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L'Italia non è un Paese per ragazze. Entro fine anno 1,14 milioni fuori da scuola e lavoro

L’Atlante di Save the Children sull'infanzia a rischio: Covid accelera le diseguaglianze di genere, che cominciano sin dalla prima infanzia

17/11/2020
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L'Huffington Post

Un Paese non “a misura di bambino”, quello che si è trovato ad affrontare l’emergenza Covid-19, ma ancor meno un Paese “a misura di bambine”. Bambine e ragazze che in Italia pagano sulla loro pelle disuguaglianze di genere sistematiche e ben radicate nella nostra società, che si formano già nella prima infanzia, che le lasciano indietro rispetto ai coetanei maschi e che, con la pandemia, sono deflagrate. C’è da rimboccarsi le maniche dopo aver consultato l’Atlante dell’infanzia a rischio “Con gli occhi delle bambine”, diffuso oggi da Save the Children a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Le mappe aprono una finestra sulla condizione dell’infanzia nel nostro Paese, restituendoci una fotografia fatta di povertà minorile e disuguaglianze educative, da nord a sud, e propone un approfondimento sulla condizione di bambine e ragazze in Italia, evidenziando per loro un futuro post pandemia a rischio.

Circa 1 milione e 140 mila ragazze tra i 15 e i 29 anni rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione, rinunciando così ad aspirazioni e a progetti per il proprio futuro. Un limbo in cui già oggi è intrappolata 1 ragazza su 4, con picchi che si avvicinano al 40% in Sicilia e in Calabria, e che vede percentuali più alte per le ragazze anche nei territori più virtuosi, come il Trentino Alto Adige, dove a fronte del 7,7% dei ragazzi, le ragazze Neet sono quasi il doppio (14,6%). Divari di genere che si ripercuotono anche sul fronte occupazionale, con un tasso di mancata occupazione tra le 15-34enni che raggiunge il 33% contro il 27,2% dei giovani maschi, un dato comunque grave.

L’istruzione resta un fattore “protettivo” per il futuro delle ragazze, ma anche le giovani che conseguono la laurea stanno pagando cara la crisi: tra le neolaureate che hanno conseguito il titolo di primo livello nei primi sei mesi del 2019, solo il 62,4% ha trovato lavoro, con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2019, mentre per i laureati maschi – pur penalizzati – il calo è di 8 punti (dal 77,2% al 69,1%), con retribuzioni comunque superiori del 19% rispetto alle neolaureate.

Quest’anno l’Atlante - a cura di Vichi De Marchi, con la collaborazione di Diletta Pistono e Elena Scanu Ballona - è arricchito dal contributo di 7 importanti scrittrici - Viola Ardone, Ritanna Armeni, Susanna Mattiangeli, Rosella Postorino, Carola Susani, Igiaba Scego, Nadia Terranova - da quello del poeta e scrittore per ragazzi Bruno Tognolini, ed è corredato da un inserto sull’editoria per ragazzi al femminile curato da Andersen.

Un Paese, quello fotografato da Save the Children, dove nascono sempre meno bambini e dove la povertà intrappola il loro futuro nelle aree più svantaggiate, nelle periferie educative, privandoli delle opportunità di coltivare passioni, talenti e aspirazioni. 

Già prima della pandemia, nel nostro Paese, 1 milione 137 mila minori (l’11,4% del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Un dato in calo rispetto al 12,6% del 2018, ma che tuttavia rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19, se non saranno messi subito in campo interventi organici per prevenire una crescita esponenziale come quella avvenuta a seguito della crisi economica del 2008, quando la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1% nel 2007). Più di 1 minore su 5 (il 22%) vive in condizioni di povertà relativa, con la Calabria (42,4%) e la Sicilia (40,1%) ai primi posti di questa triste classifica, mentre Trentino Alto Adige (8,3%) e Toscana (9,8%) si rivelano le regioni più virtuose in tal senso.

“Già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo: in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore. Un Paese che aveva già dimostrato di aver messo l’infanzia agli ultimi posti tra le proprie priorità e che di fronte a una sfida sanitaria e socioeconomica come quella che stiamo affrontando, stenta a cambiare strada mettendo i bambini e gli adolescenti al centro delle proprie politiche di rilancio”, denuncia Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia. “Abbiamo una generazione intera da proteggere, una generazione per la quale il futuro si costruisce a partire da oggi. E in questa spinta per la ripartenza, le bambine e le ragazze possono e devono essere un volano di sviluppo. I dati e le analisi tracciano per loro un percorso pervaso di ostacoli, sfide, problemi, ma mostrano allo stesso tempo la loro capacità di resilienza, del loro saper fare di più anche con minori risorse e della loro spinta a proiettarsi verso l’esterno, ad impegnarsi nella vita pubblica. Nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Next Generation Eu che l’Italia sta definendo, c’è la volontà di impegnarsi nel superamento delle diseguaglianze di genere. È fondamentale andare alla radice di queste diseguaglianze, prevedendo investimenti specifici dedicati a liberare talenti e potenzialità dell’universo femminile. Se per uscire dalla crisi il nostro Paese intende davvero scommettere sulle capacità delle donne, questa scommessa dovrà partire dalle bambine, a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati”.

Lo smottamento demografico del Paese

L’Italia sta perdendo il suo capitale umano più importante: i bambini. I dati mostrano un calo dei nuovi nati, confermando come nel nostro Paese sia in atto un continuo smottamento demografico, che procede a passo sempre più spedito: negli ultimi dieci anni abbiamo perso oltre 385 mila minori, che oggi rappresentano il 16% del totale della popolazione mentre l’incidenza degli 0-14enni è la più bassa tra i Paesi dell’Ue (13,2% contro il 20,5% della capofila Irlanda). Sono due province sarde – Oristano e Sud Sardegna – quelle con la percentuale più bassa in Italia di minori sul totale della popolazione (rispettivamente 12,5% e 12,9%), seguite da Ferrara al 13,2%. Sul fronte opposto, tra le province più giovani, troviamo Bolzano al 19%, Napoli al 18,8% e Caserta al 18,5%.

Solo nel 2019 il nostro Paese, con poco più di 420 mila nascite, ha fatto registrare una diminuzione di oltre 19 mila nati rispetto all’anno precedente (-4,5%) e a fine 2020, nell’anno della pandemia, secondo le ultime previsioni dell’Istat potrebbe conoscere una ulteriore riduzione di 12 mila unità, portando le nuove nascite a quota 408 mila a fine anno e a 393 mila nel 2021. A ridurre il brusco calo, solo l’incidenza dei minori con cittadinanza straniera, che oggi sono l’11% del totale, con Prato (28,4%), Piacenza (22,2%), Parma (19,5), Milano (19,2%) e Lodi (18,9%) le province che detengono le percentuali maggiori. Un esercito di bambine e bambini spesso nati e cresciuti in Italia, che reclamano i loro diritti di cittadinanza.

Il rischio di essere lasciati indietro: l’aumento della povertà educativa

L’aumento della povertà educativa come conseguenza della crisi legata al Covid-19 rischia concretamente di tradursi nella perdita di apprendimenti e competenze educative, nell’incremento della dispersione scolastica così come del numero di giovani tagliati fuori da percorsi di studio, di formazione o lavorativi, tutti fenomeni già ben presenti prima dell’arrivo del virus.

Basti pensare alla possibilità di frequentare un asilo nido o un servizio per la prima infanzia, che in Italia resta un privilegio per pochi: nell’anno scolastico 2018/2019 solo il 13,2% dei bambini ha accesso a servizi pubblici offerti dai Comuni, con percentuali che si fermano al 3% per la Calabria, al 4,3% per la Campania e al 6,4% per la Sicilia. Un divario territoriale molto evidente che vede sul lato opposto della graduatoria la provincia autonoma di Trento al 28,4% e l’Emilia Romagna al 27,9%. Ma anche nel percorso di crescita, gli indicatori di povertà educativa confermano una situazione grave già prima dell’emergenza: nel nostro Paese quasi uno studente al 2° anno delle superiori su 4 (24%) non raggiungeva le competenze minime in matematica e in italiano, il 13,5% abbandonava la scuola prima del tempo e più di 1 su 5 (22,2%) andava ad incrementare l’esercito dei NEET, cioè di coloro che non studiano, non lavorano e non investono nella formazione professionale.

Anche al di fuori della scuola, le opportunità di crescita culturale, emozionale, creativa, di svago e di movimento che possono permettere ai bambini e agli adolescenti di sviluppare pienamente la propria personalità sembravano essere molto basse: nel 2018-2019, il 48% dei minori tra i 6 e i 17 anni non leggeva neanche un libro extrascolastico all’anno, circa 2 su 3 non andavano mai a teatro o a visitare un monumento, neanche quando le restrizioni anti-Covid non erano ancora realtà; e più di 1 bambino o adolescente su 5 (22,4%) tra i 3 e i 17 anni non praticava alcuna attività sportiva prima dell’arrivo del Coronavirus.

Diseguaglianze e povertà educativa di genere: una crepa che si forma nella prima infanzia

Gli effetti della pandemia sul futuro dei minori in Italia rischiano di essere ancor più pesanti sulle bambine e sulle ragazze, che già scontano in prima persona un gap con i coetanei maschi che affonda le proprie radici proprio nell’infanzia. Un divario di genere, alimentato da diseguaglianze sistematiche e ampiamente diffuse nel nostro Paese, che non accenna a ridursi, nonostante bambine e ragazze siano più brave dei loro coetanei a scuola, abbiano meno bocciature e abbandoni scolastici, si mostrino più resilienti e cooperative, abbiano competenze maggiori in lettura e in italiano e arrivino a laurearsi molto più dei ragazzi.

Sfogliando le oltre 100 mappe e infografiche dell’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, emerge ad esempio che tra i minori tra i 6 ei 17 anni le bambine e le ragazze leggono più dei maschi (non ha l’abitudine alla lettura il 53,6% dei maschi contro il 41,8% delle ragazze); con percentuali molto alte soprattutto al nord-est (14,1%) e al nord-ovest (10,4%). Ancora, le ragazze hanno performance scolastiche migliori dei coetanei: se, tra i maschi, più di 1 su 4 (26,1%) non raggiunge le competenze sufficienti in matematica e in italiano, questa percentuale si abbassa al 22,1% per le ragazze.

L’istruzione rappresenta il principale fattore protettivo per le giovani all’ingresso nel mondo del lavoro e il fallimento formativo le espone ad un futuro lavorativo irto di difficoltà e di rischi. Una percezione che spinge a studiare fino ad ottenere una laurea un terzo delle giovani, a fronte di solo un quinto dei giovani maschi, uno dei gap più ampi d’Europa: tra le 30-34enni il 34% è laureata, mentre tra i 30-34enni maschi lo è solo il 22%.

Ma impegno, tenacia e dedizione allo studio sembrano non bastare: nonostante i migliori risultati durante il loro percorso, gli ostacoli e gli svantaggi attendono le giovani al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. In generale, infatti, il nostro Paese detiene uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa. Nel 2019, il tasso di occupazione delle giovani laureate tra i 30 e i 34 anni era del 76% contro l’83,4% dei maschi, mentre tra le giovani diplomate senza la laurea le occupate erano solo il 56,7% a fronte dell’80,9% dei coetanei maschi. Senza un diploma di scuola superiore, le occupate sono un esiguo 36,3%, a fronte del 70,7% dei coetanei maschi.

Persino nel mondo accademico, i divari di genere sono ancora forti: basti pensare che nel 2018 le donne rappresentavano il 55,4% degli iscritti ai corsi di laurea, il 57,1% dei laureati, il 50,5% dei dottori di ricerca. Ma pur essendo maggioranza nei percorsi di formazione universitaria, restano delle Cenerentole nella carriera accademica, sin quasi a scomparire ai vertici. Nel 2018, le donne rappresentano il 50,1% degli assegnisti di ricerca, il 46,8% dei ricercatori universitari, il 38,4% dei professori associati, il 23,7% dei professori ordinari. Le donne rettrici, in Italia, sono 7 su 84. Eccolo il famoso “soffitto di cristallo”, “la barriera invisibile che impedisce alle donne di accedere alle posizioni apicali per ostacoli spesso difficili da individuare”.


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