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La scuola si fa in classe

Presentata una ricerca di Flc e Fondazione Di Vittorio sulla didattica a distanza durante il lockdown. Per gli insegnanti va bene solo per gestire le emergenze. Meno di un terzo dei docenti è riuscito a raggiungere tutti i suoi studenti e i carichi di lavoro sono aumentati notevolmente. Scarsa la partecipazione: a decidere è quasi sempre il dirigente scolastico in maniera unilaterale

13/10/2020
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Collettiva.it

Stefano Iucci

“La scuola restata a casa”: arriva con una tempistica perfetta la presentazione della ricerca promossa dalla Flc sulla didattica a distanza realizzata durante i mesi più duri, quelli del lockdown. Proprio ieri (12 ottobre) le Regioni, infatti, hanno proposto un ritorno alla Dad “integrale” per le classi ultime delle scuola superiori. L’idea non è passata, ma vista l’incertezza che regna su tutto il sistema paese, è bene che su questi temi si rifletta a partire dall’esperienza di chi questa modalità, tra mille difficoltà, l’ha praticata, cosicché ogni decisione – in qualsiasi direzione vada – si basi su qualche elemento certo. 

La rilevazione è stata effettuata tra il 3 aprile e il 7 maggio 2020 attraverso un questionario online che ha raccolto su tutto il territorio nazionale 1.451 questionari, di cui validi 1197 e si è svolta in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, l’Università di Roma Sapienza e l’Università di Teramo.

Una sezione importante dell’indagine, come è ovvio, riguarda le ricadute didattiche della Dad. E qui le note sono abbastanza dolenti. I dati parlano chiaro: meno di un terzo degli insegnanti intervistati (30,4%) raggiunge tutti gli studenti della sua classe. I problemi più seri si registrano nel Mezzogiorno, dove la percentuale di docenti che dichiarano di riuscire a coinvolgere tutti gli studenti della propria classe si abbassano: 24,2% nel Sud, 23,7% nelle Isole. Le difficoltà, si legge nell’indagine, sono dovute “sia a problemi di adeguatezza dei dispositivi da parte delle famiglie degli studenti, ma anche a difficoltà legate a fattori organizzativi: dall’infrastruttura tecnologica messa a disposizione o adoperata dalla scuola e dal coordinamento interno con il dirigente e con i colleghi”.

La conclusione è dunque conseguente: la stragrande maggioranza degli insegnanti intervistati (ben il 76%) non ha dubbi sulla insostituibilità della didattica in presenza e sul fatto che la didattica a distanza sia una soluzione necessariamente temporanea, una modalità per far fronte all’emergenza. 

L’indagine affronta un altro aspetto importante, quello che attiene al lavoro degli insegnanti. La didattica a distanza ha avuto un impatto negativo sulle condizioni di lavoro per la maggior parte di chi ha risposto alle domande: per circa due docenti su tre (64,7%) il carico di lavoro è aumentato in modo rilevante in seguito al passaggio alla didattica a distanza. Tra le lavoratrici si registra un aumento dei carichi di lavoro maggiore rispetto alla platea maschile (un aumento rilevante per il 67% delle docenti contro il 57% dei maschi). 

Altro aspetto che emerge con forza fa riferimento ai processi decisionali: in poco più della metà dei casi (52,8%) la didattica a distanza è stata definita unilateralmente dal dirigente scolastico e dai suoi collaboratori. Quanto alla formazione, nel 62,5% dei casi sono state attivate per sostenere i docenti nell’acquisizione delle competenze necessarie, con delle carenze maggiori che emergono tra i docenti della scuola primaria (il 44,5% non ha ricevuto una formazione specifica).

Quanto alle infrastrutture immateriali, la piattaforma utilizzata dalla scuola è stata giudicata poco o per nulla adeguata per il 21,4% dei rispondenti, abbastanza adeguata per il 57,5% e del tutto adeguata per il 21,1%. La stragrande maggioranza del campione (84,1%) ha utilizzato video/audio lezioni in streaming. Significative sono però le differenze in base al grado scolastico: l’uso di video/audio lezioni in streaming prevale tra gli insegnanti delle scuole secondarie, soprattutto tra quelli delle secondarie di secondo grado (licei: 93,4%; non licei 87,4%). La situazione che riguarda i dispositivi sembra particolarmente deficitaria: più di 8 insegnanti intervistati su 10 (83,3%) usano per la didattica a distanza un proprio dispositivo.

Complessivamente il senso che emerge è chiaro. Come spiegano alla Flc “l’analisi evidenzia da un lato le numerose criticità affrontate dai docenti, dall’altro la loro capacità di reazione e intervento per garantire lo svolgimento delle attività scolastiche, in un contesto caratterizzato da crescenti disuguaglianze (tra i diversi contesti territoriali e organizzativi) e da una estrema diversificazione delle esperienze di didattica a distanza, con una pluralità di stili di gestione, strumenti e pratiche adottate, anche in conseguenza delle carenze di coordinamento, supporto e indirizzo generale”.

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