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La prof "A Bologna ragazzi più stimolati dei coetanei di Lecce"

Marilina Caputo, 41 anni, si definisce una di quelle insegnanti meridionali che amano il Sud e che credono che la scuola possa farcela, nonostante le difficoltà

11/07/2019
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Marilina Caputo, 41 anni, si definisce una di quelle insegnanti meridionali che amano il Sud e che credono che la scuola possa farcela, nonostante le difficoltà, «dipende dalle energie che ci metti, non importa dove sei». Per questo non la sorprendono i dati Invalsi, chi entra ogni mattina in aula lo sa. Laureata in lettere classiche a Lecce, un dottorato di ricerca in Storia antica. Poi l’insegnamento, un mese di supplenza a Bologna, «volevo cominciare ». In cattedra a insegnare lettere, storia e geografia, alle medie e superiori, per tre anni. Il passaggio di ruolo nel 2015 è un ritorno a casa: più scuole girate nella provincia leccese, infine l’istituto Bachelet di Copertino, al professionale.

Partiamo dal dato più eclatante del rapporto Invalsi: il 35% degli studenti di terza media non capisce un testo di italiano. La sorprende?

«Purtroppo è così, una difficoltà che ritroviamo anche nei primi anni delle superiori. Il problema sta nella mancanza di educazione alla lettura. Leggono poco e non capiscono un testo perché leggono male».

La distanza tra Nord e Sud è

marcata. L’ha vissuta tra i banchi degli istituti di Bologna e Lecce?

«L’impoverimento lessicale riguarda un po’ tutti. Il digitale non aiuta: i ragazzi leggono nelle chat, si esprimono con un linguaggio abbreviato nei social. In alcuni contesti del Sud le difficoltà lessicali possono essere aggravate dall’abitudine all’uso del dialetto. La fatica a comprendere un testo parte anche da lì. Una delle prime volte uno studente mi disse: "Vengo accanto a signoria!" Voleva darmi del lei. O vedi errori ortografici mutuati dalle parole dal linguaggio che usano in casa».

Cosa bisognerebbe fare?

«Partire dalla primaria con l’educazione alla lettura e alla scrittura. La lezione frontale? Non va più bene: devi renderli partecipi, ragionare con loro. Quando c’è un argomento che interessa i ragazzi puoi insegnare tanto».

Quanto pesano le differenze socio-culturali del contesto in cui s’insegna?

«Quando porti in gita una classe può capitare che per alcuni studenti sia la prima volta di un volo aereo o di un viaggio all’estero. È la scuola a dare loro questa opportunità. Difficile che le famiglie li portino a teatro o a un concerto, accade per alcuni e non per altri. Ma è chiaro che se si vive a Bologna hai più stimoli. Da quando sono qui mi è capitato più spesso di dover regalare un libro di testo, c’è anche un problema di povertà nei piccoli paesi».

Conta avere strumenti didattici innovativi?

«Alle medie Guercino di Bologna ero in una scuola che era già da tempo 2.0: ci ho lasciato il cuore. Qui purtroppo ti capita che non hai la lavagna multimediale in tutte le classi, che devi prenotare il laboratorio. Il Bachelet è attrezzato, ma le tecnologie digitali non sono diffuse ancora ovunque. Allora devi inventarti altri modi per insegnare».

Hanno livelli critici di apprendimento. Ma sono felici i suoi ragazzi?

«Hanno tanto di più, a volte non riescono a rendersene conto. Vanno spronati ad inseguire sogni, e questo vale per tutti. Al Sud sanno fare più squadra, la scuola qui è ancora aggregazione».


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