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La piaga della dispersione scolastica

I dati del fenomeno per l'Italia continuano a essere molto gravi. Le scelte compiute dal governo testimoniano un progressivo disimpegno del ministero nel sostenere l'azione di contrasto delle scuole. Ecco in cifre cosa sta accadendo.

23/01/2016
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Rassegna.it

di Gigi Caramia*

La scuola dell'infanzia dimenticata
Autorevoli ricerche scientifiche hanno dimostrato che le persone che hanno usufruito di una buona scuola dell’infanzia hanno esiti migliori sul piano dell’apprendimento, ma anche sul piano lavorativo e sociale. La scuola dell’infanzia rappresenta inoltre il primo strumento per prevenire i fenomeni di dispersione scolastica che si manifestano nei cicli successivi. Nel nostro paese la frequenza delle bambini e delle bambine della scuola dell’infanzia è molto alta (vedi tabella 1).

Vi sarebbero tutte le condizioni per un piano pluriennale finalizzato a generalizzare la scuola dell’infanzia: la legge 107/15 non solo non prevede interventi in questa direzione, ma ha persino escluso la scuola dell’infanzia dal potenziamento dell’organico con motivi pretestuosi che impediscono il riconoscimento dovuto a questo segmento di istruzione.

L’attacco all’obbligo di istruzione
Sono passati oltre cinquant'anni dalla nascita della scuola media unificata nata anche per "abbattere il privilegio di classe nella istruzione obbligatoria che si esprimeva nella bi o tripartizione dopo le cinque classi della scuola elementare" (Tullio De Mauro). La scuola media unificata è stata una dei fattori che maggiormente ha modificato nel profondo la società italiana. La quasi totale scomparsa della dispersione scolastica in questa fascia di età rappresenta uno dei grandi successi dello Stato repubblicano (vedi tabella 2).

Come noto, la dispersione scolastica si annida soprattutto nei primi anni della scuola secondaria superiore. In questo caso i dati ufficiali si riferiscono al 2012 anche se sono stati resi noti a maggio 2015. Nella tabella 3 è indicato il tasso di abbandono alla fine del primo biennio delle scuole secondarie superiori.

A fronte di dati tanto drammatici che si riferiscono, peraltro, solo al fenomeno più grave della dispersione scolastica, l’abbandono scolastico, al quale andrebbero aggiunte ripetenze e bocciature, nella legge 107/15 non si trova una sola indicazione che ponga l’attenzione su quella che l'ex ministro Carrozza ha definito "una tragedia per tutti ed una ferita al futuro dell'Italia”. Anzi in questi ultimi mesi abbiamo assistito ad una prosecuzione dell’attacco, avviato all’epoca della Gelmini, all’obbligo di istruzione introdotto dalla legge finanziaria del 2007. Questa legge ha stabilito che l’istruzione sia impartita per almeno dieci anni, ha elevato l’età per l’accesso al lavoro da quindici a sedici anni, ha previsto che una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l’adempimento dell’obbligo di istruzione debba consentire l’acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore. Successivamente la legge 183/10, ha previsto l’assolvimento dell’obbligo di “anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione” a partire dai 15 anni. Tale disposizione è stata non solo confermata, ma ulteriormente aggravata nei contenuti e nella disciplina normativa, da uno dei decreti applicativi (decreto legislativo 81/15) del cosiddetto Jobs Act. Infatti: non si parla più di studenti, ma di lavoratori, con un impegno composto da ore di formazione presso l'azienda, ore di formazione presso l'istituzione formativa, ore di "lavoro" vero e proprio a completamento dell'orario di lavoro annuale; per formazione interna si intende quella aziendale mentre quella presso l’istituzione formativa (ad esempio una scuola) è definita formazione esterna.

Livelli di istruzione troppo bassi
Gli ultimi dati ufficiali, luglio 2015, forniscono un quadro impietoso anche dei cosiddetti early school leavers (Esl), ossia dei giovani di 18-24 anni con al più la licenza media, che non svolgono attività formative e che non hanno acquisito nemmeno una qualifica professionale (vedi tabella 4).

Anche su questo versante assistiamo ad un’accentuazione di scelte governative che mirano a posizionare la formazione dei giovani fuori dalla scuola, a partire dalle norme sul Jobs Act sull’apprendistato e dalle relative sperimentazioni, per finire ad una acritica esaltazione delle capacità formative delle imprese, basata più su un’opzione di carattere ideologico che su dati di fatto.

Conclusioni
Dal quadro delineato appare evidente come la legge 107/15 disegni una scuola muta rispetto al suo ruolo nella società contemporanea e conflittuale al suo interno per il ritorno a pratiche burocratiche e gerarchiche. Si conferma la completa estraneità di questo governo alle tematiche dell’obbligo di istruzione e dell’assoluta necessità di elevare i livelli di istruzione ulteriormente. Non è un caso che la quasi totalità delle risorse per combattere la dispersione provengano dai Fondi Europei, aggiuntivi rispetto alle politiche ordinarie. Le scelte operate dal governo nella legge 107/15 e nel Jobs Act rappresentano un pesante attacco alla scuola basato su presupposti infondati (la scuola come prima responsabile della disoccupazione giovanile) e arcaici (la scuola come strumento del mercato del lavoro mediante la programmazione dei flussi della manodopera “istruita”). Contro questa deriva la Flc Cgil continuerà il lavoro di protesta e proposta insieme ai lavoratori della scuola, agli studenti, alle famiglie e alle altre organizzazioni sindacali.

Gigi Caramia è sindacalista della FLC CGIL


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