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L'Unità-"Il governo è rimasto solo"

04.2002 "Il governo è rimasto solo" di P.Bersani ROMA"Il successo ce lo aspettavamo e c'è stato. Possiamo attribuirlo alla convergenza, all'unità, alla compattezza del sindacato. Bisogna met...

17/04/2002
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l'Unità

04.2002
"Il governo è rimasto solo"

di P.Bersani

ROMA"Il successo ce lo aspettavamo e c'è stato. Possiamo attribuirlo alla convergenza, all'unità, alla compattezza del sindacato. Bisogna mettere in luce che non solo Cgil, Cisl e Uil, ma anche altri sindacati hanno aderito. Non c'è la beata solitudine o la vincente solitudine di un'organizzazione sindacale. C'è solo la solitudine del governo". Così Pier Luigi Bersani, responsabile economico dei ds (i parlamentari dei Ds-Ulivo hanno devoluto la diaria a Medici senza frontiere aderendo allo sciopero generale, ndr), fotografa la giornata di ieri. E dai banchi dell'opposizione manda un messaggio al governo. "Che si dimostri forte e sereno così come lo sono stati i lavoratori". In che modo? "Semplicemente dicendo: bene, ho capito, metto da parte un tema che non è centrale - e su questo è d'accordo la stragrande maggioranza, compresi gli imprenditori - e apro un tavolo nel quale il processo di convergenza possa avvenire allargando l'agenda, mettendo sul tavolo sia le proposte del governo, sia quelle delle parti sociali, occupandomi sì di mercato del lavoro, ma non solo di quello. Un governo così sarebbe all'altezza della situazione che si è creata. Con meno di questo la giornata di oggi ci dice che si va ad una situazione davvero complicata". Per non dire alla guerra. Che metterebbe a rischio la ripresa in atto.
Da quello che Berlusconi ha detto a Parma, sembra che i "falchi" non recedano.
"Prima di fare previsioni, noi come opposizione dobbiamo dire una cosa chiara: siamo per la concertazione non solo quando governiamo noi, anche quando governano gli altri. Quindi appoggeremmo con ogni forza un tavolo che fosse in grado di portare buoni accordi per l'economia e per il lavoro. Ci proponiamo noi stessi di portare proposte per quel che riguarda un tema cruciale, cioè dare tutele alla flessibilità, in modo che non significhi precarietà. Le proposte saranno comunque presentate in Parlamento. Siamo interessati a tavoli che, oltre alle questioni del lavoro, affrontino anche il mercato dei prodotti, delle politiche industriali, dei temi delle liberalizzazioni, dell'innovazione tecnologica, dell'internazionalizzazione, temi cioè su cui davvero si gioca lo sviluppo del Paese. Ameremmo insomma poter concorrere ad una discussione in cui fosse rimosso questo macigno e si potesse ragionare di cose serie".
In sostanza siete pronti a collaborare a condizione che sia rimosso l'ostacolo dell'articolo 18?
"Sì, quello è da rimuovere perché è ormai acclarato che questo punto non è il problema. Siamo di fronte ad un emblema scelto dal governo per declamare un nuovo inizio, una svolta epocale, un mutamento del rapporto di forza tra lavoro e impresa, tra governo e sindacati, al di là del merito delle questioni. Io registro che a Parma (al convegno di Confindustria, ndr), c'è stato in alcuni passaggi il viso delle armi, il ribadimento di posizioni radicali, ma nel corpo profondo della platea secondo me è emersa con nettezza la sensazione che questi imprenditori non ritengono che l'articolo 18 sia un caso dirimente".
Eppure lei è stato fischiato.
"Sì, ma più onestamente bisogna dire che c'è stato un fischio e c'è stato un certo numero di applausi di fronte ad una provocazione molto secca ("non si può abolire l'articolo 18 a gente che guadagna 1 milione e 800 mila lire al mese", ndr). In conclusione mi sembra che ci si sia messi in una situazione in cui c'è in gioco la faccia del governo, come ha detto Fini. Ma non si può fermare il mondo per la faccia del governo. Se poi, invece di chiamarlo stralcio, lo si vuol chiamare in un modo che salvi la faccia, noi siamo disponibili".
La proposta che il centro-sinistra sta preparando risponde anche alle richieste di quei lavoratori che non sono tutelati dall'articolo 18?
"Questa proposta vuole ripristinare un dato di realtà: in questo momento gli imprenditori e le imprese hanno il problema di avere in entrata forza lavoro flessibile, non troppo costosa e in grado di professionalizzarsi. Ai giovani serve di avere un percorso tutelato, per previdenza, per sanità ecc.., anche se si passa da un lavoro all'altro. Superata la fase d'ingresso e di professionalizzazione il problema dell'impresa è di fidelizzare il lavoratore, non di mandarlo via. Questa è la verità dei rapporti sociali, mettere in mezzo il tema dell'articolo 18 vuol dire andare sulle nuvole. Inoltre questa nostra proposta, dando una nuova fisiologia ai rapporti di lavoro, favorisce anche l'emersione, a cui non servono misure spot come quelle del governo".
La proposta arriverà in ogni caso, anche se dal governo non giungono segnali nel senso auspicato?
"Ah, noi facciamo il nostro mestiere, il governo farà il suo. A Parma il governo ha detto che vuol fare la Thatcher. Io continuo a pensare che il governo oscilli tra liberismo e populismo, tra la Thatcher e Babbo Natale. Dopo questo sciopero si impone una riflessione, da cui apparirà che per far la Thatcher bisogna poi anche far la guerra. Meglio invece riflettere sul fatto che in Italia confrontandosi con il sindacato si sono fatte riforme importanti. Oggi se ne possono fare altre, questo a prescindere dal colore dei governi".
Se il governo sceglie la guerra, l'opposizione la farà?
"Se la vuole il governo. Chiaro che l'opposizione farà l'opposizione. Aggiungo che è evidente che se non si compone questa vicenda rapidamente dopo lo sciopero andrà in discussione subito la politica dei redditi, si possono aprire questioni di tipo salariale, o altro. Questo è nell'ordine delle cose, e gli imprenditori lo sanno bene. Quindi saranno le cose stesse a fare opposizione ad una linea Thatcheriana. Io insisto: dopo oggi ci dev'essere la riflessione, perché la risposta dei lavoratori è stata molto forte".
Ma in Parlamento la delega va comunque fermata.
"È persino ovvio questo. Il governo ha già dimostrato di poter imporre scelte senza neanche discutere. È in grado di farlo ancora. Ma bisogna stare attenti perché avere 100 voti in più in Parlamento non vuol dire avere nella stessa proporzione la maggioranza nel Paese. Quindi cercheremo di dimostrare con tutta la combattività di cui siamo capaci che quella maggioranza di 100 voti non significa assenza di confronto con l'opposizione".
Questa battaglia ha aperto un fronte molto più vasto di quello che c'era durante le elezioni. Basti pensare a D'Alema che ha guidato il corteo romano con Bertinotti. Il fronte può reggere la prova politica oltre la battaglia sul lavoro?
"Nei cortei di questi giorni si è persino vista molta gente che non ha le stesse idee del sindacato sull'articolo 18, ma che non sopporta che venga preso questo pretesto per dare un colpo al sindacato. Quindi non c'è dubbio che sul fronte sociale si sta determinando una coesione molto ampia. Il problema è: è solo un arco di forze contro? Credo che ora il passo in più è nelle mani della politica. Dobbiamo raccogliere politicamente questa enorme potenzialità per trovare una strada che renda più coeso e ampio il centro-sinistra e che trovi con formazioni come Rifondazione un patto: facciamo assieme comuni battaglie e non facciamo più regali al centro-destra, a cominciare dalle amministrative".
È ipotizzabile che anche questa proposta sulle tutele siano condivise da Rifondazione?
"Non ho dubbi che possano essere interessanti".


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