“Da qui alla fine di febbraio sarà entusiasmante confrontarsi con le decine di migliaia di contributi arrivati in risposta alla nostra richiesta di commentare, integrare, contestare le proposte della riforma della “Buona scuola“. Abbiamo bisogno di almeno mille persone in Italia innamorate della scuola per portare in fondo la riforma”. Così Matteo Renzi il 13 dicembre, dopo l’evento (sic!) del Nazareno, per anticipare i dati dell’”ascolto” sul documento extraparlamentare (ma citato persino nella Legge di Stabilità!): la Buona scuola.

Da allora è trascorso quasi un mese. Avevamo sperato che un minimo di saggezza guidasse dichiarazioni e azioni del premier. Il risultato risibile del sondaggio, il pronunciamento contrario di tanti collegi dei docenti, ci avevano fatto immaginare una maggiore cautela e – illusi – una tensione democratica che evidentemente non è proprio nelle corde del premier. Invece eccolo: “Da qui al 28 febbraio scriveremo i testi: il decreto e il disegno di legge”. “Se riparte la scuola, riparte l’Italia. Ci stiamo credendo e investendo”; “Sarà entusiasmante che diventi la più grande riforma dal basso mai fatta in un Paese europeo”. Nonostante, cioè, il no o l’indifferenza che le componenti della scuola – docenti, studenti, personale Ata, genitori, persino i proverbiali e immancabili nonni- hanno tributato alla proposta del Governo, lui va avanti, fidente nel fatto che il tempo è galantuomo; e che forse quegli smemorati degli italiani abbiano dimenticato il flop di un documento scritto in un mese, infarcito di strafalcioni, di ammiccamenti non velati al mondo imprenditoriale, di anglicismi di matrice bancaria; nonostante l’occupazione di ogni spazio istituzionale e persino delle istituzioni scolastiche (in cui si sono tenuti sedicenti dibattiti senza contraddittorio), nonostante il dispendio di fondi pubblici per spot, ricchi premi e cotillon, i numeri dell’ “ascolto” sono stati miseri e le evidenze non entusiasmanti come il giovane rampante di fiorentino avrebbe auspicato.Va avanti alla sua maniera: subissando gli italiani di chiacchiere inconsistenti. In cui trovano spazio le gamme più variegate della sua trita retorica; parole in libertà, senza alcuna prova concreta, per annunciare la “Fase 2”: la campagna di ascolto valutata “dalle istituzioni europee come la più grande mai fatta a livello continentale” (Chi? Quando? In quale contesto?). Poi aggiunge: “Centinaia di migliaia di persone ci hanno detto la loro, ci hanno anche insultato, ci hanno dato suggerimenti, criticato, fatto proposte alternative. Non c’è dubbio che per la prima volta la riforma della scuola anziché farsela in un ufficio con i tecnici del ministero e di Palazzo Chigi, la stanno facendo gli italiani e le italiane”. Centinaia di migliaia di persone: mancano dati concreti di come si siano pronunciati i 207mila (rispetto ad un pubblico potenziale di circa 10 milioni di persone, considerando solo docenti, studenti delle superiori, genitori; 207mila diventati magicamente tali in 2 giorni, dal momento che a due giorni dalla chiusura del sondaggio le risposte erano 65mila) che hanno compilato il questionario sulla Buona Scuola. E poi, se sono arrivati critiche, insulti, suggerimenti, proposte alternative, come farà in un mese e mezzo il Governo a recepire tutta questa messe di informazioni e canalizzarla in dispositivi di legge? Non è malizia pensare che ora più che mai saranno proprio dei tecnici chiusi in uno studio a preparare la riforma.

Dapprima un decreto d’urgenza, l’unico strumento giuridico che consente di attuare la riforma in tempo utile per il prossimo anno scolastico. Il ddl successivo potrebbe servire invece a predisporre un nuovo Testo unico della Scuola (l’ultimo è del 1994). Infine la chiusa visionaria: “Se riparte la scuola, riparte l’Italia. Noi ci stiamo credendo, ci stiamo lavorando e investendo, mettendoci tanti soldi, che sono i soldi degli italiani”. Un’iniezione di fiducia, di dinamismo efficentista, di entusiasmo giovanilista mentre – nel silenzio generale – solo Il Fatto Quotidiano rivelava che proprio alla sua spregiudicata volontà di mantenere il potere ad ogni costo dobbiamo la cancellazione della condanna di Berlusconi per frode fiscale.

Quando questo Paese si sveglierà dallo stato di sconvolgente torpore in cui agonizza da ormai 20 anni sarà davvero troppo tardi. La scuola della Costituzione potrebbe essere cancellata da un fiume di parole e da un colpo di mano autoritario che, mentre dice “ascolto”, concretizza (in un tempo record di un mese e mezzo, indicativo ancora una volta della cura che il Governo riserva a questa istituzione della Repubblica) i diktat di poteri forti, lobby economiche e le più viete espressioni del neoliberismo imperante: diritti diversi, a seconda della nascita; scuole di serie A, B, … Z, a seconda del potere economico e culturale delle utenze; invalsizzazione degli apprendimenti degli studenti; dirigenti decisori unici di carriere e destini professionali dei docenti; scuole azienda, per formare lavoratori efficienti, asserviti allo sponsor esterno, e non menti critiche; scuola pubblica che si compone e pone sullo stesso piano scuola statale e scuola paritaria; e molto altro ancora.

Il messaggio per la riapertura delle scuole dopo la pausa natalizia ripiomba il mondo dell’istruzione in un incubo addirittura peggiore di quello che si poteva immaginare. La corsa del delfino di Berlusconi, però, dovrà comunque fare i conti con quella parte del mondo della scuola e della società civile non anestetizzata dall’oppio della velocità, dal fascino del giovane condottiero, dalla prorompente ed esuberante arroganza guascona dello sdoganatore del papi di Arcore.

Proviamo a svegliarci dalla seduzione della velocità. Dal primo manifesto del Futurismo è passato molto più di un secolo; e Marinetti prometteva retoricamente di “distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie”; Renzi minaccia concretamente di distruggere la scuola statale e quel poco di democrazia rimasta in questo Paese.