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La mezza modernità dell’Italia a scuola

Nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni, solo il 16,1% degli italiani ha una laurea o un’educazione di livello definito «alto», cioè comparabile

20/10/2013
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Corriere della sera

Possibile (parziale) interpretazione della crisi italiana: il salto nella modernità il Paese l’ha fatto solo per un pezzo. Poi l’ha abbandonato. Viene da pensarlo se si guardano le statistiche sulla scolarizzazione e le si confrontano con i partner europei. Ne risulta un quadro drammatico. Nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni, solo il 16,1% degli italiani ha una laurea o un’educazione di livello definito «alto», cioè comparabile (dati e definizioni di Eurostat). La media dell’Europa dei 27 è il 28,8% . La Francia è al 33,4% , la Germania al 28% , la Gran Bretagna al 39,3% . Peggio di noi, non uno dei Paesi della Ue. Nella stessa fascia di età, il 39,5% degli italiani ha un livello di educazione «basso», cioè non ha ottenuto un diploma di scuola secondaria: la media europea è il 23,5% , quella francese il 23,8 , la tedesca il 13,1 e la britannica il 21,4 . Peggio di noi solo Spagna, 41,4% , Malta, 62,8% , Portogallo, 60,4% .
Naturalmente le cose non vanno meglio tra coloro meno giovani, tra i 55 e i 74 anni, che solo in parte hanno beneficiato della scolarizzazione di massa. La percentuale dei laureati è dell’8,6% , superiore solo a quelle maltese (7,1% ) e rumena (7,1% ). La media dei 27 è il 17,6% . La Francia quasi ci doppia (16,7% ) e la Germania (23,8% ) e la Gran Bretagna (27,3% ) non ci vedono nemmeno. Anche in questa fascia di età, la percentuale di italiani con istruzione «bassa» è elevatissima: il 67,5% . Peggio di noi la Spagna, 72,1% , Malta, 85,7% , Portogallo (85,5% ). La media Ue è 42,7% . Partivamo male, da Paese agricolo e poco avvezzo all’università, riservata fino al dopoguerra alle élite . Ci siamo industrializzati, siamo diventati una delle maggiori economie dell’Occidente, ma non siamo lontanamente riusciti a colmare il gap di istruzione con la stragrande maggioranza dei Paesi europei.
Non si tratta di dati statistici di poco conto. Questi numeri danno il segno della difficoltà strutturale, ormai di lungo periodo, che il Paese ha nel rispondere a un’economia globale che chiede di competere attraverso i saperi, le competenze, la ricerca, l’innovazione. Non è che lo studio universitario garantisca qualcosa in sé, che assicuri il successo a un individuo (anche se chi è laureato ha redditi mediamente piuttosto superiori a chi non lo è).È che l’Italia sta del tutto mancando l’adeguamento al mondo di oggi che pretende si punti sulle classiche tre cose: capitale umano, capitale umano, capitale umano.
Sempre l’Eurostat indica che il numero dei cosiddetti dropout , coloro che abbandonano gli studi prima di avere raggiunto un livello medio-alto, è in Italia tra i più elevati. I ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non hanno preso un diploma e che non sono più a scuola e nemmeno seguono programmi di training sono il 14,5% del totale della fascia di età. La media della Ue a 27 è l’11% e risultati peggiori si registrano solo in Spagna, 20,8% , a Malta, 17,6% , e in Romania, 16,7% . La Germania e la Francia sono al 9,8% , la Gran Bretagna è al 12,4% . Sono confronti imbarazzanti da commentare. Raccontano l’inadeguatezza dell’Italia a stare nel mondo moderno. E dicono che uscire da questo abisso sarà un processo lungo e difficile. Ammesso che cominci.
Danilo Taino Statistical Editor

 
 


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