La scuola è una scatola nera
di Tullio De Mauro
da Internazionale
Nelle indagini statistiche sull'istruzione non cercate il Santo Graal. La scuola è una scatola nera. Non ci sono bacchette magiche per capire cosa ci succede dentro. Conosciamo e misuriamo almeno in parte quello che immettiamo, gli input: risorse investite, reclutamento e retribuzione degli insegnanti, programmi. E conosciamo e misuriamo alcuni risultati finali, gli output, come i livelli di conoscenze e abilità degli alunni che ne escono. Ma guai a stabilire correlazioni rigide tra un certo input e un certo output: finiamo fuori pista. Sono questi i caveat che Paul Kielstra, accreditato studioso di tendenze macroeconomiche, e Denis McCauley, dell' Economist Intelligence Unit, si preoccupano di mettere avanti fin dalle prime pagine del rapporto The learning curve. Lessons in country performance in education (La curva dell'apprendimento. Lezioni sui risultati di un paese nell'istruzione), pubblicato in rete dall'editore Pearson e curato dall'Economist. Il rapporto spreme il succo di una Lcdb, Learning curve data bank, una banca dati, anch'essa scaricabile, che per sessanta indicatori (di input finanziario, di risultati educativi, di contesto socio-economico) dà le variazioni delle correlazioni con l'andamento scolastico in cinquanta paesi dagli anni novanta in poi. Un riassunto breve è impossibile. Ma, per dare un'idea, si può vedere con quali risultati la percentuale italiana di spesa pubblica per l'istruzione sia andata crescendo dagli anni novanta al 20 01 e poi sia regredita fin sotto i livelli degli anni novanta, mentre le percentuali svizzera e svedese, molto maggiori dell'italiana, sono andate crescendo, e quella danese e finlandese, anch'esse ben più alte dell'italiana, sono andate leggermente decrescendo. Oppure possiamo vedere quanto pesa la pressione delle famiglie perché le scuole spingano ad alti risultati: moltissimo in Qatar, poco o quasi niente in Germania, Finlandia, Hong Kong, Cina, con scuole dai risultati eccellenti. Questo sforzo di sintesi di Pearson ed Economist ha diverse motivazioni. Per il 1950-2010 una ricerca di Robert Barro e Jong Wha-Lee in 140 paesi ha mostrato la correlazione tra lo sviluppo dei diversi livelli di istruzione e la crescita dei redditi nazionali e individuali. Anche prima di questo studio la percezione della relazione tra istruzione e sviluppo ha sollecitato indagini che, però, hanno rischiato di assumere una prospettiva soltanto economicistica e produttivistica. Lo ha denunciato Benedetto Vertecchi nell'editoriale del numero speciale con cui la rivista Cadmo ha celebrato i suoi vent'anni. Anche un recente saggio di Andreas Schleicher, di cui Annamaria Testa ha scritto in "La scuola del duemila" (intern.az/scuola2o o o), pur se ha un orizzonte più ampio e complesso, rischia di farsi leggere in modo riduttivo: facciamo scuole che sviluppino intelligenza critica e creatività perché questo migliora la produttività (anche su questo il rapporto Pearson fa luce) e lo chiedono gli imprenditori (poco gli Italiani). Ma in molti paesi, indipendentemente dagli obiettivi strettamente economici, le politiche scolastiche e i possibili interventi per migliorare l'istruzione sono stati e restano temi centrali, che impegnano i capi di stato e governo o i leader che si candidano a diventar tali. E, a pensarci, è ovvio: una classe politica, se vuole davvero governare, e cioè concorrere a indirizzare a lungo termine l'intera vita di un popolo, deve impegnarsi a fondo per favorire (ma attenzione: anche soffocare) cultura e istruzione, cioè le istituzioni della cultura e, massima tra queste, il sistema dell'istruzione, la scuola. Le grandi indagini periodiche comparative internazionali sui risultati dell'istruzione sono state e sono in parte effetto in parte concausa di questa consapevolezza delle classi dirigenti. Dagli anni novanta queste indagini rovesciano nell'informazione ondate di dati e classifiche, ma, in parte per il modo sommario in cui sono usate, lasciano in ombra due aspetti fondamentali per capire che ne è di un sistema di istruzione: il tempo e lo spazio, la vicenda storica e la geografia culturale in cui le scuole operano. The learning curve aiuta a correggere questo difetto di ricezione. Rispetto a visioni semplicistiche è un buon correttivo dire che la scuola è una scatola nera. The learning curve però comincia a farci capire che in realtà essa non è propriamente tale. Piuttosto è un aggregato di parti, certo interagenti, ma non in modo automatico: parti inanimate, statiche (gli edifici o i programmi e le norme), e parti in continua evoluzione come dirigenti, insegnanti, alunni, tecnici e personale amministrativo, tutti imprevedibili esseri umani, tutti differenziati per età e provenienza socioculturale. L'intero insieme è in un delicato rapporto di dare e avere con la cultura antropologica e quella intellettuale di un paese, con le sue lingue e la sua etica, con la politica dei gruppi dirigenti, con il progredire delle conoscenze scientifiche, con le esigenze dell'economia e del lavoro. Nella vita dei popoli qualcosa di più reale e più santo del Santo Graal.