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La Stampa-Gentile, "la più fascista" delle riforme

OTTANT'ANNI FA ERA APPROVATA LA LEGGE, VOLUTA DAL FILOSOFO, CHE RIVOLUZIONÒ L'ISTRUZIONE IN ITALIA Gentile, "la più fascista" delle riforme 26/4/2003 IL 1° maggio 1923 Benedetto Croce scri...

26/04/2003
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La Stampa

OTTANT'ANNI FA ERA APPROVATA LA LEGGE, VOLUTA DAL FILOSOFO, CHE RIVOLUZIONÒ L'ISTRUZIONE IN ITALIA
Gentile, "la più fascista" delle riforme

26/4/2003

IL 1° maggio 1923 Benedetto Croce scriveva al vecchio amico Giovanni Gentile: "La tua lettera mi recò grande soddisfazione e gioia. Tu hai potuto tradurre nel campo dei fatti un tuo antico pensiero; ed io mi compiaccio di avere in qualche modo preparata questa attuazione presentando in tempi avversi un disegno di legge, che sapevo senza speranze pel presente ma che poteva essere, come è stato, un germe per l'avvenire". Croce rispondeva a una lettera di pochi giorni prima, esattamente del 27 aprile, con la quale Gentile gli comunicava: "Ho finito di discutere in Consiglio la mia riforma della scuola media, che è stata integralmente approvata." Nella medesima lettera Gentile ammetteva con onestà il ruolo dell'amico ("a tanta parte di questa riforma abbiamo lavorato insieme"), il quale alla riforma aveva lavorato non solo nelle vesti di ministro della Pubblica Istruzione con Giolitti nel 1920-21, ma anche come uno dei principali partecipanti alla discussione che si era svolta, fra giornali e convegni, sin dall'inizio del secolo, insieme allo stesso Gentile, a Giuseppe Lombardo Radice, Ernesto Codignola, Gaetano Salvemini e molti altri. Si può a ragione, anzi, sostenere che la riforma Gentile (che nei mesi seguenti avrebbe allargato il suo raggio, toccando l'intero assetto dell'istruzione, dai programmi scolastici agli organi di governo della scuola), sia largamente il frutto di quel movimento di idee e che, dopo lo sfortunato tentativo crociano, giungeva infine a compimento grazie anche ai poteri speciali concessi dal Parlamento a Mussolini. Esattamente due anni dopo, il 1° maggio 1925, con la pubblicazione del Contromanifesto crociano, in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Gentile, si sarebbe giunti alla definitiva rottura fra i due. Croce e Gentile non si sarebbero mai più incontrati, né scritti, pur seguendo di lontano l'uno l'attività dell'altra. E della riforma della scuola, anche una volta passato il Rubicone di una posizione benevola verso il fascismo, e divenuto il papa laico dell'antifascismo, Croce ebbe sempre un'ottima opinione, guardando anzi con sfavore le modifiche che via via il regime avrebbe apportato a quella che Mussolini aveva definito "la più fascista" delle riforme, e che in realtà era poco fascista, se non forse per i modi, autoritativi, con i quali fu approvata e per lo stile di comando dall'alto che la permeò. Da questo punto di vista, pur non essendo "fascista" al momento dell'approvazione della riforma (chiese l'iscrizione al PNF qualche mese dopo), Gentile in quel "pacchetto", come in generale nella sua politica culturale, espresse una volontà ferrea di controllo e di ordine, elementi che per lui contavano almeno quanto la sostanza della sua politica; tanto che un liberale come Luigi Einaudi, all'epoca anch'egli favorevole a Mussolini, esprimeva preoccupazione sul Corriere della Sera circa lo stretto controllo ministeriale sugli insegnanti, la nomina regia dei presidi di facoltà e dei rettori universitari e così via. La nomina di un paio di migliaia di nuovi direttori didattici completava il quadro, all'insegna di un perfetto allineamento del sistema scolastico agli orientamenti governativi. Del resto, la riforma Gentile era più che fascista, statalista, nel senso dell'accentramento, dell'annullamento dell'autonomia, sia delle istanze locali, sia delle scuole, sia dei docenti, a dispetto delle proclamazioni del ministro in senso contrario (era nelle corde di tanti pedagogisti la valorizzazione delle responsabilità individuali dei funzionari, oltre che l'esaltazione dell'autonomia didattica dei professori). Al vertice dell'ordinamento, lo Stato, simboleggiato dal mitico, a lungo desiderato dagli uni e avversato dagli altri, esame: appunto, "l'esame di Stato". Che significava, tuttavia, la garanzia non solo della serietà dei lavori scolastici, ma anche dell'eguaglianza delle condizioni, contro i rischi di un'atomizzazione localistica delle valutazioni. Decisivo, sul piano dell'accentramento e del controllo (che dunque presenta una faccia buona e una maligna), il corollario costituito dal drastico cambiamento delle competenze e del meccanismo di formazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ridotto nei suoi componenti, divenuti tutti di nomina regia, su proposta del ministro. Una politica seguita a tappeto da Gentile, persuaso che l'"elezionismo" fosse un elemento "corruttore" del costume scolastico (non a caso Luigi Sturzo parlò di "monarchia assoluta"). Certo, ben altro avrebbero fatto i suoi successori alla Minerva, ma egli aveva aperto una strada: e la politica dei "ritocchi" alla riforma - una politica che avrebbe suscitato inquietudini crescenti nello stesso Gentile, che assisteva impotente a una progressiva modificazione della sua creatura - sviluppando alcuni dei germi illiberali e centralistici contenuti nel disegno gentiliano del 1923, avrebbe un po' alla volta costruito davvero la scuola fascista, dagli asili all'università.
L'altro carattere della scuola gentiliana - al di là di un empito classicamente idealistico, con una precisa gerarchia tra le discipline, coronate dalla filosofia - è lo schietto classismo: sociale e di genere. Lo notò, fra i primi, Piero Gobetti, in un articolo il cui titolo dice tutto: "La scuola delle padrone, dei servi, dei cortigiani". La riforma, infatti, stabiliva una rigida gerarchia fra tipi di scuole, introducendo addirittura, con la cosiddetta "scuola complementare" ("una scuola di sfortunati", secondo Gobetti), una razzistica sottoscuola per coloro che andavano immediatamente avviati al lavoro, chiudendo loro ogni possibilità di continuare. Una decisione che naturalmente era non frutto di una scelta, ma di una situazione sociale. Così come il "liceo femminile", che doveva preparare "la donna fida e degna" del suo maschio, cui erano riservate scuole diverse e superiori, pur con le differenze, di nuovo tipicamente classiste, al loro interno. Sicché, con il suo "estremismo", Gobetti poteva sbottare in un: "Meglio analfabeta che villano rifatto, fanatico di un enciclopedico sapere male appreso"'! I "derelitti" trovavano più conforto nella fumante officina studiata da Marx, che "tra i banchi di una scuola di pedanteria e di inerzia". In realtà, quel carattere rigidamente selettivo sarebbe stato contestato dal regime avviato sulla strada della mobilitazione di massa: la riforma, come si diceva, un po' alla volta, senza ricevere mai alcuna sconfessione, fu profondamente modificata nel corso degli anni. Proprio davanti agli attacchi subìti da Gentile, Mussolini si sentì in dovere di scendere in campo con quella celebre etichetta ("la più fascista" delle riforme). Fu tra gli altri, l'amico Croce a difenderlo con vigore, anche presso Mussolini; anche se, l'anno dopo, in piena crisi Matteotti, Gentile stesso avrebbe preso l'iniziativa di dimettersi per facilitare il chiarimento da parte del "capo". Che cosa resta di quella riforma? Poco, a giudicare dagli ultimi tentativi roboanti e rabberciati di creare la "nuova scuola": anche la signora Moratti ha in mente una scuola di classe, ma senza la nobiltà austera del disegno gentiliano. In luogo della superiorità della filosofia, si pretende di imporre quella dell'inglese, e invece della nobiltà dell'umanesimo si vuole convincerci della grandezza dell'informatica; d'altro lato, la lotta al "centralismo statalista" riduce la scuola in briciole, in una situazione di anomia assoluta, in cui bisogna cercare sul "mercato" le risorse che lo Stato non dà (del resto il primo atto dalla ministra è giunto lì dove né Gentile né i suoi successori erano arrivati: togliere l'aggettivo "pubblica" dal sostantivo "istruzione"!); in compenso, il governo pretende la stessa obbedienza cieca ed assoluta dai suoi funzionari locali, che in effetti, come aveva fatto il regime mussoliniano, vengono sostituiti con un semplice tratto di penna, non in nome di competenze didattiche, bensì di "affinità" politiche. Perciò è persino lecito esprimere rimpianto per quella scuola, idealista e classista, ma dotata di un progetto alto, che ebbe in mente Giovanni Gentile.

Angelo d'Orsi


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