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La valutazione di Stato intossica la ricerca

chi veramente è No-Val? Chi giudica e “respira” con i propri polmoni oppure chi preferisce affidarsi a macchine valutative che ci espropriano delle nostre facoltà di giudizio e respirano al posto nostro?

05/03/2020
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ROARS

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Una settimana fa è stato pubblicato sul sito di informazione universitaria Roars il nostro appello contro la valutazione di Stato, dal titolo “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro”, che ha già raccolto oltre 1.250 firme, da tutte le aree del Paese e da tutte le discipline, a dimostrazione del carattere tutt’altro che settoriale del disagio che denunciamo. C’è ora chi sta provando a delegittimare la nostra iniziativa etichettandoci come No-Val. Ebbene, questa rozza e irriflessa analogia va stroncata sul nascere: davvero noi saremmo noi i No-Val, mentre chi ci critica sarebbe per una valutazione accurata e attendibile della qualità della ricerca? In realtà, non ci si riflette mai abbastanza, la scienza è esistita per secoli anche prima dell’Anvur, con i propri sistemi di valutazione. Dunque, in fin dei conti chi veramente è No-Val? Chi giudica e “respira” con i propri polmoni oppure chi preferisce affidarsi a macchine valutative che ci espropriano delle nostre facoltà di giudizio e respirano al posto nostro?

Una settimana fa è stato pubblicato sul sito di informazione universitaria Roars il nostro appello contro la valutazione di Stato, dal titolo “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro”, che ha già raccolto oltre 1.250 firme, da tutte le aree del Paese e da tutte le discipline, a dimostrazione del carattere tutt’altro che settoriale del disagio che denunciamo. C’è ora chi sta provando a delegittimare la nostra iniziativa etichettandoci come No-Val. Questo appellativo evoca tendenziosamente un’analogia fra la nostra posizione di critica nei confronti del dispositivo di valutazione premiale gestito nel nostro Paese dall’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (Anvur) e quella dei No-Vax. Si sa, i No-Vax sono da sempre stigmatizzati, ancor più ora che imperversa il coronavirus, e quindi quale migliore occasione per provare a screditare il nostro appello sfruttando l’assonanza?

Ebbene, questa rozza e irriflessa analogia va stroncata sul nascere: davvero noi saremmo noi i No-Val, mentre chi ci critica sarebbe per una valutazione accurata e attendibile della qualità della ricerca? In realtà, non ci si riflette mai abbastanza, la scienza è esistita per secoli anche prima dell’Anvur, e se per valutazione si intende la riflessività su ciò che si fa è evidente che non l’ha scoperta l’Anvur, dal momento che (udite, udite) professori e ricercatori l’hanno sempre praticata  anche prima, e potranno sempre farlo anche dopo che questa agenzia sarà auspicabilmente consegnata all’archivio dei brutti ricordi e degli esempi da non ripetere. Per chi fa ricerca e insegna, giudicare se stessi, i colleghi e gli studenti è un po’ come respirare per gli organismi viventi. Non si può non respirare per vivere, così come non si può non valutare per fare il professore (all’università e a scuola). Naturalmente, per essere efficace il valutare non può che essere un’attività distribuita e contestualizzata, ossia aperta e accessibile in modo che ognuno possa concorrervi e alimentarla, da una parte, e calata nelle specifiche situazioni concrete, dall’altra.

Al contrario, l‘Anvur funziona come un polmone artificiale che respira per noi e invece di noi, e che così sequestra e monopolizza le nostre funzioni vitali asfissiandole burocraticamente. Con la valutazione di stato il sapere smette di essere una entità vitale, dinamica e complessa e tende ad assomigliare sempre più a qualcosa di artificiale e vagamente necrofilo. Anziché promuovere una autentica cultura della valutazione, come pretendono i suoi corifei (a proposito, se siamo “solamente” 1000 perché irritarsene così tanto?), l’Anvur di fatto conculca e quindi inibisce ogni pratica di riflessività esercitata autonomamente al di fuori delle sue regole e dei suoi criteri. Ne risulta una valutazione totalitaria e astratta, cioè (letteralmente) “tratta fuori (dal contesto delle situazioni esaminate così come dalla comunità di pratiche di riferimento)”, che è fatta al solo scopo di stabilire artificiosamente classifiche e benchmarking. Ma così la valutazione finisce proprio per negare la sua missione che dovrebbe consistere nell’assegnare a ciascuno il giusto riconoscimento: e ciò perché converte tutte le ipotizzabili diversità qualitative in un’unica scala di differenze ordinali, nella quale ognuno si trova ad essere rappresentato come più o meno dotato rispetto agli altri di una certa qualità scelta d’autorità dall’Anvur tra mille altre. Una valutazione che usa  strumenti e criteri di valutazione omogenei allo scopo di comparare entità eterogenee c’est plus qu’un crime, c’est une faute. Ossia, prima ancora che un crimine contro la libertà di ricerca, è proprio un madornale errore di valutazione, un pretendere di ri-conoscere che si arroga l’arbitrio di fare a meno paradossalmente del conoscere.

Dunque, in fin dei conti chi veramente è No-Val? Chi giudica e “respira” con i propri polmoni oppure chi preferisce affidarsi a macchine valutative che ci espropriano delle nostre facoltà di giudizio e respirano al posto nostro? E come si riesce meglio a espandere il sapere e a salvaguardarne la qualità a garanzia dei contribuenti ma, direi, dell’umanità nel suo complesso? Preservando le condizioni perché il sapere sia esercitato in modo aperto, autonomo e responsabile o costringendolo entro standard e criteri artificiosi, automatici e calati dall’alto? Per concludere, non so se, come sostiene uno dei nostri critici, il valore costituzionale della libertà di ricerca possa essere bollato come un “immancabile richiamo che spesso tradisce un’inconscia sfiducia sulla solidità delle proprie argomentazioni”, ma temo che chi ora si esprime così potrebbe domani avallare con la medesima sconsiderata disinvoltura anche la liquidazione dei principi costituzionalmente tutelati dell’uguaglianza o della forma repubblicana del nostro Stato. Basta saperlo ed è facile decidere da che parte stare.

Federico Bertoni, Davide Borrelli, Maria Chiara Pievatolo, Valeria Pinto


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