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La ricerca del consenso, la democrazia e i voti numerici

Chissà perché la tematica della valutazione a scuola e la decisione scriteriata governativa di lasciare i voti numerici nella valutazione scolastica mi ispirano alcune caustiche riflessioni di valenza politica generale.

27/04/2017
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ScuolaOggi

Cinzia Mion

Ricordo di aver scritto ultimamente, a proposito della tematica in questione (v.LETTERA APERTA ALLA STAMPA) che se fosse prevalsa  l’ottica governativa e non quella tecnico-psicopedagogica, allora la previsione sarebbe stata che i voti numerici sarebbero rimasti perché la maggior parte dei  politici oggi cerca solo ….il consenso elettorale. L’inflessione implicita del mio commento era chiaramente venata di sarcasmo , per non dire di accusa di superficialità ed approssimazione.        In che senso di superficialità ed approssimazione?                                                                                     Sì,  perché nella mia visione ideale ed ingenua le scelte e le decisioni dei politici devono avere la stella polare del “bene comune” e non il tornaconto di partito, o di corrente o di poltrona  personale. Allora la mia (nostra) delusione  venata di biasimo sente il bisogno di rivelarsi  perché evidentemente “l’aria che tira “ in questo momento è quella di recuperare il consenso dei docenti infastiditi per vari motivi, che non sto qui ad elencare, ma che la maggioranza al potere ha ben analizzato.

I docenti

 E i docenti? Diciamo che i docenti tranne alcuni  illuminati e sostenuti da una motivazione nobile, tranne altri  che in questo frangente hanno potuto riflettere adeguatamente sulla valutazione “formativa”- guidati magari da dirigenti caratterizzati da una significativa “leadership for learning”- tranne altri ancora, soprattutto quelli della scuola primaria che non hanno mai apprezzato la valutazione numerica , quasi come un dispositivo”contronatura”, i docenti dicevo non sanno resistere alle lusinghe del ”chi te lo fa fare”…                                                                                                 - Chi te lo fa fare a rinunciare ad avere un’arma a disposizione…?  Ed avere una notevole schiera di voti numerici, con la destinazione della metà di essi a sottolineare l’insufficienza, è prima o poi, in questa emergenza educativa,  una bella arma a disposizione per vendicarsi dell’alunno/studente indisciplinato, di quello arrogante, dell’altro sfaticato, di quello insipiente, di altri che “ non ti seguono” come ebbe a dire in un suo intervento la prof.ssa Mastrocola.                                         Allora è da un po’ di tempo che mi interrogo sul “senso” del “consenso” nella diatriba politica. E’ risaputo, e non è il caso ora di cercare di dimostrarlo, che la ricerca del consenso è uno dei pilastri della democrazia.

La Democrazia e la ricerca del consenso.

Democrazia sana però, non malata.                                                                                                                 Non contaminata da una serie di derive pericolose che educatori in genere e docenti in particolare  dovrebbero cercare di contrastare attraverso il loro compito pedagogicamente alto ed impegnativo, assegnato dalle Istituzioni democratiche. Compito caratterizzato da faticoso impegno a far crescere le nuove generazioni attraverso conoscenze, non inerti od obsolete ma che meritano di essere apprese e comprese in modo profondo e duraturo (Wiggins), competenze autoriflessive adeguate ad abitare un mondo  che per loro sarà connotato ancora di più  dal paradigma  culturale della complessità. Compito che riguarda anche le competenze sociali tra cui il coraggio delle scelte e delle decisioni. Ma se il mondo politico non sa prendere decisioni coraggiose immaginiamo quale sarà il riverbero sui cittadini, docenti e genitori,  che hanno il dovere di formare.

Derive sociali

Queste  derive in sintesi sono: l’indifferenza diffusa, definita anche non-curanza, un tornacontismo sfacciato e pervasivo, il narcisismo incontrastato, l’apparire al posto di essere, il deficit di etica pubblica intriso di familismo amorale che privilegia l’interesse individuale e familiare (anche se questo risulta in modo  sfrontato contro  l’interesse della collettività).                                                    La ricerca del consenso da parte dei politici dovrebbe tener conto di questi scenari particolarmente preoccupanti oggi in Italia, nel senso che, secondo me, essi non dovrebbero abdicare al loro compito che, oltre ad essere  quello di gestire la “cosa” pubblica, è anche a quello di sensibilizzare ed educare l’opinione comune verso il compito onorevole della Politica per far diventare tutti da “sudditi” a “cittadini”, per far crescere, nel nostro caso,  un serio discorso collettivo  sull’educazione. Non possiamo “far finta” di istituire delle Commissioni di tecnici che istruiscano il lavoro propedeutico alle decisioni governative e ministeriali e poi prendere delle decisioni completamente contrarie solo per interesse elettorale, legittimando anche in questo modo lo scollamento tra il dichiarato e l’effettivo: malattia purtroppo  incarnata nella nostra Pubblica Amministrazione.

Politica con la P maiuscola

E la Politica invece dovrebbe essere  un “servizio” reso alla comunità, non la ricerca di prebende ma il naturale  evolversi della passione politica che è sempre “autogratificante”, non la ricerca compulsiva del “consenso” per il consenso,  a prescindere dalle conseguenze nefaste delle azioni volte a coltivarlo e nutrirlo cinicamente, senza nessun senso di etica pubblica, pur di garantirsi il voto nella legislazione successiva.                                                                                                                 C’è speranza nel nostro Paese? Con il livello di corruzione che stiamo registrando, con le risse tra molti politicanti (non tutti per fortuna)  ridotti a fantocci acefali privi di ogni  idealità, tesi solo a ripetere la legislatura, e potremmo continuare all’infinito a sciorinare le pecche del nostro paese e del sottobosco che alligna  all’ombra del potere. Ma non vogliamo deprimerci troppo.                         E noi persone di scuola, intendo quelle disinteressate, quelle che pensano che solo l’educazione sana, la cultura vera possono trasformare il mondo, sappiamo quanto sia nociva ai fini della innovazione  e della scuola dell’inclusione l’utilizzazione della valutazione tradizionale, inesorabilmente solo sommativa: valutazione che non fa crescere il corpo docente, che non attiva la competenza del “professionista riflessivo”, che non sollecita l’autointerrogazione del docente , anticamera della sua autovalutazione ed evoluzione professionale. Tutto è già stato detto, inutile ripeterlo.

Questo la Ministra lo sa (?) , lo sanno i suoi consiglieri, (spero) ed allora? I politicanti che la condizionano ? Come mai è potuto accadere? Come mai la stampa generalista ha fatto da cassa di risonanza all’opinione della “casalinga di Voghera”? Abbiamo sfiorato l’opportunità di svecchiare il corpo docente , di toglierlo dall’ipocrisia di pensare che se l’allievo non apprende la responsabilità è solo dell’allievo: cancro che impedisce la crescita professionale  dei docenti e quindi della Scuola.

Ma  tant’è…


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