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«La scuola è un luogo sicuro». Cosa dicono i dati su positivi e Rt

Un team di scienziati ha incrociato i dati e concluso che l’incidenza di positivi tra gli studenti è inferiore rispetto a quella della popolazione generale e che i focolai si riscontrano in meno del 7% di 13 mila scuole analizzate

20/12/2020
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

La seconda ondata del coronavirus non è colpa della scuola. Mentre il fisico Roberto Battiston invoca la didattica a distanza per evitare il dilagare del contagio, va in direzione contraria uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori che ha incrociato dati del ministero dell’Istruzione, banche dati, Istituto superiore di sanità e regionali dal 14 settembre al 7 novembre sul 97% delle scuole italiane, ovvero 7,3 milioni studenti e 770 mila insegnanti. La ricerca infatti dice che l’incidenza di positivi tra gli studenti è inferiore a quella nella popolazione generale: se la media è 108 su 10 mila, nelle scuole primarie e secondarie di primo grado è stata di 66 su 10 mila, mentre nelle scuole superiori 98 su 10 mila. Nei gradi inferiori di istruzione, infatti, l’incidenza di nuovi positivi è stata mediamente inferiore del 38,9% rispetto al resto della popolazione in tutte le regioni (tranne il Lazio) mentre nel caso delle superiori è stata «solo» del 9%, tranne in tre regioni (Lazio, Marche ed Emilia Romagna). Tra gli insegnanti e il personale non docente l’incidenza è stata due volte superiore a quella osservata nella popolazione generale (circa 220 su 10 mila) perché il numero di tamponi effettuati è molto elevato. Il numero di test per istituto a settimana è infatti variato in media da 7 nella scuola materna a 18 nelle scuole medie, con diverse scuole che fanno ben oltre i 100 test in una settimana durante il tracciamento.

«La scuola è un luogo sicuro». Cosa dicono i dati  su positivi e Rt

Qual è l’importanza di certi dati? «A mio avviso conduce a un’altra importante riflessione che riguarda il contenimento del contagio - spiega la professoressa Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica presso l’istituto europeo di oncologia di Milano, oltre che professoressa abilitata di statistica medica alla Statale di Milano e alla Semm (European School of molecular medicine di Milano)- La sistematicità dei controlli nelle scuole di fatto veicola un ulteriore servizio dello Stato verso il cittadino, consentendo un tracciamento altrimenti impossibile a scuole chiuse». Gandini ha lavorato insieme a Luca Scorrano, medico, già direttore scientifico dell’istituto veneto di medicina molecolare, professore ordinario di biochimica all’università di Padova e Francesco Cecconi, professore ordinario e biologo cellulare dell’università di Roma e Copenaghen, entrambi membri dell’Embo, società scientifica che vanta nella sua storia 87 premi Nobel. Nel team di esperti, che ha investigato sull’indice Rt (l’ormai famoso indice di trasmissione) nelle regioni del Paese dove le scuole hanno riaperto in giorni diversi, e i dati raccolti dalle scuole in questa fase, ci sono anche Maria Luisa Iannuzzo, medico legale del dipartimento di Prevenzione Aulss9 Scaligera e Maurizio Rainisio, biostatistico con più di 40 anni di esperienza con aziende farmaceutiche.

«La scuola è un luogo sicuro». Cosa dicono i dati  su positivi e Rt

Nel loro studio viene anche calcolato quanti nuovi focolai (cioè l’infezione di due o più contatti scolastici stretti) sono stati individuati nel periodo tra il 23 novembre e il 5 dicembre tra studenti e docenti di scuole materne, elementari e medie. Ebbene, i dati mostrano che a fronte di un elevato numero di test effettuato ogni settimana, i focolai si riscontrano in meno del 7% delle 13 mila scuole analizzate nelle due settimane, un campione di quasi un milione di studenti. Infatti, meno dell’1% di tutti i tamponi eseguiti a seguito di un positivo a scuola sono risultati positivi. Gli scienziati si sono poi chiesti se l’apertura delle scuole avesse favorito l’aumento dell’indice di trasmissione. Anche in questo caso, secondo lo studio, gli aumenti dell’indice Rt non correlano con l’apertura delle scuole, anzi: in alcune regioni dove le scuole hanno aperto prima, l’Rt è aumentato più tardi rispetto alle regioni dove le scuole hanno aperto dopo, e viceversa. I dati internazionali, spiegano i curatori, vanno nella stessa direzione: l’Oms dice che sono stati segnalati pochi focolai nelle scuole dall’inizio del 2020, e che la maggior parte delle infezioni riportate negli studenti sono state acquisite a casa, e che negli eventi di cluster scolastici generalmente il virus è stato introdotto da personale adulto. «La scuola appare un luogo sicuro, non di contagio», concludono Gandini, Rainisio, Cecconi, Iannuzzo, Bellerba, Scorrano. Come aveva fatto qualche giorno fa Riccardo Cesari, docente dell’Università di Bologna e membro del Consiglio dell’Ivass, sul Corriere.

«La scuola è un luogo sicuro». Cosa dicono i dati  su positivi e Rt

Questi dati, concludono gli esperti, indicano che le scuole sono sicure e che gli studenti non sono un bacino di virus. «I bambini si infettano e infettano meno degli adulti ma sono quelli che, con le scuole chiuse, pagano di più, in modo sproporzionato, le misure di contenimento del virus- conclude Gandini- Un recente studio olandese dimostra ad esempio che con due mesi di didattica a distanza c’è una riduzione dell’apprendimento scolastico, rispetto agli anni precedenti, del 20%, che diventa del 50% per gli studenti con genitori non laureati».


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