FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3948949
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » La piramide dei sessi in ateneo la base è donna, i vertici no

La piramide dei sessi in ateneo la base è donna, i vertici no

La presenza femminile è al 60% fra i neolaureati, crolla al 22% tra gli ordinari Sotto accusa il welfare che manca. E c’è chi denuncia il regime patriarcale

19/10/2018
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Ilaria Venturi

Le battute sessiste nei corridoi non le ascolto, le lettere anonime le cestino ancor prima di aprirle. Devi solo avere la forza di svoltare, far crescere per merito le donne superando stereotipi e luoghi comuni. Solo allora fai capire che il femminile funziona». Cristina Messa, il primo rettore («Voglio essere chiamata così») donna in Lombardia, è a fine mandato all’università Bicocca di Milano.

Non è sorpresa dal grido del collega della Normale di Pisa, Vincenzo Barone, sulle denigrazioni che subiscono le docenti in carriera, sebbene freni: «Non è la norma». Eppure, appena un uomo ha squarciato il velo, le donne all’interno dell’accademia reagiscono e riconoscono: «Per noi è più dura e discriminante». E ancora prima dei veleni sono i numeri a fotografare la difficoltà delle docenti a rompere il soffitto di cristallo in università.

La segregazione è verticale: tante donne nelle aule e nei laboratori, alla base della piramide, pochissime ai vertici.

Le studentesse e le laureate sono più numerose e brave. Le iscritte ai master superano i maschi. Le studiose con un assegno di ricerca eguagliano di fatto i colleghi, le ricercatrici se la giocano ancora quasi alla pari.

Ma al primo salto in cattedra il divario balza agli occhi: le docenti associate sono il 37% e arrivano appena al 22% nel ruolo da ordinario. Le magnifiche?

Basta una mano a contarle. Su 82 rettori, attualmente le donne sono cinque: guidano gli atenei di Cagliari, L’Aquila, della Basilicata, l’Orientale di Napoli e la Bicocca. Dal 2008 al 2017 la presenza delle docenti è in crescita di 2-4 punti percentuali in tutte le aree disciplinari, racconta il Rapporto Anvur, con una più accentuata prevalenza maschile a Fisica, Ingegneria industriale e dell’informazione.

Le ordinarie nell’area umanistica sono il doppio rispetto al complesso, appena il 12% nelle scienze fisiche. La parità di genere, tra gli associati, è raggiunta solo in chimica e biologia, mentre le donne prevalgono tra gli umanisti (51%). L’Italia non è messa peggio di altri Paesi: le afferenti al "grade A", corrispondente all’apice della carriera accademica italiana, in Europa sono il 21 per cento. Abbiamo più docenti ordinarie di Spagna, Francia e Germania. E s’intravede un possibile cambiamento nelle abilitazioni scientifiche.

Nell’ultima tornata di concorsi 2016-2018, gli abilitati uomini e donne si eguagliano per il ruolo di associato (con una prevalenza femminile nelle scienze storiche, filosofiche, pegadogiche e giuridiche) e c’è stato il sorpasso delle donne abilitate da ordinario (62% contro il 59,4%).

«Il dato più sconcertante è la forbice al vertice», commenta Elda Morlicchio, rettrice all’Orientale e coordinatrice dei rettori campani. «Il motivo?

Permane un pregiudizio sull’impegno di una donna, divisa tra lavoro, figli e cure parentali, nell’ambiente scientifico. Io stessa in campagna elettorale ho subìto le battutine sulla rettrice e valutazioni che non vengono fatte nei confronti di un uomo.

Ma sono stata eletta. Il problema, non solo nel mondo universitario, è che una donna deve lavorare più di un uomo per raggiungere lo stesso obiettivo».

Negli atenei qualcosa si è mosso: comitati per le pari opportunità e bilanci di genere. «Usciamo dal fango, il nodo sta nelle condizioni di lavoro: è a 30 anni, nel passaggio a posti da ricercatore strutturato, che le donne si perdono — dice Tullia Gallina Toschi, scienziata e coordinatrice del progetto europeo sulle pari opportunità Plotina — servono più welfare e più possibilità di conciliare vita e carriera». La filosofa Annarita Angelini, che ha aperto a Bologna il primo corso universitario sulla violenza verso le donne, mette in guardia sul non detto: «Rimane forte un regime patriarcale che si combina con una dimensione ancora abbastanza feudale dell’accademia. Quando una donna ambisce a una posizione di rilievo deve vedersela col pregiudizio, viene colpita con l’attribuzione di relazioni di tipo extrascientifico, sessuali o amicali. Cosa che non accade nei confronti degli uomini».