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Laureati, pochi e disoccupati i mali dell’istruzione italiana

Rapporto Ocse: va all’Università solo il 42% dei giovani, e soltanto il 62% trova lavoro.Investimenti in istruzione per lo 0,9% del Pil, peggio di noi il Lussemburgo

25/11/2015
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Il Messaggero

ROMA Tanti anni di studio e poi, nel mondo del lavoro, il nulla o poco più. È questo il triste destino degli studenti italiani alle prese con una disoccupazione che non molla la presa, neanche di fronte al titolo di dottore. Un’impietosa fotografia, quella scattata dall’ultimo rapporto Ocse “Education at a glance”, da cui emergono ancora una volta tutti i difetti del sistema istruzione all'italiana. A cominciare dalla quota di laureati che, rispetto agli altri 33 Paesi presi in esame, è ancora troppo bassa: in Italia si iscrive all'università solo il 42% dei giovani contro una media Ocse pari al 67%. E il motivo va cercato anche nelle opportunità che si aprono dopo la laurea. Poche.
IL CONFRONTO
L'Italia infatti è l'unico Paese, insieme alla Repubblica Ceca, in cui il tasso di occupazione tra i giovani dai 25 ai 34 anni è il più basso tra i laureati rispetto ai diplomati. Ed è in vetta alla classifica per presenza di neet: i giovani tra i 20 e i 24 anni che non studiano né cercano un impiego sono il 35%. E non solo. Nel caso in cui si riesca a trovare un giusto impiego, il salto economico rispetto a un collega non laureato non è poi così rilevante. Nel 2014 in Italia aveva la laurea il 17% degli adulti tra i 25 e i 64 anni, al pari di Brasile, Messico e Turchia: i laureati italiani guadagnavano il 143% rispetto al 100% dei diplomati, contro una media Ocse del 160%. Negli altri tre Paesi invece la percentuale si alzava ben al di sopra della media Ocse. A mancare quindi è un collegamento, costante ed efficiente, con il mondo del lavoro. Su cui puntano, nella fase post diploma, gli Istituti tecnici superiori ad alta vocazione professionalizzante della durata di due anni ma che, ad oggi, vantano appena lo 0,2% di iscritti tra i giovani. Dando un'occhiata all’estero, emerge anche che gli studenti stranieri sono ancora troppo pochi nelle università italiane, decisamente poco attraenti: basti pensare che nel 2013 a fronte di 46mila studenti italiani impegnati a studiare all'estero, appena 16 mila stranieri erano iscritti negli atenei italiani. Su questo fronte sono in prima diplomati, contro una media Ocse del 160%. Negli altri tre Paesi invece la percentuale si alzava ben al di sopra della media Ocse. A mancare quindi è un collegamento, costante ed efficiente, con il mondo del lavoro. Su cui puntano, nella fase post diploma, gli Istituti tecnici superiori ad alta vocazione professionalizzante della durata di due anni ma che, ad oggi, vantano appena lo 0,2% di iscritti tra i giovani. Dando un'occhiata all’estero, emerge anche che gli studenti stranieri sono ancora troppo pochi nelle università italiane, decisamente poco attraenti: basti pensare che nel 2013 a fronte di 46mila studenti italiani impegnati a studiare all'estero, appena 16 mila stranieri erano iscritti negli atenei italiani. Su questo fronte sono in prima linea le singole università che, nel 20% dei casi, nel 2013-2014 hanno attivato almeno un corso in inglese. Un’ulteriore pecca del sistema universitario è sul fronte della parità di genere: le donne rappresentano il 59% dei laureati ma, al momento di ottenere una cattedra universitaria, la percentuale scende vertiginosamente al 37%. Sul fronte dei docenti, non va meglio per quelli di scuola che risultano ancora troppo distanti dai criteri di valutazione e dalle nuove tecnologie e troppo grandi di età: nel 2013 il 57% degli insegnanti di scuola elementare, il 73% di medie e superiori e il 51% dei docenti dell'istruzione terziaria avevano più di 50 anni. Su questi aspetti sta intervenendo il ministero dell'istruzione con la riforma della Buona Scuola in piena fase di attuazione che, avendo immesso in ruolo 87mila docenti dalle graduatorie di merito e ad esaurimento, ha abbassato notevolmente l'età media, sta introducendo nuovi criteri di valutazione e premialità e sta attivando il piano nazionale per la scuola digitale con un investimento di un miliardo di euro. Saranno coinvolti nella formazione hitech sia gli studenti sia i docenti: il 57% dei quindicenni ha dichiarato di non utilizzare internet a scuola mentre solo il 31% dei docenti delle scuole medie assicura di farne uso per le lezioni. «È in atto un cambiamento - ha commentato il ministro Stefania Giannini - con il rafforzamento degli Its e l'investimento sull'università, sull'internazionalizzazione e sull'accesso di nuovi docenti e ricercatori».
IN CODA ANCHE PER LE RISORSE
E il nodo cruciale allora sono ancora una volta le risorse: paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia e Stati Uniti riservano al settore dell'istruzione terziaria il 2% ed oltre del Pil, l'Italia nel 2013 ha raggiunto a mala pena lo 0,9%, la seconda quota più bassa dopo il Lussemburgo.
Lorena Loiacono