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La storia dell’arte in classe «Così si insegna il rispetto»

In aula Il manuale per le superiori di Salvatore Settis e Tomaso Montanari (Mondadori Education / Einaudi Scuola)

26/03/2019
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Corriere della sera

Gian Antonio Stella

Cosa tiene insieme la splendida e affilatissima punta bifacciale intagliata mezzo milione di anni fa nella sudafricana Kathu Pan e il luccicante skyline di New York del futuro 2020 con quei grattacieli avveniristici che van sempre più su, più su, più su? Il primo serviva all’uomo dell’età della pietra per andare a caccia, procurarsi il cibo, tagliare le pelli per coprirsi. Il secondo serve a capire come cambiano incessantemente i luoghi dove vive l’uomo. Aveva una funzione la lancia, hanno una funzione i grattacieli di Manhattan. A unirli c’è la ricerca della bellezza. Che accomuna le piramidi d’Egitto e il Partenone, le chiese gotiche e quelle barocche, gli affreschi di Giotto e quelli di Michelangelo…

«L’arte e la sua storia ci dicono chi siamo, ma anche quel che potremmo essere domani. Sono un’eredità naturale con una funzione altamente civile», spiegano Salvatore Settis e Tomaso Montanari nell’introduzione ai cinque volumi (totale 2.287 pagine) dei loro nuovi manuali di storia dell’arte per le superiori pubblicati da Mondadori Education con il marchio editoriale Einaudi Scuola. Da qui il titolo: Arte. Una storia naturale e civile. Con testi di Anna Anguissola, Gabriele Fattorini, Fabio Belloni e la «regia» di Claudio Franzoni. Docente liceale.

Niente fotine in bianco e nero della Venere di Milo, niente mattonate di testo plumbeo, niente liste pignoline di opere… Ovvio, direte: non si fan più i libri d’una volta. La stessa integrazione con gli «ambienti interattivi per la didattica digitale» che consentono di vedere un video, ascoltare un audio o «esplorare il contesto» d’una cosa non è una novità assoluta. Le immagini, però, sono belle davvero. Le mappe chiare. Il glossario, da Abaco a Ziggurat («edificio polifunzionale di grandi dimensioni delle civiltà mesopotamiche…»), molto pratico. Fin qui, un gran lavoro editoriale.

Il cuore dei manuali, però, è un altro. I due «bastian contrari» della cultura dell’arte italiana, divisi dall’età (trent’anni esatti: 77 il Vecchio, 47 il Giovane) ma uniti su mille cose, non pretendono d’insaccare tutto. Anzi. Pur seguendo l’ordine cronologico, imposto dal buon senso e dai programmi ministeriali, scelgono di seguire un filo il più possibile completo ma più ancora di «acchiappare» gli alunni sui temi e i personaggi più importanti, più affascinanti, più inaspettati nel tentativo di farli innamorare dell’arte. Non basta loro che seguano passo passo il percorso stabilito. Puntano al bersaglio grosso: la «cotta». Per l’arte, la bellezza, il paesaggio, la difesa dei beni comuni.

Ed ecco le «vie di fuga» (così si chiamano) dove il libro abbandona a sorpresa la strada principale per approfondire un tema laterale. Esempio: «Dopo la morte di un imperatore romano, spesso (ma non sempre) il successore provvedeva a consacrarne la memoria dichiarandolo dio. Era la cosiddetta “apoteosi” (…) che però aveva il suo rovescio, la damnatio memoriae, e cioè la sistematica distruzione delle immagini e delle iscrizioni di un imperatore giudicato negativamente». Ed ecco il Tondo Severiano: il ritratto su tavola di Settimio Severo con la moglie e i due figli, Geta e Caracalla. Che, dopo la morte dell’imperatore, nel 211 d.C., si sbarazzò in fretta del fratello «e ne decretò la damnatio memoriae. Il suo volto, infatti, è cancellato, ma in modo da lasciare indovinare la sua presenza».

Ecco la molteplicità della cultura siciliana: «A Palermo Ruggero II, che nella monetazione aurea si qualifica imam, sultan, al-malik al-mu‘azzam (“il re sublime”), volle nel suo palazzo un orologio ad acqua con iscrizione in latino, greco e arabo (1142): i tre testi non sono la traduzione l’uno dell’altro ma si completano a vicenda, per chi fosse in grado di leggerli tutti e tre». Ecco le rappresentazioni più rispettose dei poveri, come quelle di un piccolo maestro del Quattrocento marchigiano, Olivuccio di Ciccarello, amato da Papa Francesco: «Gli “scartati” della società si sono affermati come attori principali della rappresentazione». O «il meraviglioso affresco in cui Beato Angelico (pittore santo, e frate mendicante) esalta san Lorenzo che distribuisce ai poveri i beni della Chiesa».

Il cammino scolastico, si capisce, è obbligato. E lineare: la preistoria, i popoli della Mesopotamia, le civiltà del Nilo, l’Egeo e la Grecia continentale… Di colpo, però, si spalancano «Grandangoli», «visioni d’insieme di città e territori per cogliere le stratificazioni cronologiche e i contesti in cui sono immersi». Dove il tempio della Concordia spicca maestoso, senza ritocchi al Photoshop, sul fondale dei condomini di Agrigento. E così il Partenone che domina la distesa cementizia della nuova Atene.

Grande spazio all’arte italiana compresa quella meno nota (dalle statue-stele della Lunigiana «scolpite sin dalla fine del IV millennio a.C. nelle terre di cultura ligure lambite dal fiume Magra» al Guerriero di Capestrano trovato vicino a L’Aquila, «prima e unica testimonianza di scultura monumentale a noi nota per le civiltà dell’Italia preromana a eccezione degli Etruschi») ma anche intriganti aperture al resto del mondo. Come quella sul barocco «primo stile globale» dato che «a cinquant’anni dalla morte di Bernini (1680) il mondo intero ormai parlava questa nuova lingua» e un viaggiatore poteva andare dalle Fiandre a San Pietroburgo, da Lisbona alla brasiliana Olinda, da Lima alla messicana Oaxaca fino all’indiana Goa trovando splendide testimonianze barocche perfino nella cinese Macao, dove «avrebbe potuto ammirare l’italianissima facciata della cattedrale» voluta dal gesuita genovese Carlo Spinola.

«Che dice? Stiamo distruggendo Ragusa?», rise anni fa il generale serbo Ratko Mladic ai cronisti sconvolti dal bombardamento della città dalmata, «La rifaremo più bella e più antica di prima!». Ecco il punto, sottolineano gli autori dei nuovi manuali adottabili a settembre: lo studio della storia e dell’arte, come hanno confermato una manciata di anni fa le distruzioni dei monumentali Buddha di Bamiyan o più tardi di Palmira, non serve solo a contenere le devastazioni dovute al fanatismo etnico-religioso o all’ignoranza abissale di certi palazzinari. Serve a dare alle persone una dimensione civica. Di rispetto verso se stessi e la propria storia.

«Un filo diretto unisce le cupole delle tombe micenee alle cupole dei nostri giorni», scrivono gli autori. E citano ad esempio («la cupola è il cielo stellato, ma è anche il cielo metafisico, quello abitato dagli dèi e poi dai santi e dagli angeli») Norman Foster. Il quale, chiamato a immaginare la copertura del Reichstag a Berlino dopo il crollo del Muro, volle recuperare la vecchia cupola di cristallo danneggiata durante l’incendio nazista del ’33 e poi distrutta nella Seconda guerra mondiale e ne ricavò un «raffinatissimo congegno tecnologico che trasforma la luce solare in energia sostenibile» e «modifica profondamente lo skyline della Berlino moderna» ma soprattutto «è un simbolo della ritrovata democrazia tedesca». Non solo è tutti i giorni frequentatissima ma «grazie alla trasparenza della cupola, dall’interno dell’aula parlamentare i deputati possono vedere i corpi di chi cammina letteralmente sopra le loro teste: per ricordarsi che la sovranità non appartiene a loro, ma appunto al popolo che materialmente li sovrasta».

Non mancano annotazioni sui temi più diversi. Dall’«arte scandalosa» de L’origine del mondo di Gustave Courbet, «dipinto nel 1866 come un ossessivo, singolarissimo ex voto dell’ex ambasciatore ottomano a San Pietroburgo, l’egiziano Khalil-Bey, appassionato erotomane afflitto dalla sifilide» alla «Pittura al femminile». «Per secoli le donne hanno dovuto lottare per esprimere la propria personalità in ambiti considerati tradizionalmente “maschili”, e la parità fra artisti e artiste è una conquista che si può dir compiuta solo da poche generazioni, e non in ogni parte del mondo». Eppure lo stesso Plinio, che parlava di loro come di una eccentricità («qualche volta anche le donne hanno dipinto»), ne cita sei. E in un affresco a Pompei «un’elegante ragazza intinge il pennello nella cassetta dei colori per dipingere su una tavola sorretta da un fanciullo, mentre due dame la stanno a guardare da dietro un pilastro…».


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