorialisti che ovviamente e legittimamente hanno commentato con l’ennesimo articolo sul “disastro della scuola”, se ricordano, o anche solo sanno, o hanno ricordato che c’è stata una riforma della formazione e selezione dei docenti (raccontata e comunicata in tutti i modi e in tutte le salse ma su cui è caduto il silenzio, diciamolo, perché non gliene fregava nulla a nessuno di questi massimi esperti discuterne o lamentarsene), che è stata tagliata da Bussetti e come mai loro, così interessati, attenti, sapienti sul mondo della scuola, siano stati inspiegabilmente muti.