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L’Unesco: nei Paesi in via di sviluppo un libro di testo ogni 12 bimbi

L’agenzia delle Nazioni Unite: bisogna centralizzare la distribuzione per tagliare i costi. Una migliore distribuzione migliorerebbe il tasso di alfabetizzazione dal 5 al 20%

23/01/2016
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Corriere della sera

Eva Perasso

Ogni bambino dovrebbe avere il suo libro di testo. È il titolo dell'ultimo rapporto Unesco che analizza la diffusione dei testi scolastici tra i piccoli studenti dei Paesi in via di sviluppo, ma è anche un auspicio: secondo l'ente delle Nazioni Unite infatti dalla diffusione dei libri di testo dipende la qualità dello studio nel mondo. Anche in quella parte di globo dove l'educazione è di difficile accesso e non può attingere a grandi capitali che ne sovvenzionino strutture e organizzazione. E oggi, milioni di bambini non hanno la possibilità di studiare sui libri. Argomenta così il direttore del Global Education Monitoring Report di Unesco, Aaron Benavot: «Accanto a un buon insegnante, libri di testo ben architettati in sufficiente quantità sono il modo più efficace per migliorare l'apprendimento degli studenti».

Un libro ogni dodici studenti

 Se questa constatazione sembra semplice per chi abita e studia nei Paesi occidentali, lo è meno nelle aree in via di sviluppo del mondo, come alcuni Paesi dell'Africa sub-sahariana: il Camerun vanta il triste record di un libro di matematica (ma vale lo stesso anche per le materie umanistiche) ogni 12 alunni dei primi anni della scuola primaria. I dati Unesco sugli altri Paesi africani non rincuorano affatto: in Ciad, dove si studia francese a scuola, avere un libro di testo in quella lingua è un lusso concesso solo al 20 per cento degli studenti. La situazione migliora lievemente nel corso degli anni, ma anche nella scuola secondaria molti Paesi soffrono della mancanza di un testo da portare a casa su cui poter studiare e prepararsi. Non va meglio in America: in Paraguay alle elementari solo il 31 per cento degli studenti si può permettere l’acquisto di un libro di matematica. Mentre nelle Filippine questa percentuale sale al 51 per cento. I dati preoccupano anche perché dagli anni Duemila sono peggiorati: questo accade soprattutto in Africa, dove la diffusione dei libri di testo è scesa negli anni, anche laddove si è investito di più per le strutture scolastiche. 

Centralizzare la distribuzione

Per questo, suggerisce il rapporto Unesco, è necessario tenere con i libri un approccio che sia il più vicino possibile a quello sulla salute pubblica, studiando un sistema di distribuzione gratuita che possa far arrivare i testi dalle case editrici e dagli stampatori direttamente nelle mani degli studenti, senza che le famiglie indigenti debbano pagare per accedere all'educazione. Ovvero, occorre cambiare quel che oggi avviene: i governi nazionali di alcuni Paesi (tra questi per esempio Kenya e Namibia) investono meno dell'1 per cento del loro budget per l'istruzione nei libri di testo. Il processo di acquisizione dei materiali didattici è spesso poco chiaro, non vi sono dati sul fabbisogno da parte delle scuole, dunque l'intero sistema soffre di un alto livello di disorganizzazione e di scarsa trasparenza, dice ancora il rapporto Unesco. 

Libri meno cari e aumento della literacy 

Eppure, raccontano ancora i numeri del Global Education Monitoring Report appena pubblicato, una corretta organizzazione della distribuzione contribuirebbe ad abbattere i costi di acquisto dei libri anche di 3 dollari per ogni tomo e solo in Africa questo significherebbe risparmiare 1 miliardo di dollari l'anno. Questo processo potrebbe innescare nuove donazioni da parte di fondi privati e secondo il modello studiato da Unesco si potrebbe rapidamente triplicare il numero di libri di testo disponibili per i bambini di tutto il mondo. Oltretutto, se ogni bambino potesse studiare sul suo libro aumenterebbe la percentuale di «literacy», la capacità di comprendere e analizzare le informazioni materia per materia. Unesco azzarda anche dei numeri: dal 5 per cento odierno di «literacy» di alcune aree in via di sviluppo (come diversi Paesi africani) si potrebbe passare al 20 per cento.