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La prof e Andrea

Il diciottenne morto sul lavoro

04/11/2018
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la Repubblica

Stefano Bartezzaghi

Il tecnico specializzato in fibre ottiche Andrea Masi, diciottenne, è morto il primo novembre, a Milano, per un incidente sul lavoro sulle cui cause sta indagando la magistratura. Il giorno dopo, una sua ex docente lo ha ricordato in un post su Facebook che ha dato una profondità diversa a una notizia già tanto toccante. Parole, le sue, del tutto prive di quella “ retorica” grama che spesso confondiamo con la capacità di costruire un discorso efficace. Del resto questa professoressa non pensava assolutamente di raggiungere vaste platee. Il suo intento era solo quello di ricordare a chi lo aveva conosciuto uno studente di Tradate (Varese) che « quando aveva preso 9 in verifica non ci credeva » . Le è riuscito bene: « Andrea che io volevo continuasse a studiare e lui no prof, io voglio lavorare, Andrea che quel lavoro l’aveva trovato, Andrea che quel lavoro ce l’ha portato via » . Commovente, ma asciutto nella sua forma, era il resoconto di qualcosa che a scuola può capitare e infatti capita di continuo: che uno studente inizialmente poco motivato trovi nella comunità scolastica le ragioni per impegnarsi, si guadagni lì un’identità sociale ( « Andrea che aiutava tutti, Andrea che quando mi si ruppe l’orologio di mio padre, quello che mettevo nei momenti difficili, mi disse dia qua, prof che glielo aggiusto io, Andrea che rideva coi compagni » ) e poi però scelga di non proseguire lo studio e di andare a lavorare.

Sotto il dibattito sull’alternanza scuola/ lavoro agiva e agisce un luogo comune di quelli che all’improvviso vengono ritenuti indiscutibili come verità di fede: che la scuola serva a preparare al lavoro ( anziché, banalmente, alla vita adulta e sociale) e che al momento in cui si trovi un impiego la scuola cessi di essere utile. Il lavoro diventa così prospettiva di vita, proprio nel momento in cui più scarseggia.

Nella parte fortunata, purtroppo tanto crudamente breve, della sua esistenza, Andrea Masi ha avuto l’opportunità di scegliere fra scuola e lavoro poiché abitava in una delle zone economicamente meno svantaggiate della nazione. Per la grande maggioranza dei suoi coetanei italiani il problema non esiste, perché non esiste il lavoro. Non è una prospettiva, ma una fatamorgana; oppure un accrocco arrangiato in modo o poco redditizio o irregolare o precario e il più delle volte le tre cose assieme. Andrea Masi invece era regolarmente assunto, cosa che comunque non è bastata a proteggerlo dall’incidente che gli è risultato fatale.

In un mondo in cui neppure foreste dolomitiche centenarie sono garantite, forse è una pretesa lunare chiedere che il lavoro sia sicuro, e sicuro nei due sensi: che ce ne sia per tutti e sia certamente innocuo per ciascuno. Ma non sembri altrettanto bizzarro pretendere che almeno cresca un nuovo rispetto per la scuola, attualmente umiliata da gragnuole di microriforme disorientate e dal generale discredito che la circonda.

La scuola è il primo passo fuori dalla famiglia, è l’esordio della propria figura sociale, è la prima e per molti resta l’unica occasione di andare incontro a novità sorprendenti, conoscere settori dell’esperienza umana altrimenti inaccessibili, insomma imparare. E magari imparare che prendere nove in una verifica non è fuori dalla portata di nessuno. Imparare che a scuola ci sono insegnanti capaci di motivare e capaci a loro volta di imparare e farsi aiutare dal talento di certi ragazzi ingegnosi.

Non c’è infine bisogno di aggiungere che di un Andrea Masi capace di riparare l’orologio del padre, quello da indossare nei giorni difficili, oggi sente la mancanza, in generale, tutta la società.


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