FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3905315
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » La scuola dei polli e il pollaio Italia

La scuola dei polli e il pollaio Italia

di Mila Spicola

20/09/2013
Decrease text size Increase text size
l'Unità

“Sono Antonio, ho 15 anni, frequento la 1 superiore dell’istituto professionale XX, Catania. Sono stato bocciato una volta, in prima media. Già lavoro, aiuto un meccanico nel mio quartiere. Non mi piace studiare perché già in terza elementare non capivo molto e mi annoiavo. Si è vero, i professori li faccio impazzire, così mi sospendono e me ne sto in officina. Mi sono iscritto al superiore per l’obbligo e per far contenta mia madre, che sapi scrivere solo il suo nome e infatti manco alle elementari mi dava verso per i compiti.  In classe siamo in 38, almeno una 20ina li conosco, son tutti come me. Non ci chiamano per nome, e manco per cognome. Avanti ca finisciunu l’appello è finita la prima ora. E le altre volano: tra grida e urla passa a matinata. Chissa è a scola. Mi faccio solo quest’anno e ciao. Mia madre mi dice “dai, magari ci pigli gusto e ti prendi il diploma” “Mamma, siamo in 38 e in 20 uncicapemu na beata mazza di chiddu chi dicinu, anche se sti mischini si sforzano, seconnu tia ncapu a 38 u spiegano a mmia? Non vedono l’ora che ci leviamo dalle palle. Metà classe bocciata, u primu io, te lo dico adesso a secondo giorno. Attenzione: meritatamente. Te li immagini 38 diavoli comu ammia in una classe? Ne vedranno delle belle ste professoresse. Scordatillu u diploma, po mu pigghiu macari, cu a scola serale, a 30 anni. A noi è meglio perderci che tenerci. Così gli alziamo la media nelle prove Invalsi.”

“Sono Chiara, sono commercialista, insegno discipline giuridiche economiche in un istituto professionale, primo incarico in assoluto perché ho vinto il concorsone. Sono contentissima di averlo vinto, un terno al lotto, però sono arrivata prima. C’è che son finita in questa scuola di Catania, professionale, primo anno classe di 38 alunni. Allucinante, saltano sulle sedie, entro in classe e nemmeno se ne accorgono, ma siamo impazziti? Per fortuna ho preso il part time, così almeno non chiudo lo studio. C’è che anche solo un’ora in quella classe mi fa perdere il senno, ma che ragazzi sono? Come si fa ad insegnare così? A tre li ho già mandati dal preside ma quello me li ha rimandati in classe. E son messi là che voglion fumare..E sono al secondo giorno..”

“Sono Fulvio, ho 13 anni, sono un anno avanti e sono in 4 ginnasio, liceo Mamiani di Roma, in classe siamo in 32. Mio padre è medico, mamma avvocato. Da grande voglio fare il magistrato. I compagni son tutti nuovi e mi sembrano fighi. I prof ancora non so. Al primo giorno quella di italiano ci ha lasciato un tema con delle domande di grammatica, storia e geografia. Dopo due giorni ce li ha riportati e il voto più alto era sei, il più basso zero. Mamma è andata a scuola e ha fatto l’inferno . Anche se ho preso sei: è il voto più basso che ho mai avuto.  La prof l’ha tranquillizzata, non ha valore è un  test d’ingresso per capire a che livello siamo e non deve preoccuparsi se siamo in tanti: è “fisiologico”, almeno in otto o dieci non passeranno l’anno e così l’anno dopo e quello dopo ancora. Ma lo sa fin da subito? “E’ fisiologico”. Il giorno dopo e quello dopo ancora ci ha interrogati uno ad uno. La cosa strana è che non guarda negli occhi quando parla, guarda in aria. Per fortuna non son tutti come lei, però è brava e non devo fiatare o lamentarmi perchè son fortunato ad avere una prof così brava. Così ha detto mamma. Anche se non guarda negli occhi.”

“Sono Anita, ero architetto una volta, oggi insegno in una scuola media a rischio, da 7 anni ormai., a Palermo. Dura è stata dura, i primi tre anni piangevo tutti i giorni quando tornavo a casa in motorino dallo Zen. Però ho vinto io e ci son rimasta. Secondo giorno di scuola. Quelli di terza son cresciutissimi ed è tutto un baci e abbracci poessorè. Certo Salvo è sempre un rompicoglioni epocale e inizia già a provocare. Ma lo so che è per questa Anna, una bocciata che viene dalla sezione F caruccia, come dargli torto se vuol farsi bello. E in questo ha sempre seguito. Non è che gli altri siano più sereni o interessati alla scuola. Anna non parla ma so che è tosta tosta. E con parecchi problemi a casa. Salvo bello non è e usa le armi che ha: far casino in classe. Lo guardo dritto negli occhi e lui si blocca. “Salvo! Vieni qua dai, invece di creare scompiglio al primo minuto, aiuta la tua prof a spostar sta cattedra dai, ragazzi spostiamo tutti i banchi che facciamo compito di gruppo? Salvo dirigi il traffico amunì, dai. E sorridi ogni tanto Salvo, cuccù ce l’hai?” “Poessorè, domani non vengo a scuola già mi siddiò alla prima ora del primo giorno, lei e questo scompligio che non so che è” “E io ti rompo le gambe” “E se tu mi rompi le gambe io ti mando in galera” “Buono, così vieni a trovare pure a me? E dammi del Lei. Dai, facciamo lezione che quest’anno abbiamo gli esami e l’anno prossimo tutti al superiore vero?” I miei alunni, quelli che faticosamente si guadagnano la promozione, si iscrivono tutti al superiore. Quelli come Salvo e Anna e come circa il 30% di questa classe, alle superiori durano una settimana, poi iniziano a fare assenze, sempre più lunghe, fino a Natale: a gennaio alcuni se li son già persi per strada. Il 30% di questa terza, la mia terza,  ha già scritto in fronte  “potenziale disperso”,  sono quelli che le prove Invalsi le scarabocchiano tutte, alle superiori (e il nostro miracolo è farceli andare) andranno in scuole professionali, composte da classi di 30-36-40 alunni, giusto il tempo di mandarsi a quel Paese con simpatia e vicendevolmente. Come può una collega seguirli uno ad uno, in classi di 30/38 ragazzi, tutti difficili? Non ci vorrebbe tanto a recuperarli: attenzione, tempo dedicato e pazienza.”

Le storie di cui sopra sono tutte vere, accade adesso, non nel 1960. Il Decreto Scuola ha stanziato 15 milioni di euro per combattere la dispersione scolastica. Le classi pollaio, cioè le classi con un numero di alunni illegale perché composte da più di 24 alunni, nelle prime classi delle scuole superiori italiane sono la norma, non l’eccezione.  Sono la risposta all’assunto che “gli insegnanti in Italia sono troppi”. Va da sè che non ci vuole mica un’indagine sociologica per capire che è più facile perdere un ragazzio fragile in una classe composta da 38 allievi che in una classe composta da 24 allievi.

A fronte dei 20% di dispersi poi ci sono il 20% di scarsi e l’esercito dei sufficienti. In una classe numerosa il processo insegnamento-apprendimento è più facile che sia di tipo selettivo, che di tipo “recuperativo”, per il semplice motivo che, al di là delle intenzioni, non si può procedere in modo individualizzato coi fragili, e i bravi vanno avanti in modo rettilineo uniforme in genere. Per cui abbiamo un 40% composto di dispersi e di scarsi. Alla faccia della competitività internazionale. Come si agisce oggi nei confronti di costoro? Con corsi di recupero insufficienti, inefficaci, saltuari e discontinui oppure con splendidi progetti, anche questi insufficienti, inefficaci, saltuari e discontinui. A questo serviranno i 15 milioni stanziati nell’ultimo decreto scuola. Certamente non ad eliminare le classi pollaio.

Certo costa economicamente molto di più ammettere che i ragazzi son troppi in rapporto ai docenti. Costa molto di più eliminar le classi pollaio e avere modo di lavorare su tutti i ragazzi,  che frantumare 15 milioni di euro alle scuole per farci meravigliosi quanto inutili progetti pomeridiani contro la dispersione o premiare i migliori.

Costa di più ammettere che la bravissima neo prof Chiara, meritoria prima al concorsone e da poco di ruolo, in una classe come quella farà solo danni. Nonostante le lodi meritate che potrebbe ricevere dal 100 % del normale cittadino.  Eppure sulla carta è la prima nella sua disciplina. Farà danni a se stessa e ai ragazzi. Perchè il concorso non verteva certo su “come avere a che fare con ragazzi difficili”.  Come avere a che fare con Salvo, che ti tirerà una sedia in testa appena gli gireranno i cinque minuti. E la tua bravura eccezionale nel commentare il comma 31 ter della legge 34 bis a poco ti servirà. E ancor meno servirà a lui. Come potrebbe servire poco ad affrontare le crisi d’identità che avrà ad un certo punto Fulvio e in due, tu e sua madre, vi ritroverete all’ improvviso con un estraneo inacchiappabile. e impenetrabile

Quanto costa tutto quello che non facciamo per la scuola? Tutto quello che non sa sulla scuola il Paese e che invece crede di sapere quando gli si affidano “le scelte di facile consenso”? Su scala di sistema e nel lungo periodo costa di più capire il costo sociale ed economico di questo 40% di giovani incollocabili. Costa di più comprendere il malessere e la noia dei nostri liceali. Costa di più affrontare la disorganizzazione totale del Sistema Scuola Italia. Non dei docenti, del sistema, perché loro son la trincea, i signori Malaussene, non il tavolo delle tattiche. Costa di più affrontare globalmente il collegamento tra formazione e reclutamento degli insegnanti e la loro formazione ricorrente in servizio. Per tutti non per alcuni sì e altri no. Costa di più ammettere che si deve agire dal profondo nel percorso formativo e selettivo dei docenti, a monte dunque. Non a valle. Perchè la panacea “Valutazione”, agitata da tanti senza sapere di cosa stanno parlando, nel bene e nel male,  è solo un termometro, non altro, che nulla ha a che fare con la cura, meno che mai con la prevenzione.  Dunque è inutile agitarsi troppo al riguardo, sia nel caso che si sia a favore, sia nel caso che si sia contrari.

Costa di più la perdita complessiva di competitività del Paese derivante da una percentuale consistente di risorse umane dequalificate e quella non la recuperi premiando i primi e nemmeno con 15 milioni di euro. Ma sollevando e facendo avanzare, con azioni efficaci e strutturali,  quel 40% di deboli e di dispersi. Con docenti, diversa organizzazione, politiche compensatorie di sistema (contesto, territorio, reti) e tempo scuola per tutti, non con le chiacchiere.

A dirla tutta, io son di parte:  sto con Salvo, con Antonio e con Anna, sono corporativa e la mia corporazione si chiama “ragazzi”. Rimango dalla loro parte e raccontandovelo cerco di difenderli.  Non so voi, spesso non comprendo gli adulti, perchè ragiono mettendomi nei panni di un ragazzo, e sempre meno comprendo i governi.

La scuola è un sotto sistema sociale, lo dico e lo ripeto. Ne riflette pregi e difetti in ogni senso. Abbiamo le classi pollaio, la scuola pollaio? Evidentemente siamo e vogliamo essere un Paese pollaio con un popolo di polli.

Costa di più non decidere, non capire, non programmare una visione di scuola conseguente a una visione di Paes.

Vogliamo un Paese che formi un 10 % di eccellenze, un 30% di sufficienti e un 60% tra scarsi e dispersi? Secondo la teoria dei sistemi un 10% di eccellenze formative basta per mantenerci nel novero delle potenze mondiali. E’ la visione attuale di Paese negli Stati Uniti ad esempio. E allora va benissimo questa scuola. Premiamo solo il 10%, che siano docenti o allievi poco conta e lavoriamo su piccoli numeri con investimenti limitati.

Ma se vogliamo sollevare i livello di benessere non del 10% che sta già comunque al massimo del suo benessere, ma vogliamo agire sul 90%, composto da medio, basso e bassissimo, questa scuola non va bene. Deve puntare su altro. Su Salvo, Anna e Antonio. E su Chiara, la prof. Per far questo servono ben altri investimenti. Perché si tratta di agire sul 100%.  La prima cosa da capire e da stamparsi nella testa dev’essere che la scuola e i processi educativi discendono, oltre che da una miriade di variabili di contesto, in cui il docente è una casellina, da un fattore R: il fattore “relazione”. E’ uno dei pochi sistemi in cui tale variabile crea la differenza quasi e quanto il  malefico fattore ESCS (contesto socioculturale familiare). Ma il fattore Relazione agisce sui piccoli numeri. Lo deve capire un governo, lo deve capire la mia collega del liceo Mamiani, lo deve capire Chiara, lo deve capire un econometrista, lo devono capire tutti.

I due modelli di scuola, come di Paese, sono entrambi realizzabili e legittimi.

Ripeto, dipende da che tipo di potenza vogliamo essere, che tipo di statistiche vogliamo raggiungere. Traslate adesso le percentuali dei rendimenti scolastici all’assetto socioeconomico complessivo di un paese, tanto sono uguali.

Vogliamo un Paese con un benessere diffuso, che accorci la forbice tra ricchi e poveri e rimanga comunque ad alta competitività complessiva, con un tot di eccellenze, crescenti, un tot di sufficienti, che tende a migliorare, e un tot di scarsi che tende a diminuire (ceto ricco, ceto medio, ceto povero tendono dunque tutti al progressivo miglioramento)?

O un Paese con un  benessere sempre più concentrato  e con competitività limitata alle eccellenze (che si potenziano, è vero, ma non allargano di numero),  un tot di sufficienti che tende a peggiorare (ceto medio) e un disinvestimento reale sul recupero degli scarsi (nuovi poveri, quelli che rimangono fuori dalla nuova geografia del lavoro che necessita alti livelli d’istruzione), che aumentano? (Questo secondo è conseguente al modello di scuola che stiamo praticando inconsapevolmente).

A voi la scelta. Io vi posso dire come ottenere entrambi e quali azioni praticare. Il primo costa molto nel breve periodo e tende a recuperare i costi nel tempo. Il secondo costa poco adesso ma diventa insostenibile nel lungo periodo.

Il problema, nel primo come nel secondo modello sono gli ultimi. E gli ultimi li devi in qualche modo sostenere. Anche a scuola. Anche se lo vuoi lasciare là, come forza lavoro e basta. Ma il lavoro e basta non serve più, perchè il lavoro com’era non c’è più. Ne devono creare uno nuovo, di tipo diverso. Persino Antonio, per fare il meccanico, deve maturare delle competenze conoscitive, tecniche, tecnologiche, d’impresa, di comprensione, di azione, diverse e nuove per essere competitivo adesso.

Per onestà intellettuale dico che in entrambi i casi, modello uno e modello due, rimarremmo una potenza. Sta a noi decidere che Paese vogliamo essere.

C’è un dato importante e positivo con cui fare i conti comunque: il materiale umano italiano con cui abbiamo a che fare nelle scuole è potenzialmente predisposto per l’eccellenza. Non servirebbe investire le enormi somme che si  investono in altri Paesi. Siamo avvantaggiati: ragazzi svegli e docenti tutto sommato all’altezza, nonostante gli enormi bachi di sistema, tengono botta. Questo significa che con poche azioni strutturali, (strutturali però, non marginali, qualcuna dolorosa, perché costa) ma ben definite, potremmo in due generazioni ridisegnare il destino dell’Italia.

La prima? Perchè qualche esempio facile e concreto bisogna pur farlo. Ammettere, a prescindere dal modello di Paese che si sceglie, che l’Autonomia Scolastica, per come è adesso,  per i margini di discrezionalità e frammentazione che permette, crea più danni  che vantaggi. E che ci vuole un periodo di “accompagnamento” di azioni accessorie per metterla a regime. Un esempio? E’ urgente agire sulla formazione e qualificazione della classe dei dirigenti scolastici in ambito gestionale e organizzativo.  Il reclutamento si  colleghi a un concorso-percorso selettivo-formativo specifico e unitario nazionalmente, da compiersi in una scuola per dirigenti della pubblica amministrazione.  Se la Scuola dell’Autonomia deve camminare e stare in piedi, devono darsi gambe forti a chi deve dirigerla.

Mila Spicola

ps Mi si perdoni la metafora volatile, fin dal titolo, pur odiandole sembra che non si possa partecipare a nessun dibattito su nessun argomento, senza piccioni, falchi e tacchini. Mi son permessa di introdurre i polli, comprendendomi in quest’ultima categoria a pieno titolo.



 

POST CORRELATI


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL