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La laurea non batte la crisi Fuga di iscritti all’Università

Immatricolazioni giù del 5 per cento: in 4 anni persi 26 mila studenti

08/03/2011
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La Stampa

Flavia Amabile

L’ università pubblica italiana è in calo costante. Quella privata invece aumenta. Del 2%, qualche centinaio di studenti, ma aumenta. Nelle pubbliche invece non c’è nulla da fare. Diminuiscono gli iscritti, e pure i laureati. La situazione è meno drammatica al Nord e nelle facoltà scientifiche ma tutte le facoltà perdono iscrizioni (-5% nell’ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4). E’ quello che risulta da due rapporti presentati ieri, realizzati dal Cun (Consiglio universitario nazionale) e dal consorzio Almalaurea. Calano del 5% le immatricolazioni: 3986 nuovi iscritti in meno nel 2010 rispetto al 2009.

Negli ultimi quattro anni il calo è del 9,2% con 26 mila nuovi studenti in meno. Tutto questo nonostante il numero dei diplomati delle scuole superiori sia aumentato dello 0,9% nell'ultimo anno (sono stati 450.150 i diplomati nel 2010, 445.968 nell' anno 2009). Nel 2010 hanno scelto di andare all'università il 62% dei neodiplomati. Erano il 66% nel 2009, il 65% nel 2008 e il 68% nel 2007. in quattro anni i diplomati che si sono iscritti all'università sono calati del 6%.

Tutte le facoltà sono in calo. Quelle scientifiche rispondono meglio: assorbono il 33,5% delle immatricolazioni del 2010, erano il 32,6% nel 2009. Nelle facoltà umanistiche va il 16,8% delle immatricolazioni, nel 2009 erano il 17,1%. Le sociali erano il 37,8% nel 2010, il 38,4% nel 2009. Stabili le lauree sanitarie anche perché il loro ingresso è programmato. Anche nei politecnici gli immatricolati calano del 4,9% (ma rispetto al 2007 aumentano del 5,8%), assorbono nel 2010 il 5,1% delle immatricolazioni totali (nel 2007 era il 4,4%).

Ma non è solo un problema di crisi economica. «Manca una efficace politica di orientamento nelle scuole superiori che sventi il rischio di avere una massa di giovani di serie B rispetto agli altri Paesi», denuncia il presidente del Cun Andrea Lenzi.

E sicuramente gli investimenti in istruzione non sono di aiuto: fra i 28 paesi dell’Ocse, infatti - sottolinea il presidente di Almalaurea, Andrea Cammelli - il finanziamento italiano, pubblico e privato, in istruzione universitaria è più elevato solo di quello della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria.

Eppure la laurea segna ancora la differenza: i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77 contro 66%) e anche la retribuzione è più elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati. Non basta però il titolo di studio per trovare un lavoro, la ricerca è comunque lunga e difficile. E quando si trova le donne risultano penalizzate.

Considerando i laureati del 2009 emerge che la disoccupazione aumenta, seppure in misura inferiore all’anno scorso, fra i triennali: dal 15 al 16% (l’anno precedente l’incremento era stato intorno al 4%). La disoccupazione cresce anche fra i laureati specialistici biennali, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 16 al 18% (nel 2009 l’aumento era stato del 5%). Ma sale pure pure fra gli specialistici a ciclo unico: dal 14 al 16,5%.

E aumenta anche il «lavoro nero». I laureati che lavorano senza contratto, a un anno dalla fine degli studi raddoppiano tra gli specialistici biennali raggiungendo il 7%. Per i laureati di primo livello i «senza contratto» passano dal 3,8 al 6%; gli specialistici a ciclo unico (ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza), che registrano da sempre un valore più elevato, passano dall’8 a quasi l’11%.

 


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