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La scuola tradita

A seguito della prima ondata del Covid-19 l’Italia è il Paese che ha mantenuto più a lungo le scuole chiuse. E con la seconda ondata siamo il primo Paese europeo a chiuderne una buona parte

16/11/2020
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Corriere della sera

di Francesco Drago e Lucrezia Reichlin

Molte sono le caratteristiche comuni delle strategie anti-virus adottate dai Paesi europei. Ma ce ne è una che distingue l’Italia dagli altri: quella sulla scuola.

A seguito della prima ondata del Covid-19 l’Italia è il Paese che ha mantenuto più a lungo le scuole chiuse. E con la seconda ondata siamo il primo Paese europeo a chiuderne una buona parte. Dopo l’aggravarsi della curva epidemica, infatti, il governo ha stabilito la didattica a distanza per tutte le scuole superiori. A questo si aggiunge un divario regionale. La Campania, che già aveva riaperto dopo tutte le altre regioni, da metà ottobre ha chiuso tutte le scuole di ogni ordine e grado. La Puglia ha adottato la stessa decisione a fine ottobre ed altre iniziative locali simili da parte di sindaci sono in atto in altre regioni. Non vogliamo sottovalutare le ragioni di chi è preoccupato dal contagio e dalla tenuta del sistema sanitario, ma — soprattutto in un lockdown selettivo — i benefici di certe scelte vanno valutati rispetto ai costi. I dati mostrano che sospendere la didattica in presenza nelle scuole ha dei costi certi, ma benefici molto incerti.

Partiamo dai benefici. Non è chiaro quanto la chiusura delle scuole riduca il contagio.

L a riduzione del contagio dipende dal contesto in cui le scuole vengono riaperte (ad esempio dai protocolli e dal trasporto pubblico locale associato all’attività scolastica), da come e dove trascorrono il loro tempo gli studenti colpiti dai provvedimenti di chiusura e dal tipo di scuola (primaria o secondaria). In alcuni casi, come in quello tedesco, la riapertura sembra addirittura aver ridotto il contagio nella fascia di popolazione più giovane, lasciandolo invariato nella popolazione più adulta. Come anche alcuni autorevoli medici accademici hanno sottolineato su queste colonne (Remuzzi e Villani), in presenza di rigidi protocolli, la propagazione del contagio a scuola è limitata.

Vero, in certi Paesi si è riscontrato un aumento considerevole di contagi in concomitanza alla riapertura della scuola, ma non è chiaro che ci sia un nesso causale tra le due cose perché molte altre riaperture sono avvenute allo stesso tempo. Correlazione non implica causalità. Osservare che in concomitanza dell’apertura della scuola i contagi aumentano non implica necessariamente che in assenza dell’apertura i contagi sarebbero stati più bassi. E stimare l’impatto della chiusura sui contagi in Italia è un’impresa ardua, specialmente in assenza di dati dettagliati che purtroppo non sono disponibili.

Parliamo ora dei costi. Su questi ultimi c’è meno incertezza. La chiusura danneggia tutti gli studenti anche quando viene attivata la didattica a distanza. Chiusure prolungate hanno effetti permanenti sul rendimento scolastico, sulle abilità cognitive, sulla propensione all’abbandono scolastico e sullo stato psicofisico dei nostri studenti. Non è innocuo chiudere per uno o due mesi oggi, specialmente in un Paese in cui la scuola era stata già penalizzata dalla chiusura di marzo. Montagne di studi nelle scienze sociali ci dicono che chiudere la scuola oggi rappresenta una ipoteca sul futuro di una intera generazione.

Costi certi e benefici incerti caratterizzano anche la chiusura di altre attività, ma la scuola è un settore in cui i danni associati alla sospensione della didattica non si recuperano più. Sono perdite permanenti per gli studenti e quindi per tutto il Paese.

Cosa spiega questa anomalia italiana sulla chiusura della scuola? La scarsa attenzione alla formazione è uno dei problemi storici dell’Italia che ha caratterizzato governi di ogni colore. Gli effetti si sono visti con i risultati dei test Pisa (Programme for International Student Assessment) — prima della pandemia — decisamente poco incoraggianti specialmente per alcune regioni italiane, ma anche con gli alti tassi di abbandono scolastico e la bassa percentuale di laureati. Oggi si constata che, paradossalmente, proprio dove c’è bisogno di più scuola c’è più disponibilità a chiudere. E c’è una ragione politica per questo, come dimostrato dalla correlazione con altri indicatori. Per esempio, le regioni meridionali, che hanno chiuso prima di altre, sono anche quelle in cui la bassa partecipazione al mercato del lavoro femminile (solo una donna su tre lavora nel Mezzogiorno) e le maggiori carenze nel tracciamento dei contagi, rendono politicamente meno costosa la sospensione della didattica.

Ma la ripartenza dopo questa drammatica crisi, così come la trasformazione necessaria a innalzare il nostro tasso di crescita nel lungo periodo, può solo basarsi sulla forza delle nuove generazioni come motore di un percorso virtuoso, di rinascita. Si è parlato molto in questi mesi di costruire una società resiliente, cioè capace di assorbire l’impatto di eventi negativi anche nel futuro. Indebolire il processo di accumulazione di capitale umano con periodi prolungati di chiusura delle scuole non è certo il modo migliore di costruirla. Ed è chiaro che la sospensione della didattica ci pone in una posizione di svantaggio nel contesto internazionale.

Non vi è solo un problema di sviluppo di lungo periodo ma anche un tema di equità. Uno degli aspetti più preoccupanti della chiusura delle scuole è la penalizzazione maggiore degli studenti vulnerabili e di quelli provenienti da contesti socio-economici più svantaggiati. Gli effetti distributivi sono rilevanti anche in termini intergenerazionali. Il funzionamento dell’ascensore sociale dipende dalla scuola. Chiudendola, l’ascensore si blocca.

La scuola era un’emergenza prima della pandemia. Oggi è un dramma che se non affrontato avrà effetti devastanti e duraturi. Proteggere la formazione dei nostri ragazzi dovrebbe essere una priorità nazionale attorno a cui costruire politiche adeguate che minimizzino i costi del contagio. Per questo bisogna adottare soluzioni innovative in linea con gli altri Paesi europei che le scuole le mantengono aperte anche in condizioni sanitarie più critiche della nostra.

È importante che l’impegno sia nazionale. Un Paese moderno non dovrebbe consentire disparità di trattamento dei suoi cittadini sul diritto all’istruzione. Anzi, dovrebbe arginare ulteriori chiusure ripristinando un principio di equità orizzontale che metta tutti i cittadini nelle condizioni di godere dei diritti fondamentali allo stesso modo. Se la chiusura di tutte le scuole in alcune aree del Paese — come sembra — è dettata da carenze organizzative sul tracciamento dei contagi in ambito scolastico, si intervenga urgentemente con risorse umane e materiali per rimettere le regioni inadempienti in linea con il resto del Paese. Non vogliamo sottovalutare i fattori specifici che rendono difficile mantenere il sistema scolastico operativo anche con soluzioni ibride, ma se si riconosce in questo una priorità, si agisca in modo conseguente con misure adeguate e congrue all’emergenza.

Il governo ha costruito un largo consenso sulla priorità della scuola e della salute, elementi essenziali per la resilienza della nostra società. Oggi deve dimostrare il suo impegno proteggendo la scuola perché è dal futuro delle giovani generazioni che dipende il futuro del nostro Paese.


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