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La mia classe, senza gessi nè abbracci

Viola Ardone

02/09/2020
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La Stampa

La campanella suona, e, fin qui, tutto normale. Sembra il primo giorno di scuola e in qualche modo lo è. Ma è una cosa diversa, nuova, non proprio inaspettata ma nemmeno facile da mettere a fuoco. E allora, per capire meglio, partiamo dal principio e facciamo l'appello. Alunni: presenti. Loro ci sono, o almeno quelli di loro che hanno avuto una valutazione insufficiente in una o più materie al termine dello scorso anno e che sono dunque i primi a varcare i cancelli per iniziare i corsi di recupero. Mascherina in volto, aria un po' smarrita, si ritrovano all'ingresso, accennano una corsetta per salutarsi tra loro con il solito abbraccio ma poi rallentano, attraversati da un pensiero che smorza il loro entusiasmo e li irrigidisce in una posa innaturale anche se ormai diffusa: sollevano l'avambraccio fino a formare un angolo retto e lo fanno cozzare con quello del compagno.

E anche questo è un modo per diventare grandi. Qualcun altro invece sembra aver dimenticato in un attimo tutte le raccomandazioni apprese in questi mesi e dispensa baci e abbracci. E anche questo è un modo per marcare con imprudenza il territorio della loro giovinezza.

Aule: presenti, ma sempre le stesse. Non si sono moltiplicate per incanto, non hanno duplicato la capienza: il nodo di fondo rimane. A parità di metri quadrati il distanziamento resta un gioco di prestigio e ogni istituto ha inventato il suo trucco.

Chi si è affidato ai doppi o tripli turni, chi alla rotazione delle varie sezioni nelle aule più capienti, chi ha deliberato le ore di 50 minuti, chi ha diviso le classi in due metà: una parte sarà in aula e l'altra seguirà da casa, a giorni alterni. Abate e Zacconi della terza C, per dire, avranno poche probabilità di incontrarsi.

Sembrano rimaste identiche, le aule, ma il piccolo ecosistema umano che ciascuna ospita presenterà sostanziali differenze: i banchi monoposto saranno opportunamente distanziati in modo tale che le "rime buccali" restino lontane; le lavagne in ardesia andranno in pensione, niente gessetti né cassino, che

possono essere maneggiati da più alunni; gli zainetti non andranno appoggiati a terra ma appesi alle sedie (meglio leggeri, dunque, per evitare che le facciano collassare all'indietro); vietatissimi i chewing gum, che sistematicamente finivano appiccicati sotto il banco: oltre a essere indecorosi diventano, ora, un potente veicolo di contagio.

E poi, fuori dalle aule: corridoi a doppio senso di marcia segnalati da linea continua come sulla statale, niente intervallo, niente sosta al chioschetto della scuola per la brioche di metà mattinata, niente interrogazioni alla cattedra, niente incursioni in classe durante le lezioni («prof., può uscire De Luigi, è urgente?»), avremo un registro su cui annotare tutti quelli che entrano ed escono dall'aula e orari scaglionati per accedere all'istituto.

Docenti: presenti, quelli che devono tenere le lezioni di recupero o sovrintendere agli esami integrativi per il passaggio da un corso di studi a un altro.

Assenti, ma collegati in piattaforma, quelli che sono stati convocati al primo Collegio docenti dell'anno in streaming per evitare assembramenti laddove la scuola non abbia a disposizione una struttura capace di contenere ottanta, cento (o più) persone debitamente distanziate tra loro. Per alcuni colleghi è stato dunque un primo giorno da casa. Senza respirare l'odore delle aule, senza sentire l'eco dei tacchi sull'impiantito nei corridoi ancora deserti, senza i «buon anno», «fatto buone ferie?», «mare o montagna?» scambiati con i colleghi. Senza le piccole lamentele e le grandi speranze di ogni inizio. Il vero primo giorno, per loro, sarà il secondo.

Esami di riparazione: assenti. Quest'anno non ci sono; c'è il PAI, invece, Piano di Apprendimento Individualizzato, che gli insegnanti hanno predisposto a fine giugno nei casi di valutazioni inferiori alla sufficienza, e che adesso, nel corso di (non molte) ore di lezione dovrebbero colmare quelle lacune che ore e ore di Dad hanno contribuito a scavare nella preparazione dei ragazzi. Niente esami, quindi, niente

scrutini, niente bocciature: promossi lo erano tutti già a fine anno.

Genitori: qualcuno ha accompagnato il figlio in auto, che sui mezzi pubblici meglio evitare. Salutano i ragazzi, sono pieni di dubbi: funzionerà ancora la macchina che, con tante approssimazioni e inesattezze, ha sempre finora mantenuto la promessa di condurre i loro ragazzi da un capo all'altro dell'anno scolastico rendendoli anno dopo anno un po' più competenti e autonomi? Allungano ai figli una confezione di gel disinfettante e qualche mascherina di riserva. Speriamo bene, masticano tra i denti, e si allontanano incerti.

Presidi: presenti. Loro ci sono sempre stati e ci sono anche stamattina. Hanno dovuto gestire una mole enorme di lavoro e destreggiarsi tra scenari plurimi che si sono avvicendati nel giro di poche ore per tutta l'estate: plexiglas sì e poi no, rotelle sì ma forse no, rientro il 14 settembre o meglio dopo le elezioni, test sierologici obbligatori per i docenti ma alla fine discrezionali, termoscanner a scuola o piuttosto a casa. E stamattina, mentre i primi studenti si affacciano nelle aule e si dispongono nei nuovi banchi monoposto, un mezzo sorriso gli spunta sulle facce tirate: dai, che ce la facciamo!

Suono della campanella: presente.

Quando trilla di nuovo, alla fine di questo primo giorno, ragazzi e docenti indossano la mascherina, seguono le linee colorate sul pavimento tenendosi a debita distanza, poi a turno prendono le scale e varcano il portone. E a vederli così lo capisci subito: la nuova scuola è già iniziata, ed è questa la buona notizia. —