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La valutazione della ricerca al tempo dell’emergenza

Un tema apparentemente di nicchia, ma molto sentito dalla comunità accademica, è quello della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR)

10/04/2020
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ROARS

Paolo Liverani

Un tema apparentemente di nicchia, ma molto sentito dalla comunità accademica, è quello della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR). Molto sentito perché da questa valutazione dipende il futuro di interi dipartimenti e atenei, se cioè come risultato di questo processo vedranno un ulteriore declino di risorse e personale o invece arriveranno a una stabilizzazione (recupero e crescita quasi mai…). Di nicchia perché la discussione è molto tecnica e l’Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR) si trincera dietro algoritmi imperscrutabili, basandosi su dati non verificabili da terzi nemmeno a distanza di tempo e – in generale – adotta una opacità di comportamento allergica al principio di trasparenza della pubblica amministrazione e a una costruttiva interlocuzione con gli interessati.

È ovvio che la valutazione è connaturata all’università: vengono valutati i corsi di laurea, i dipartimenti e gli atenei, gli studenti e, naturalmente, i docenti: non solo a ogni concorso o passaggio di carriera, ma anche annualmente. Tuttavia nella letteratura internazionale è ben noto che ogni valutazione (anche quella più esperta come nel caso del Regno Unito) comporta un intervento di indirizzo assai invasivo: inevitabilmente vengono scoraggiate le ricerche più rischiose e di nicchia, ma potenzialmente più innovative, a favore di filoni più collaudati (mainstream, come si dice in gergo), come pure incontrano ostacoli le ricerche interdisciplinari, in quanto difficilmente valutabili dal singolo revisore. Si dovrebbe quindi esercitare ogni possibile sforzo per minimizzare tali pesanti conseguenze, ma sembra che questo sia l’ultimo dei problemi che preoccupano l’Agenzia. Il costo della valutazione, inoltre, dovrebbe essere proporzionale ai risultati attesi, per non gravare di ulteriori inutili fardelli una ricerca già drammaticamente sottofinanziata e impastoiata dalla burocrazia. Nemmeno questa però sembra una priorità.

In questi giorni è ai blocchi di partenza la nuova tornata di valutazione, che interesserà gli anni 2015-2019. Il percorso di varo si è rivelato già notevolmente accidentato, con indicazioni fumose e di segno opposto tra il Ministero dell’Università e l’Agenzia, suscitando un mare di critiche tanto che era stata promessa un’imminente revisione del Decreto Ministeriale con le linee guida e, di conseguenza, un nuovo bando applicativo da parte dell’ANVUR.

Nel frattempo – dettaglio non secondario – è scoppiata la pandemia del Covid-19 con la conseguente chiusura di tutte le scuole e università e lo sforzo titanico di tutti gli atenei di riconvertire la propria attività utilizzando solo mezzi telematici per lezioni, riunioni ed esami. La didattica ha accusato il colpo, ma in qualche modo procede, sia pure con gravi limiti: le lezioni possono trovare un parziale succedaneo grazie al mezzo telematico, ma come procedere per i tirocini – vitali per certi profili professionali – o semplicemente per gli esami scritti? La ricerca invece è pressoché paralizzata a causa dell’impossibilità di spostarsi, di andare sul campo o di frequentare normalmente laboratori e biblioteche. Questo – sia detto per inciso – avviene con gli atenei costretti a inventare ciascuno nuove modalità in ordine sparso, senza il sostegno fino ad oggi di linee di indirizzo unificanti da parte del ministero.

In un panorama drammatico di semiparalisi della didattica e della ricerca, in cui ancora non conosciamo nemmeno se il morbo abbia colpito e in che misura il personale degli atenei, mentre si discute come salvare l’anno scolastico, con prospettive di normalità ancora lontane e incerte e gravissimi problemi di finanziamento all’orizzonte, l’ANVUR procede etsi Covid non daretur, per dirla con Spinoza («come se il Covid non ci fosse»). Il 25 marzo, infatti, l’olimpica Agenzia ha ridefinito il cronoprogramma della valutazione con piccoli scostamenti dal calendario originario cercando di bruciare sul tempo l’annunciato Decreto Ministeriale. Il mondo può crollare, ma la valutazione – come direbbe Barnum – deve andare avanti. A costo di valutare una realtà ferita e azzoppata e di distrarre l’università dalle tragiche urgenze relative ai suoi compiti prioritari.

Se la situazione non fosse tragica sarebbe farsesca: il nuovo cronoprogramma, infatti, è stato reso pubblico il 29, ma nel frattempo il TAR del Lazio aveva sospeso (con decreto dello stesso 25 marzo pubblicato il 26) la nomina a presidente dell’ANVUR di Antonio Felice Uricchio, ravvisando fumus boni iuris nel ricorso di due membri dello stesso direttivo dell’Agenzia che contestano la legittimità di tale nomina in quanto l’elezione è stata votata da un direttivo dimidiato (quattro membri in carica sui sette previsti) e in prorogatio, dunque abilitato a trattare solo l’ordinaria amministrazione. Dobbiamo ritenere di conseguenza che anche il cronoprogramma sia sospeso.

Molte Consulte universitarie e Società scientifiche hanno prontamente preso una posizione estremamente critica nei confronti dell’iniziativa dell’Agenzia (per esempio quiqui e qui) e ora il Consiglio Universitario Nazionale si è espresso con tutta la sua autorevolezza in maniera sintetica, ma molto chiara, per il rinvio della valutazione a tempi più sereni. Che la razionalità riesca alla fine a prevalere?

Aspettiamo le determinazioni del Ministro, sperando che questi ne tragga qualche considerazione anche nei confronti dell’ANVUR, che in questi giorni ha raggiunto il punto più basso della sua breve e poco brillante storia.