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La laurea ancora conviene in Italia. Ma all’estero paga doppio

Dopo un anno dalla tesi solo uno su due trova lavoro. Ma col tempo il 90 per cento è occupato. Almalaurea: «Spesso la colpa delle difficoltà è del sistema delle imprese». Per la prima volta dal 2008 scende (dello 0,5%) il tasso di disoccupazione

17/04/2015
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

C’è una pozza di sconforto, larga sette anni, in cui si trovano impantanati i giovani: sette generazioni di laureati caduti nei peggiori anni dell’economia italiana. Titolo conseguito tra il 2008 e il 2014, pronti a entrare nel mondo del lavoro, ma rispetto a quelli diventati grandi prima, fanno il doppio della fatica. Qualche segnale positivo inizia a vedersi, ma rimangono difficoltà che condizionano occupazione, retribuzione, carriera. Anche in un orizzonte di medio-lungo termine. I dati dell’ultimo rapporto di Almalaurea, il 17esimo, sulla «Condizione occupazionale dei laureati» italiani, presentato oggi all’Università Bicocca a Milano, dicono che a un anno dalla laurea magistrale, 70 su cento trovano lavoro. Dopo la triennale, 66 su cento. I «magistrali a ciclo unico» (architettura, farmacia, giurisprudenza, medicina, veterinaria), sono invece occupati al 49% a un anno da un titolo che, nella maggior parte dei casi, richiede la prosecuzione degli studi o una formazione non retribuita per poter accedere alla libera professione. Va decisamente meglio dopo cinque anni: l’occupazione, indipendentemente dal tipo di laurea, è prossima al 90%, anche se risulta in calo rispetto al passato.

Il Rapporto

Dal 2008 a oggi - sottolinea il Consorzio cui aderiscono 72 Università italiane dopo aver intervistato 490mila ragazzi a uno, tre e cinque anni dalla fine degli studi - la quota di neolaureati (25-34enni) che cerca impiego senza riuscirci è passata dal 9,5 al 17,7%: dati in costante peggioramento. Per la prima volta, però, si vede un segnale di ripresa: una (quasi impercettibile) contrazione del tasso di disoccupazione per i laureati del 2013, mezzo punto percentuale in meno rispetto a chi ha discusso la tesi nel 2012. Segnale positivo, si legge nell’analisi, soprattutto se letto insieme ai dati Eurostat relativi alla quota di occupati nelle professioni ad elevata specializzazione, passata dal 16,9% del 2012 al 17,4% del 2013 (anche se rimaniamo 7 punti sotto la media europea: 24,2%).

Valorizzare le risorse

«È effetto del mutato scenario macroeconomico», secondo Francesco Ferrante, docente di Economia Politica a Cassino e alla Luiss e componente del comitato scientifico di Almalaurea. Non (ancora) di riforme quali Jobs Act e contratti a tutela crescente. «Piuttosto hanno avuto un’influenza i nuovi orientamenti della Bce e - in parte - il contributo degli 8mila euro agli imprenditori per le nuove assunzioni», dice il professore. Ma se gli effetti della riforma del mercato del lavoro rimangono un’incognita, la certezza sono i «nodi strutturali ancora irrisolti» del Paese. «Un sistema imprenditoriale in cui prevalgono gestione familiare (66%, contro il 36% della Spagna e il 28% della Germania, ndr), basso livello di istruzione degli imprenditori, limitata capacità di innovazione e internazionalizzazione». «Solo un manager su 4 ha una laurea, contro il 54% della media europea e il 68% della Francia: non possiamo meravigliarci se le nostre imprese risultano poco innovative, con scarsa capacità di valutare quanto può servire un laureato e di valorizzare le risorse interne», afferma. E ancora: «Serve una politica industriale che migliori il sistema produttivo. E alle imprese, che accusano l’università di non preparare adeguatamente i ragazzi per il mercato del lavoro, bisogna rispondere che anche il sistema imprenditoriale non svolge come dovrebbe il proprio compito. Potrebbero andare a cercare all’estero bravi laureati, come fanno i tedeschi, se i nostri - come sostengono - non sono all’altezza. Invece l’Italia conosce solo un flusso di mano d’opera qualificata in uscita, non in ingresso».

La laurea, una garanzia

Ma se lo scenario presente e futuro resta estremamente incerto, dice Andrea Cammelli, Fondatore e Direttore di AlmaLaurea, con la laurea si minimizzano i danni. A cavallo della recessione, il differenziale tra il tasso di disoccupazione dei neolaureati e dei neodiplomati è passato da 3,6 a 12,3 punti percentuali, a conferma delle migliori opportunità lavorative dei primi rispetto ai secondi. E le performance restano migliori nel tempo, sia in termini di opportunità occupazionali (75,7% di occupati, tra i primi, contro il 62,6% dei secondi) che retributive (fatto 100 il guadagno dei diplomati, i laureati guadagnano circa il 50% in più).

Stabilità e guadagno

Nel Rapporto si legge anche che aumentano (di poco) le retribuzioni a un anno dalla laurea (1.000 euro netti mensili) e a cinque (1.300) dopo anni di discesa sensibile (ma chi sceglie di lavorare all’estero - l’8% degli occupati a cinque anni - parte da stipendi medi di 2.043 euro). Con il trascorrere del tempo la condizione occupazionale tende a migliorare: a cinque anni la disoccupazione è inferiore al 10%. Cresce la stabilità del lavoro (autonomo o a tempo indeterminato); soprattutto per i laureati delle professioni sanitarie (a cinque anni dalla laurea l’occupazione è significativamente superiore alla media: 97%) e di ingegneria (95%). Seguono i gruppi chimico-farmaceutico e economico-statistico (90%). Al di sotto della media, insegnanti (80%), geo-biologi (79%), laureati in giurisprudenza (77%) e letteratura (75%).

Italia ultima per laureati

Ma l’Italia si trova ancora agli ultimi posti per quota di laureati, sia tra i 55/64enni sia tra i 25/34/enni. Su 100 giovani di età 25-34 anni, i laureati costituiscono solo il 22%; la media europea a 21 Paesi è pari al 37%, la media OCSE è pari al 39%.

Stage e esperienze all’estero

Infine, gli autori del rapporto suggeriscono di inserire nel percorso formativo tirocini e stage, e esperienze di studio all’estero: i primi accrescono del 10% la probabilità di trovare lavoro; le seconde addirittura del 20%


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