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La fine della penna

I nativi digitali la usano sempre meno. Dal 2016 la Finlandia la metterà al bando dalle classi Ma un esperimento italiano rilancia le virtù della scrittura manuale Migliora ricchezza lessicale e capacità di sintesi dei bambini

25/11/2014
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la Repubblica

MARIA NOVELLA DE LUCA IRENE MARIA SCALISE

QUATTRO mesi, per quindici minuti al giorno. Provando a dimenticare tastiere e touch. Lettere maiuscole e lettere minuscole che scorrono sul foglio, intersecando segni e pensieri, simboli ed emozioni. Il tondo della “o”, il gambo della “g”, l’asta della “t”, il manico della “f”. Curve, linee, pieni e vuoti. E a sorpresa quattrocento bambini digitali di otto, nove e dieci anni riscoprono la scrittura in corsivo, e in poco più di cento giorni il loro lessico, punteggiatura e ortografia, migliorano sensibilmente. Così mentre il mondo celebra (o piange) la morte della calligrafia e degli esercizi a penna, mentre addirittura la Finlandia delle scuole più belle del pianeta annuncia, dal 2016, l’addio ad ogni forma di compilazione manuale, un piccolo esperimento italiano rilancia con forza le virtù del corsivo. Ri-alfabetizzazione di bambini e ragazzi che volando dallo stampatello alla tastiera, dicono i più pessimisti, rischiano di non saper più né leggere né scrivere. E di perdere a furia di esercitarsi sui tasti, quell’abilità sottile delle mani che l’uso della penna regala.
È stato un famoso pedagogista italiano, il professor Benedetto Vertecchi, tenacemente convinto del pericolo che la scuola 2.0 cannibalizzi capacità e competenze dei più giovani, ad ideare un singolare progetto che ha coinvolto quasi quattrocento bambini di due scuole romane. «Abbiamo chiesto alle insegnanti di far scrivere ad ogni allievo, per quindici minuti al giorno, brevi testi e pensieri di quattro o cinque righe, utilizzando unicamente il corsivo. È ormai evidente — dice Vertecchi — che alla diminuzione della capacità di scrittura corrisponda una minore coordinazione tra pensiero e azione. Ma anche un peggioramento nell’organizzazione del discorso, un impoverimento del linguaggio e della memoria».
I risultati di questo singolare laboratorio, dal titolo latino “Nulla dies sine linea”, citazione da Plinio il Vecchio, sono stati sorprendenti. «Man mano che i bambini si abituavano ad usare la penna, visto che ormai anche in molte scuole primarie si stanno diffondendo le tastiere, abbiamo visto progressivi miglioramenti. Nell’accuratezza e ricchezza del linguaggio, nella struttura della frase, addirittura nell’ortografia». Segno cioè che nella scrittura corsiva il pensiero corre fluido dalla testa alla mano, a differenza di quanto accade con lo stampatello, che spinge invece al fraseggio sincopato e spezzettato.
Un coraggioso ma solitario tentativo di rieducazione pedagogica quello ideato dal professor Vertecchi, che rischia di venire divorato dalla globalizzazione del sapere in “power point”. Profetizza infatti Paolo Ferri, docente alla Bicocca e grande esperto del rapporto tra culture tecnologiche ed educazione: «Un futuro digitale è inevitabile, anzi siamo in forte ritardo e il nostro sistema scolastico è assolutamente impreparato. Non c’è un linguaggio che deve sovrastare l’altro, il computer e la penna possono convivere, l’importante è evitare ai bambini di essere calati in un contesto schizoide». Mentre cioè a casa e con gli amici, anche i più piccoli vivono una vita da nativi digitali, quali effettivamente sono, in classe si ritrovano d’un colpo in un’altra epoca. «Frequentano aule dove non esiste nulla, neanche il computer, per non parlare di tablet e Lim. E da questa contraddizione spesso nascono gravi problemi di insegnamento ».
Un punto di vista opposto dunque a quello di Vertecchi. Anche Ferri però concorda con la necessità di non perdere l’abilità manuale che la scrittura in corsivo sviluppa. «Paesi come la Finlandia, che puntano oggi soltanto sul digitale, non trascurano per niente la motricità fine, ma la sostituiscono con attività come il disegno, la creta, la musica che purtroppo nelle nostre scuole non sono sviluppate».
Bisogna allora spostarsi in Umbria, a Giove, nella scuola elementare dove insegna il maestro Franco Lorenzoni. Qui il sapere dei bambini si crea in un particolare percorso dove lo studio e l’esperienza della natura e dell’arte, l’abilità di accendere un fuoco e quella di imparare una poesia si fondono insieme. Famoso per aver promosso nel 2012 una petizione, perché fino agli otto anni computer e lavagne digitali restino fuori dalle aule dei più piccoli, Lorenzoni ha di recente raccontato la sua esperienza di maestro nel libro “I bambini pensano grande. Cronaca di un’avventura pedagogica”.
«Il corsivo sviluppa uno straordinario legame tra il pensiero e la mano, oggi i bambini sanno usare le tastiere ma non sanno più allacciarsi le scarpe. Trovo giusto lasciare maggiore libertà anche a chi vuole usare lo stampatello, ma l’importante è far recuperare a questa generazione l’uso delle mani, al di là dei pollici che servono per digitare i messaggi». Arte, natura, laboratori, la matematica, la storia, ma anche veder nascere un vitellino. Per Franco Lorenzoni, nei primi anni la scuola «deve essere un controcanto, preservare, essere anche un po’ anacronistica rispetto alla società: i bambini possono imparare che il sapere non è soltanto dentro il computer, ma dappertutto, nella vita, nell’esperienza...». Ma la scuola non è l’unica “imputata”. I piccoli scrivono sempre di meno non solo per l’abbuffata di pc e tablet che li circondano quanto per la mancanza di esempi. «Sono gli adulti, genitori compresi, a non saper più convivere con la penna — incalza la calligrafa Monica Dengo — non possiamo colpevolizzare soltanto gli insegnanti». A rischio poi c’è anche la memoria: «I contenuti scritti con la propria penna restano assai più impressi nella mente, rispetto a quando si utilizza il computer». E il paradosso, aggiunge Dengo, è che proprio i grandi guru della Silicon Valley se ne guardano bene dall’abbandonare i loro blocchi di appunti e le loro (lussuosissime) penne. «I tavoli dei manager di Microsoft e Google ospitano computer e tablet ma anche tanti fogli e appunti volanti». A riprova di quanto la manualità sottile sia una dote da non far cadere nell’oblio, la calligrafa Dengo ricorda: «Il Giappone dove si mangia con le bacchette, che richiedono abilità e delicatezza, è il paese nel quale i bambini hanno la più elevata capacità di uso della scrittura».

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