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La scuola riparte con la paura di rifermarsi.

Tutte le regole per l’apertura più attesa e temuta

07/09/2020
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La Stampa

ALBERTO INFELISE E GIUSEPPE SALVAGGIULO (COORDINAMENTO); NICCOLÒ CARRATELLI (TESTO); CON LA COLLABORAZIONE DI GEDI VISUAL

Far ripartire la scuola nei tempi previsti. Riuscire a tenerla aperta e a farla funzionare. A qualunque costo, o quasi. A Palazzo Chigi e a Viale Trastevere sono consapevoli che sul ritorno in classe degli studenti si giocano molto: la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina la sua poltrona, oltre che la faccia; il premier Giuseppe Conte una buona fetta della popolarità coltivata in questi mesi di emergenza sanitaria e in parte già scalfita. Entrambi sanno che la tenuta del governo è legata più al successo di questa complessa missione, che all’esito delle elezioni regionali. Più alla capacità di garantire didattica in presenza e sicurezza sanitaria, per alunni e docenti, che alla vittoria in Puglia o nelle Marche. Il 14 settembre è il D-Day della ripartenza nella maggior parte d’Italia, anche se in Alto Adige anticipano ad oggi, mentre in Calabria, Puglia e Abruzzo si tornerà tra i banchi solo il 24 settembre.

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Banchi monoposto e sedie “innovative”

Già, i banchi. Forse un giorno sorrideremo riguardando le foto di quelli con i divisori in plexiglass, ordinati a giugno da uno zelante preside di un liceo di Bergamo. Poi si è deciso che era troppo tenere gli studenti come pesci in tanti acquari: troppo asfissiante e troppo costoso. Il Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha ordinato più di 2 milioni di banchi monoposto, di taglie diverse, e 400 mila sedute “innovative” con le rotelle, destinate alle scuole superiori per consentire una diversa gestione degli spazi nelle classi. Una spesa di oltre 200 milioni di euro, per un rinnovo degli arredi scolastici che in alcune regioni del Sud ha sfiorato il 70%. E’ un’operazione piena di difficoltà tecniche e logistiche, dall’approvvigionamento delle materie prime al trasporto fin nelle aule. L’ordine è partito tardi, ad agosto inoltrato, e le 11 aziende che hanno vinto il bando della gara europea stanno sostenendo ritmi di lavoro forsennati per garantire le consegne nei tempi previsti. Alcune sono già state effettuate, soprattutto nelle zone più colpite dall’epidemia, in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. L’obiettivo è terminare entro la fine di ottobre: «Ce la faremo, al massimo sforeremo di una o due settimane - assicura Emidio Salvatorelli, presidente di Vastarredo, una delle più grandi aziende produttrici – anche perché nei contratti che abbiamo firmato ci sono delle penali in caso di ritardo».

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Spazi insufficienti e poche aule

Ma se anche i banchi arrivassero entro il primo mese di lezioni, potrebbero non bastare a garantire il distanziamento tra gli studenti, perché le aule sono sempre quelle, i metri quadri non cambiano, e in molti istituti è quasi impossibile adeguarli o crearne di aggiuntivi. Un paio di mesi fa questo problema riguardava il 15% delle scuole italiane, tanto che il governo aveva sollecitato (e poi finanziato) gli enti locali ad attivarsi per individuare soluzioni, anche esterne ai plessi scolastici. Si era parlato di sale convegno, biblioteche, musei, addirittura bed and breakfast e appartamenti privati da affittare. Ora, secondo i tecnici del ministero, solo il 2-3% delle scuole resta in condizioni tali da non poter garantire il distanziamento tra gli studenti, dovendo quindi imporre l’obbligo di mascherina in classe o, nel caso delle superiori, optando per la didattica a distanza, magari con alternanza dei ragazzi lasciati a casa. Secondo l’associazione dei presidi mancano ancora 20mila aule, con un deficit di circa 150mila posti. L’obiettivo è colmarlo, se non per il 14 settembre, almeno entro il primo mese dall’inizio dell’anno scolastico.

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Mascherine in classe e temperatura a casa

Nelle classi in cui non sarà possibile, almeno per i primi tempi, stare a distanza di sicurezza, bisognerà seguire le lezioni indossando la mascherina. Anche se molti esperti, pediatri e virologi, hanno convenuto sull’oggettiva impossibilità di applicare questa misura preventiva sui bambini per 4 o 5 ore di lezione. Servirà tutta la pazienza e il buon senso degli insegnanti, che «rischiano di spendere più tempo a far rispettare le regole che a fare lezione», per dirla con il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. Di certo le mascherine dovranno portarle tutti negli spazi comuni, negli spostamenti all’interno della scuola, all’ingresso e all’uscita. Uniche eccezioni, ovvie, a mensa mentre si mangia e in palestra mentre si fa ginnastica. Bisognerà andare a scuola muniti di mascherina, ma non di termometro, quello serve a casa per misurare la temperatura prima di uscire ed accertarsi di non averla sopra i 37,5 gradi. Ai genitori viene chiesto di monitorare i figli, altra scelta che ha diviso gli esperti, perché molti ritengono più giusto e affidabile il controllo all’ingresso degli istituti. In Campania probabilmente sarà così, con i termoscanner distribuiti alle scuole. E anche a Roma, per asili nido e scuole materne comunali.

Il protocollo in caso di contagio a scuola

Tutte le precauzioni possibili non serviranno, però, ad annullare il rischio che uno studente asintomatico porti il virus a scuola. Per questo è stato previsto uno specifico protocollo dell’Istituto superiore di sanità in caso di contagio sospetto tra le mura scolastiche. Se un alunno si sente male, con febbre sopra i 37,5 gradi o sintomi compatibili con il Covid, il personale scolastico deve subito avvisare il referente Covid dell’istituto, il quale telefonerà ai genitori. Nel frattempo, lo studente va trasferito in una stanza isolata, in compagnia di un adulto, che, con la mascherina e a distanza di almeno un metro, aspetterà con lui l’arrivo dei genitori. Dopo che l’alunno è stato prelevato, la stanza deve essere pulita e disinfettata. Una volta a casa, la famiglia contatta il pediatra o medico curante, per una prima valutazione clinica (triage telefonico) del caso. Sarà lui, se lo ritiene necessario, a chiedere un tampone immediato e a darne comunicazione al Dipartimento di prevenzione. Se il test risulta positivo, si notifica il caso e scattano le procedure di sanificazione straordinaria della classe e della zona della scuola interessata. Inoltre, si avvia la ricerca dei contatti: il referente scolastico Covid deve fornire al Dipartimento di prevenzione l’elenco dei compagni di classe e degli insegnanti che sono stati a contatto con il paziente nelle 48 ore precedenti l’insorgenza dei sintomi. I contatti considerati stretti saranno messi in quarantena per 14 giorni dalla data dell’ultimo contatto con il soggetto positivo. Per certificare la guarigione serviranno due tamponi negativi, da eseguire a distanza di 2-3 giorni, oltre alla scomparsa dei sintomi. Il pediatra o medico curante dovrà firmare un’attestazione necessaria per il rientro a scuola. Sia per gli studenti che, a maggior ragione, per gli insegnanti, andrà organizzata e supportata la didattica a distanza per tutto il periodo dell’isolamento domiciliare. Almeno finché non saranno disponibili tamponi veloci in tutte le scuole e in tutte le regioni, per accertare subito l’eventuale positività.

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Insegnanti “fragili” e precari

Proprio gli insegnanti rappresentano, paradossalmente, la grande incognita di questo complicato inizio di anno scolastico. Prima la polemica sui test sierologici volontari e non obbligatori, poi quella sui lavoratori “fragili”, con patologie o condizioni di salute tali da rendere più alto il rischio di contagio a scuola. I sindacati avevano ipotizzato un massiccio ricorso alla certificazione di non idoneità al servizio, soprattutto da parte dei professori over 55, che rappresentano il 40% del nostro corpo docente. Poi, dopo essersi resi conto di non aver contribuito ad accrescere la popolarità della categoria di fronte all’opinione pubblica, hanno rassicurato sul fatto che gli insegnanti intenzionati a chiedere l’esonero sono un numero residuale, «poche migliaia, alla fine nemmeno uno per scuola». Resta, però, la necessità di una circolare del ministero con linee guida chiare a beneficio dei dirigenti scolastici che dovranno gestire eventuali “fragilità”: regime di malattia o aspettativa, lezione a distanza o sostituzione con un supplente, sono alcuni dei dubbi da chiarire. Fragili o no, i precari saranno ancora chiamati a tenere in piedi la scuola italiana, che per andare a regime avrà bisogno di portare in cattedra circa 250mila supplenti su un totale di 800mila insegnanti. Perché l’atavico problema dei concorsi mai svolti, e quindi delle graduatorie esaurite in molte regioni e per molte materie, ha reso inefficace anche il piano da 85mila assunzioni lanciato dalla ministra Azzolina. Con la procedura ordinaria non si è superato il 30% delle immissioni in ruolo, rispetto ai posti disponibili. E non è servita a molto la novità della “chiamata veloce”, con la possibilità per i docenti di ottenere la cattedra a patto di trasferirsi per 5 anni in un’altra regione, quasi sempre un viaggio da sud verso nord. Secondo la Uil Scuola, ad esempio, in Campania restano vuoti quasi la metà dei posti, 2500 sui 4600 autorizzati. In Lombardia non sono stati assegnati quasi 2000 posti per gli insegnanti di sostegno alle scuole medie. Non una novità per il nostro sistema scolastico, ma con l’emergenza Covid i buchi di organico, che riguardano anche i bidelli, possono rivelarsi un problema aggiuntivo nella fase di ripartenza: trascinarsi, com’è probabile, cattedre vacanti fino ad ottobre, ora non incide solo sulla didattica, ma anche sulla sicurezza. E così il ministero ha provato a velocizzare l’assegnazione delle supplenze, con la completa digitalizzazione delle pratiche e un nuovo algoritmo per gestire titoli punteggi. Le Gps (Graduatorie provinciali per le supplenze) non sono state proprio un successo, fin da subito sono state segnalate anomalie, punteggi sballati, titoli non conteggiati o aggiunti a caso. Alcuni esempi: cattedre di francese assegnate a docenti che non parlano la lingua, 15 anni di servizio sul sostegno riconosciuti a chi non ha passato nemmeno un giorno con i disabili, tre lauree accreditate ad un’insegnante 22enne ad inizio carriera. Per il ministro, su quasi 2 milioni di domande sono state riscontrate solo 40mila anomalie: «Tutte risolte, parlare di caos è pretestuoso», è la linea. I sindacati, invece, hanno chiesto di congelare le Gps, accogliere e verificare tutti i reclami, fare affidamento sulle vecchie graduatorie d’istituto per far partire l’anno regolarmente. In caso contrario prefigurano una pioggia di ricorsi al Tar e il rischio di ritrovarsi tra qualche mese con cattedre ribaltate e docenti spostati dai giudici. Quanto ai concorsi pubblici già banditi, per assegnare quasi 78mila cattedre tra scuola primaria e secondaria, si svolgeranno in autunno e chi li vincerà entrerà in ruolo solo per l’anno scolastico 2021/2022. Che sembra lontanissimo.

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Ma anche senza aule sufficienti, senza banchi monoposto e senza tutte le cattedre coperte, questo anno scolastico dovrà cominciare. La partenza non è più in discussione: «Abbiamo lavorato tanto per farcela, sulla scuola si è fatta campagna elettorale – dice Lucia Azzolina - ma alla fine andrà bene, come è stato a giugno per gli esami di maturità». Nei corridoi di viale Trastevere c’è la consapevolezza che il 14 settembre non sarà un punto di arrivo: «Inizierà un altro lavoro, che riguarderà anche altri ministeri, la Salute e i Trasporti ad esempio - spiegano dallo staff della ministra – la vera sfida sarà tenere aperte le scuole, portare a termine l’anno». Nel protocollo dell’Istituto superiore di sanità, si chiarisce che «un singolo caso confermato di Covid in un istituto non dovrebbe determinarne la chiusura soprattutto se la trasmissione nella comunità non è elevata». La valutazione spetterà al Dipartimento di prevenzione dell’Asl, che deciderà in base «al numero di casi positivi e di eventuali cluster e del livello di circolazione del virus all’interno della comunità». Insomma, nessun automatismo, le decisioni saranno prese nei territori, anche in base all’andamento generale dei contagi. E tutti hanno ben presente il peso psicologico e politico che avrebbe una nuova chiusura, più o meno generalizzata. Meglio concentrarsi sul suono della campanella, che annuncia l’inizio delle lezioni. Liberatorio, quasi festoso, per molti. Grandi e piccoli. Un allarme, invece, per altri. Costante, sottotraccia, che leva il sonno. E suonerà per dieci mesi.