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La carica dei seicento'-e gli insegnanti si riprendono la scuola-a cura del Gruppo promotore del Convegno di Ascoli Piceno)

La carica dei seicento' ' -e gli insegnati si riprendono la scuola (a cura del Gruppo promotore del Convegno di Ascoli Piceno) Si è svolto al teatro Ventidio Basso e all'auditorium della ...

27/04/2002
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La carica dei seicento'
' -e gli insegnati si riprendono la scuola

(a cura del Gruppo promotore del Convegno di Ascoli Piceno)

Si è svolto al teatro Ventidio Basso e all'auditorium della Carisap di Ascoli Piceno, nei giorni 22 e 23 aprile 2002, il convegno nazionale sul tema "Le riforme della scuola. I dubbi, le domande, le proposte". Le tre le sessioni di lavoro hanno visto la presenza, oltre che del personale della scuola, anche di numerosi sindaci, amministratori, autorità locali, genitori e rappresentanti degli studenti. Più di seicento ospiti sono stati presenti all'apertura; oltre un migliaio di persone ha seguito complessivamente le diverse fasi dei lavori, con visibile soddisfazione per la qualità degli interventi. Una ventina di relatori si sono alternati nei due giorni del convegno.

L'iniziativa, voluta dall'amministrazione provinciale di Ascoli Piceno, in collaborazione con altri organismi culturali, sindacali, professionali, aveva come obiettivo quello di avviare una prima riflessione sul disegno di legge per la riforma della scuola, attualmente in discussione al Parlamento. La tempestività nell'affrontare tali problemi, che saranno anche oggetto di una forte campagna di sensibilizzazione da parte del Ministero, è stata premiata con una risonanza (non solo locale) molto forte.

Ciò dimostra che se si scelgono forme di comunicazione idonee, non ideologiche, ma orientate all'approfondimento delle questioni, il mondo della scuola risponde seriamente e coglie volentieri l'occasione per manifestare la volontà di partecipare ai processi di cambiamento, volendo innanzitutto capire quali sono le ragioni di fondo alla base delle scelte politiche in atto.

Il futuro della scuola pubblica visto in tutti i suoi segmenti, dall'infanzia alle scuole medie superiori fino all'ingresso del mondo del lavoro, è un bene prezioso, che non possiamo permetterci, come paese, di compromettere. È emerso, in tutti i momenti del dibattito, il desiderio di uno sforzo di sintesi in grado di superare, in nome dell'interesse comune, le antinomie politiche tra maggioranza e opposizione parlamentare, salvaguardando in modo particolare l'esistenza e la prosecuzione delle "buone pratiche" già in atto nella scuola. Da più parti si è auspicata, come avvenuto in altri paesi occidentali che hanno visto l'alternarsi di forze politiche al governo, una maggiore continuità nell'azione di ammodernamento e miglioramento del servizio scolastico, per una difesa comune dei valori conquistati e per la costruzione di progetti di riforma più ampiamente condivisi; infatti, vi sono aspetti fondamentali che caratterizzano il servizio scolastico pubblico che non possono essere messi in discussione ad ogni cambio di legislatura. Si tratta di tradurre le nuove regole del bipolarismo in termini di buon governo: chi vince le elezioni ha sì il diritto di migliorare le leggi rendendole sempre più eque ed efficaci, ma nel rispetto di ciascuna opinione.

Sono state ascoltate con attenzione le voci dei politici locali (assessore regionale delle Marche, sindaco della città, presidente e assessore alla cultura della provincia di Ascoli Piceno), che nell'introduzione sono andati oltre la ritualità dei saluti e dei convenevoli. È da rimarcare che nella stessa giornata in cui è partita la manifestazione, il 22 aprile, ben 11 province di 6 regioni dell'area centro-adriatica (Pesaro, Macerata, Ascoli, Perugia, Terni, Rieti, Bologna, Parma, Modena, Teramo, Foggia') hanno sottoscritto un protocollo di intesa dove si formalizza l'intenzione di assicurarsi reciprocamente un coordinamento tecnico/politico nell'affrontare le problematiche scolastiche, anche alla luce del nuovo ruolo in fatto d'istruzione, attribuito agli enti territoriali sia dal decreto legislativo n. 112/1998, sia soprattutto dalla legge di modifica costituzionale n. 3/2001.

È stato apprezzato lo stile di pacatezza e serenità che ha caratterizzato lo svolgimento delle giornate; anche le voci critiche più esplicite al disegno di legge delega, che pure ci sono state (ad esempio, quelle delle organizzazioni sindacali, appena reduci dal parere negativo del CNPI), sono state formulate senza debordare mai nelle forme e nei toni, mantenendo sempre una linea razionale, argomentativa, e soprattutto motivata. Questo, grazie anche al ruolo dei conduttori del dibattito che hanno sempre saputo spostare la lancetta orientandola verso l'approfondimento delle questioni poste e l'analisi dei problemi reali.

È emersa con forza la volontà di non disperdere l'energia profusa dagli operatori scolastici e i risultati di qualità conseguiti dentro la scuola di oggi nonostante i numerosi e noti limiti: inadeguatezza cronica dei salari, obsolescenza delle attrezzature, difficoltà derivanti dal venir meno dei quadri di certezza nazionali, esigenze diffuse di miglioramento delle condizioni oggettive strutturali.

La sospensione del precedente disegno riformatore, manifestatosi dopo l'insediamento del nuovo governo, e la fase attuale caratterizzata da un complesso passaggio progettuale (stante anche la non completa corrispondenza tra aspetti fondamentali del documento Bertagna e il successivo schema di legge approvato dal Consiglio dei Ministri) motivano le preoccupazioni degli operatori scolastici che spesso percepiscono il proprio futuro professionale come incerto, dominato dall'alternarsi di diverse proposte culturali e disegni di legge.

Molti interventi hanno sdrammatizzato la discussione sulle architetture istituzionali della scuola futura, ponendo al centro della riflessione la centralità dell'implementazione delle riforme che deve avvenire con il concorso di una pluralità di soggetti autonomi e non più in una logica di subordinazione o di esecutività. Il protagonismo delle autonomie potrà certamente assicurare localmente, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, la qualità delle innovazioni, ma dovrà essere garantita da parte dello Stato centrale l'esistenza o permanenza di soglie comuni per tutto il territorio nazionale in modo da prevenire forme di squilibrio tra aree deboli e aree forti.

Molte perplessità sono state espresse sull'anticipo scolastico, che non può avvenire a costo zero, senza modificare le caratteristiche strutturali e le condizioni organizzative dei servizi, ma soprattutto senza un vero progetto culturale. Per la scuola elementare e media inferiore si è rilevato come rischiosa, per l'unitarietà del curricolo in verticale, la scelta di accantonare l'articolazione organizzativa per bienni, presente nella proposta Bertagna. Si sono altresì messe in evidenza tutte le potenzialità della scuola "reale". Si tratta di riconoscere e valorizzare l'esperienza, il sapere condiviso, le competenze disponibili, il lavoro di ricerca, le buone pratiche: e se la riforma fossimo già noi?

Sono state argomentate anche molte perplessità nei confronti del dualismo precoce che verrebbe attuato con la biforcazione tra istruzione e formazione (professionale) fin dai 14 anni; va invece recuperato il diritto all'istruzione e alla cultura di tutti e di ciascun per tutte le età.

La presenza costruttiva dei rappresentanti della Confindustria, in entrambe le giornate, è stata letta come un messaggio di cooperazione reale e di volontà di miglioramento della qualità del nostro sistema formativo.

L'apporto degli studenti, come sempre, ha costituito anche qui un aspetto non solo di vivacità ma anche di qualità. Essi hanno dimostrato la capacità di cogliere i nodi problematici, di analizzarli con molta passione e correttezza, e soprattutto l'intelligenza nella capacità di proposta.

Sono stati inoltre apprezzati i contributi tecnici su ambiti tematici specifici, come il codice deontologico degli insegnanti e lo sviluppo della professionalità, l'ideazione e realizzazione del Programma annuale, la riforma degli organi collegiali e il profilo della dirigenza scolastica, il futuro degli Istituti comprensivi, i rischi connessi con un percorso normativo "delegato" che si teme non possa garantire una diffusa partecipazione e un ampio consenso.

L'ultima sessione di lavoro ha coinvolto soprattutto gli insegnanti. Se è pur vero che le riforme non si possono fare per gli insegnanti, è altrettanto vero che non si possono realizzare senza di essi o semplicemente considerandoli solo come meri esecutori di scelte pensate "altrove".

Gli insegnanti hanno mille ragioni per rivendicare i propri diritti. Troppi silenzi e troppe omissioni ci sono stati in questi ultimi anni: è sembrata diminuire l'autorevolezza della professione. È quello che accade quando ad una categoria di "lavoratori" vengono a mancare la visibilità e la credibilità sociale, oltre che il riconoscimento economico.

I docenti italiani esprimono una capacità di lavoro che va molto al di là di quanto è genericamente percepito dall'opinione pubblica e "riconosciuto" dai poteri pubblici

Se alcuni insegnanti, oggi, mostrano scetticismo è perché si sentono tagliati fuori dai processi decisionali, perché avvertono il pericolo di essere messi in discussione proprio negli aspetti più profondi del proprio lavoro.

Dalla partecipazione al convegno è emerso che, per riaprire il dialogo tra istituzioni politiche e scuola reale, non basterà una semplice consultazione. Occorrono strategie che chiamino tutti i docenti a costruire un progetto condiviso insieme alle altre forze sociali. Solo riflettendo insieme, approfondendo le questioni in tempi più distesi e con strumenti culturali adeguati, si avrà la garanzia di contribuire a migliorare l'esistente anziché ripeterlo improduttivamente.

Per superare l'autoreferenzialità, di cui spesso si è accusati, è necessario mettere in moto continui processi di riflessione, scambi professionali, rapporti con altre realtà ed esperienze che permettono di andare oltre la propria e di guardarsi da lontano.

Per questo i docenti, rivendicando tempestività e correttezza nell'informazione, sono disposti a migliorare tutte le forme partecipative, ma a partire dal riconoscimento e dalla valorizzazione del patrimonio esistente in tutte le realtà scolastiche.

In un territorio come quello di Ascoli Piceno, già fertile in quanto a esperienze professionali di qualità, ma piuttosto carente sul piano della visibilità e della cooperazione, occorrerebbe puntare sullo sviluppo della cultura dell'associazionismo, delle reti e dei centri di risorse. Sarebbe importante riuscire a rendere visibile e fruibile il patrimonio esistente, costruire collegamenti produttivi, sinergie tra scuole, amministrazione e enti locali.

In linea con questi presupposti, l'assessore provinciale alla pubblica istruzione ha già annunciato una serie di iniziative a supporto della scuola nell'ottica di una cultura di integrazione partecipata per approfondire le nuove regole costituzionali e l'intreccio delle nuove responsabilità decentrate.


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