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La Stampa-Il centrosinistra: il governo faccia un passo indietro

LE REAZIONI ALLA MOBILITAZIONE DEI SINDACATI CONTRO IL GOVERNO Il centrosinistra: il governo faccia un passo indietro ROMA Posizioni radicalizzate e tensione alle stelle tra maggior...

17/04/2002
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La Stampa

LE REAZIONI ALLA MOBILITAZIONE DEI SINDACATI CONTRO IL GOVERNO
Il centrosinistra: il governo faccia un passo indietro

ROMA

Posizioni radicalizzate e tensione alle stelle tra maggioranza e opposizione nel giorno dello sciopero generale, con scambi di accuse che non lasciano margini di confronto all'intesa. Le stesse parole del vicepresidente del Consiglio non offrono molte aperture: è uno sciopero che ha un "fortissimo significato politico", voluto soprattutto da Sergio Cofferati che ormai svolge un "ruolo politico". "E ciò è evidente a tutti", ha precisato Gianfranco Fini. Uno sciopero riuscito solo a metà - è stato il leit-motiv della maggioranza - e che, comunque, non fermerà il governo. Lo sciopero è stato un successo, ha invece replicato l'opposizione, che chiede a Silvio Berlusconi di fare un passo indietro, cioè di stralciare l'articolo 18 dalle deleghe che il Parlamento comincerà a votare nei prossimi giorni. Per la verità, si doveva cominciare a votare già ieri alla Camera sul decreto legge per l'emersione del lavoro nero e il rientro dei capitali. Su questo provvedimento il governo ha posto la fiducia, ma il centrosinistra ha fatto di tutto per evitare che si votasse proprio nel giorno dello sciopero generale e su un decreto che ha attinenza con le questioni contestate. Così, i capigruppo dell'opposizione avevano iscritto a parlare tutti i propri parlamentari. Il che avrebbe comportato una seduta-fiume fino a notte. Alla fine, è passata la proposta di rinviare tutto a oggi. Dunque, il muro contro muro è destinato ad avvelenare il clima politico dentro e fuori le aule parlamentari. Il governo non si sente intimorito, nonostante la prova di forza sindacale. "Lo sciopero generale è un diritto più che legittimo, che tra l'altro al lavoratore costa - ha detto Fini - ma non siamo intenzionati a retrocedere. Invece di dirci reciprocamente che sull'articolo 18 non siamo d'accordo, proviamo a discutere di tutto il resto". Dunque, se il dialogo ci sarà, è stato il messaggio di Fini, "non sarà sulle modifiche all'articolo 18". Lo scontro ruota sempre attorno a quello, ma per alcuni, anche nel centrosinistra, è solo un falso problema. Ad esempio Giuliano Amato ha osservato che la questione "è diventata un collo di bottiglia, in cui è stata strozzata una discussione cui il Paese ha bisogno, sulla riforma della sicurezza sociale, del lavoro, e non solo". Per l'ex premier, infatti, se si parla di competitività è difficile capire come si possa parlare solo di quell'articolo: "Questo cane è nato con le gambe storte". Gambe stortissime, è stato l'allarme lanciato dall'opposizione: l'obiettivo del governo è di togliere ai lavoratori i diritti fondamentali. I decibel della polemica sono al massimo e oggi alla Camera, con la diretta tv, ce ne sarà una rappresentazione plastica. La verità è, ha sottolineato Francesco Rutelli, che Berlusconi ha trasformato la riforma dell'articolo 18 "in una battaglia politica e ideologica". Secondo Rutelli "è falso che la scomparsa o la rimessa in questione dei diritti essenziali dei lavoratori sia una tappa indispensabile per il rilancio economico e lo sviluppo delle imprese". Insomma, altro che maggiore flessibilità, sbandierata dagli imprenditori e dal governo: loro - questa la convinzione del leader della Margherita - "dimenticano di creare le condizioni essenziali al rilancio", manca in particolare "una politica di investimenti al Sud". Sì, è in gioco la "difesa dei diritti di libertà fondamentali dei lavoratori", ha aggiunto Massimo D'Alema, per il quale è uno "schiaffone" al sindacato aver posto la fiducia sullo scudo fiscale. In sostanza, Berlusconi non sta cercando il dialogo - è il ragionamento del presidente Ds - anzi sta cercando lo scontro a tutti i costi. Con la conseguenza, ha aggiunto Piero Fassino, di "spaccare il Paese" su una questione marginale rispetto allo sviluppo economico. Infatti, secondo il segretario dei Ds, che ha partecipato alla manifestazione di Napoli, la "prima grande questione" sono gli investimenti per le infrastrutture al Sud: "Oggi il Mezzogiorno non è nell'agenda politica di questo governo", ha detto Fassino, convinto che in piazza ieri sono scesi non solo i lavoratori di centrosinistra "ma anche milioni di lavoratori che il 13 maggio hanno votato per il centro destra". Questa è una protesta civile "contro la protervia e l'arroganza" delle imprese e del governo che ha scelto quella parte, ha detto Fausto Bertinotti, il quale è convinto che adesso l'esecutivo si trovi "in un cul de sac. Non capisco come faccia ad andare avanti su questa strada". Ma i protagonisti dell'altra parte non si sentono chiusi in un vicolo cieco. E contrattaccano. Il ministro Buttiglione ha sostenuto che il governo rispetta il sindacato "ma non ne ha paura: è finita l'epoca in cui lo sciopero generale era la prova generale della rivoluzione. Per chi non lo sapesse, Sorel è morto". Dialogo sì, ha aggiunto il ministro Maurizio Gasparri, ma il governo "non sposta di un millimetro la storia politica italiana, perché la maggioranza non ha scioperato".


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