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La pagliacciata del merito e la mistificazione del consenso generale

In questi due mesi di “consultazione”, qualsiasi insegnante un po’ informato ha ben capito che la riforma di Renzi è una presa per i fondelli, nel metodo, nel merito, e nella consistenza del “premio”.

20/11/2014
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La Tecnica della Scuola

Anna Maria Bellesia

Renzi dice che solo una parte minoritaria di professori è contraria alla sua riforma e all'introduzione dei nuovi criteri di merito. È una mistificazione, data in pasto ad una opinione pubblica che non conosce la scuola e neppure se ne interessa granché  (vedi il numero di accessi alla Buona Scuola, di cui lo stesso Renzi non è per niente soddisfatto).

Renzi sa bene che l’opinione pubblica è superficialmente convinta che gli insegnanti siano una corporazione, che lavorino 18 ore alla settimana, che abbiano un sacco di ferie. Il pregiudizio è radicato. Basta buttare un occhio a quello che si scrive e si commenta su certe testate giornalistiche, quelle per intenderci che hanno sempre fatto da grancassa mediatica ad Aprea e Gelmini, la quale non a caso rivendica come “sua” la riforma di Renzi.

I politici hanno sempre fatto leva su questi pregiudizi degli italiani, guadagnando un sacco di popolarità. C’è chi ha costruito campagne elettorali vincenti, come Brunetta, che all’inizio del mandato era in testa ai sondaggi di gradimento grazie alla lotta contro i fannulloni del pubblico impiego.

Renzi, la cui spregiudicatezza è universalmente riconosciuta, punta ad ottenere un consenso facile e scontato facendo passare un messaggio intellettualmente scorretto.

Gli insegnanti non sono contrari ad una seria valutazione di merito. Si sono però sempre opposti a certe pagliacciate che i governanti di turno hanno propinato spacciandole per valorizzazione del merito: dai quizzetti con domande disciplinari a professori con 20 anni di esperienza (Berlinguer), all’improbabile criterio “reputazionale” (Gelmini), ai crediti a punti con mancetta da 60 euro (Renzi-Giannini).

La mistificazione sul “consenso generale” verso la sua riforma è percepita in maniera tanto più odiosa, perché fino ad un anno fa Renzi parlava di ridare “dignità” e “forza sociale” agli insegnanti. Parole e concetti scomparsi nel lessico e nell’azione di governo.

In questi due mesi di “consultazione”, qualsiasi insegnante un po’ informato ha ben capito che la riforma di Renzi è una presa per i fondelli, nel metodo, nel merito, e nella consistenza del “premio”.

Si tratta solo di una ingegnosa redistribuzione degli stessi soldi. Alla fine della sua vita lavorativa (non si può certo chiamarla “carriera”) il povero prof. guadagnerà meno di adesso. Lavorando molti anni in più e diventando poliedrico e flessibilissimo.

La proposta governativa sul merito è una pagliacciata soprattutto nel metodo con cui è stata confezionata. Non c’è una visione di scuola. Quella che possiamo intuire è devastante. Pensiamo ad esempio al “crowdfunding” che oggi va tanto di moda anche nel PD per ottenere i finanziamenti.

Se le intenzioni del governo sulla riforma della scuola e la valutazione dei docenti fossero state serie, l’approccio sarebbe stato serio.

Facciamo un esempio. Nella Provincia Autonoma di Trento sono molto più avanti rispetto all’Italia. Le rilevazioni standard degli apprendimenti le fanno dall’inizio degli anni Novanta. La valutazione della dirigenza scolastica è partita dal 2002. L’autovalutazione delle scuole è praticata da anni. Nel 2006 si sono dati una legge organica sull’Istruzione che prevede la valutazione della qualità del servizio educativo, dei risultati, dell’organizzazione e della gestione; la valutazione interna ed esterna delle scuole, dell'attività degli operatori della scuola, dei livelli di soddisfazione degli studenti e delle famiglie.

L’ultimo aspetto che resta da implementare è la valutazione del personale docente. Sanno bene che è l’aspetto più difficile. Ma ci stanno lavorando da anni e a breve si passerà alla fase attuativa. Il lavoro preliminare è stato poderoso. L'Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa ha svolto delle accurate analisi comparative su altri modelli europei oggetto di recenti processi di rinnovamento. Sono stati esaminati i possibili elementi di trasferibilità, si è ragionato sui nuovi profili e standard differenziati per gli insegnanti, sui modelli di ingresso nella carriera professionale, sul primo inserimento, sui sistemi di formazione in servizio, sulla certificazione dei risultati conseguiti, sulla capitalizzazione dei crediti, sui sistemi di valutazione della prestazione professionale. Tutto questo in un’ottica di insieme e in coerenza con le linee di policy e con gli obiettivi di sviluppo del sistema scolastico locale.

Insomma, nella Provincia Autonoma di Trento sulla valutazione dei docenti c’è a monte un lungo e serio lavoro concretamente finalizzato. Nella Buona Scuola di Renzi-Giannini traspare solo improvvisazione. Non si sa quale ricerca valutativa sia di riferimento al modello confezionato. Sembra proprio che al team di comunicatori, che hanno scritto le 130 paginette di linee guida, siano state date tre semplici consegne: 1) queste sono le risorse disponibili; 2) assumere i precari è una necessità; 3) inventatevi qualche genialata per trovare consenso.