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L’insostenibile educazione alla sostenibilità del Ministro Fioramonti

Il New York Times, il World Economic Forum, la CNN parlano di noi. L’Italia sarà il primo paese al mondo a rendere obbligatoria l’educazione ambientale e alla sostenibilità

26/11/2019
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ROARS

Rossella Latempa

Il New York Times, il World Economic Forum, la CNN parlano di noi. L’Italia sarà il primo paese al mondo a rendere obbligatoria l’educazione ambientale e alla sostenibilità. “Il MIUR ha elaborato un modello innovativo di educazione civica, che prevede che il cittadino responsabile sia un cittadino sostenibile [..] ”, dichiara il Ministro Fioramonti, aggiungendo che molte discipline tradizionali saranno affrontate “in una prospettiva di sviluppo sostenibile”. Di che si tratta? ll riferimento sembra essere la recente legge che istituisce nel primo e secondo ciclo l’insegnamento trasversale di educazione civica. A leggere i contenuti della “nuova educazione civica”, però, l’educazione ambientale  è solo una goccia nel mare magnum tra quelli previsti. 33 ore a curricolo vigente, trasversali a tutte le discipline, con tanto di voto in pagella (attribuito da un coordinatore, che svolgerà il suo lavoro a titolo gratuito) su un elenco disarmante di temi che spaziano dalla Costituzione all’educazione stradale, dalle istituzioni europee alla protezione civile, dalla storia della bandiera al contrasto alle mafie, dalle politiche sulla sicurezza dei dati alla storia dell’inno nazionale. Ecco che  “matematica e fisica insegnate in prospettiva sostenibile” acquistano un senso: una sommaria divulgazione su temi di attualità o argomenti scientifici di ultima generazione. Dalle biomasse ai frattali, dal caos deterministico al bilancio energetico terrestre. Insomma, “brevi cenni sull’Universo”. Si sfuma piano piano  verso quella che i documenti ufficiali chiamano didattica interdisciplinare e collaborativa, ma che nelle effettive condizioni materiali di lavoro quotidiano diventa più realisticamente una divulgazione più o meno generosa e sensata. Il nuovo colloquio dell’esame di Stato – e i corsi di formazione ad esso dedicati – ne sono la prova: dalla Shoah in storia all’elettrificazione in fisica agli OGM in scienze è questione di un attimo. Non si tratta di discutere o negare che il sapere o la conoscenza siano per propria natura interdisciplinari. Qui non si sta parlando  “del sapere”, ma delle premesse  e dei fondamenti di quel “sapere”, che resteranno tanto più avventurosi e sommari quanto più fragile sarà il contesto in cui si lavora. Prima di ogni cosa, su questo il nuovo ministro potrebbe fare una riflessione. La sua proposta innovativa di educazione civico-ambientale-ecologico-costituzionale è poco sostenibile.

Non capita spesso di trovare sui siti internazionali, dal New York Times , alla CNN o  quello del World Economic forum, l’attualità della politica scolastica italiana.

Eppure, già dai primi giorni di novembre, i media internazionali hanno ripreso quella che sembra essere una delle priorità del nostro nuovo ministro dell’Istruzione.

Complici anche i tragici eventi di Venezia (e altri territori) di queste ultime settimane – a rigore fenomeni di dissesto idrogeologico, più che di “disastri naturali”  o effetti del cambiamento climatico – l’enfasi sull’ educazione ambientale e la “sostenibilità” cresce nei discorsi e nelle dichiarazioni politiche.

Ma quale dovrebbe essere “la nuova educazione alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici di cui l’Italia si fa alfiere a livello mondiale” ?

Durante l’ultimo consiglio dei ministri dell’Istruzione dell’Unione europea dell’8 Novembre scorso, il Ministro ha dichiarato che:

il MIUR ha elaborato un modello innovativo di educazione civica, che prevede che il cittadino responsabile sia un cittadino sostenibile [..] Stiamo lavorando a un’impostazione che possa permetterci da gennaio in poi di fare formazione ai docenti [..]”.

Il riferimento sembra dunque essere la recente legge 92 del 2019, che ha istituito, nel primo e secondo ciclo, l’insegnamento trasversale di educazione civica.

La legge ha avuto un iter piuttosto travagliato: alla Camera è stata frutto di ben  17 disegni di legge differenti, tra i quali anche un disegno di legge di iniziativa popolare, mentre al Senato il testo ne ha assorbiti altri 6 (un interessante approfondimento del costituzionalista Saulle Panizza qui). L’approvazione, infine, è stata  bulgara (nessun voto contrario), come riportano le dichiarazioni di voto.  Eppure, l’impianto sollevava fin da subito notevoli perplessità (leggere, in particolare i commenti di Giovanni Carosotti, e di Antonio Brusa), ad esempio:

  1. la necessità di ritagliare dagli attuali curricoli 33 ore trasversali a tutte le discipline: in sostanza una “non materia” spalmata su tutte le altre;
  2. la conseguente mancanza di un docente di riferimento, se non il “coordinatore” (art. 2, c. 5), che dovrà fare sintesi e proporre anche una valutazione finale al consiglio di classe, ovviamente gratis (non è previsto alcun compenso per l’incarico aggiuntivo);
  3. la clausola “costo zero”, uno dei “piccoli difetti della legge”, come dichiarato la viceministra dell’istruzione Anna Ascani in un’intervista a Radio Radicale (vedi video seguente), quando afferma che tutto si farà- appunto -ad orario vigente.

I ragazzi magari dovranno rinunciare a un’ora di storia, di scienze o di matematica per fare educazione civica”, continua la deputata PD.

Non ci sono le risorse.  Gli unici fondi disponibili, infatti, saranno dedicati alla formazione degli insegnanti. Ahinoi, non granché: 4 milioni in totale, che divisi per il numero di insegnanti italiani (circa un milione, compresi i supplenti) fa circa 4 euro a testa.

Su quali temi verterà la (ricca) formazione? È questo, a ben vedere, l’aspetto più paradossale della vicenda.

Brevi cenni sull’Universo

Nell’attesa del decreto contenente le linee guida ministeriali che daranno indicazioni  e definiranno “specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze” e “obiettivi di apprendimento”, un’occhiata all’articolo della legge che dettaglia i contenuti può essere d’aiuto (vedi figura seguente).

“Una declaratoria di numerosi settori scientifico-disciplinari quasi disarmante”[1], è stato osservato. Ben 8 tematiche, alcune delle quali suddivise ulteriormente in sotto-temi. Dalla Costituzione all’educazione stradale, dalle istituzioni europee alla protezione civile, dalla storia della bandiera al contrasto alle mafie.

A questi vanno aggiunti i 17 sotto-obiettivi dell’Agenda 2030 (lettera b) oltre ai dettagli dell’educazione digitale (art. 5):

È proprio in questo repertorio velleitario di “educazioni” che pioveranno formalmente sulle scuole dall’anno prossimo, da “allestire” e valutare con tanto di voto decimale, che le recenti dichiarazioni del Ministro Fioramonti trovano collocazione.

Allora l’espressione “matematica e fisica insegnate in prospettiva sostenibile” possono acquistare un significato: una sommaria divulgazione su temi di attualità o argomenti scientifici di ultima generazione. Questo sarebbe un lodevole intervento di approfondimento e alfabetizzazione scientifica, se svolto come insegnamento aggiuntivo, ma è altra cosa rispetto ad insegnare matematica e fisica.  Qualcosa che – vista ad esempio la generalizzata riduzione delle ore di insegnamento di matematica e fisica nelle scuole secondarie, fatta eccezione per l’indirizzo scientifico, operata dalla riforma Gelmini e mai modificata – si configura come un furto di tempo e di opportunità, ai danni degli studenti e degli insegnantiUna resa all’idea che in fondo la formazione scientifica resti per pochi – quegli studenti che scelgono percorsi dedicati, con un gran numero di ore a disposizione – mentre alla maggioranza basti una comunicazione di carattere generale e sufficientemente aggiornata: dai cenni sul bilancio energetico della terra ai cenni sul caos deterministico, dalle biomasse ai frattali.

Il feticcio dell’interdisciplinarietà

Questo atteggiamento è pericolosamente sostenuto e alimentato da tutta una serie di riforme ed innovazioni che si avvicendano da anni, con coerenza più o meno esplicita, commentate a più riprese. Interventi il cui  culmine è ben evidente nella recente riforma dell’esame di stato, disegnato dalla Buona Scuola, ma confermato prima dal ministero di Bussetti – Conte 1 e  anche dallo stesso ministero Fioramonti del Conte 2; riforma che è stata già oggetto di analisi e dibattito (qui e qui).

Tralasciando i dettagli, ricordiamo solo un punto: il colloquio d’esame, da svolgersi partendo da uno “spunto” offerto da un “materiale” sorteggiato, a partire dal quale lo studente dovrà costruire un percorso pluridisciplinare estemporaneo, basato su personali e qualsivoglia relazioni tra discipline e oggetto del sorteggio.

Sebbene la formula precedente dell’esame di stato (riforma del 1997)  non fosse esente da difetti e la vecchia “tesina”, spesso scopiazzata dagli studenti, non piacesse quasi a nessuno, quello che oggi cambia in modo sostanziale è il baricentro delle azioni.

Se prima era lo studente, sulla base di una scelta autonoma, a svolgere un lavoro di raccordo tra ambiti e tematiche, preliminarmente alla prova d’esame, oggi è la scuola che intende costruire i presupposti per mettere lo studente nelle  condizioni di svolgere estemporaneamente connessioni interdisciplinari, durante la prova d’esame.  La differenza non è di poco conto. E va inserita internamente ad un’analisi più ampia dello “stato delle cose” , tra cui

  • le spinte sempre più evidenti da parte dell’amministrazione e della politica ad adeguarsi a direttive non necessariamente cogenti dal punto di vista normativo, ma rese tali anche dai dispositivi di valutazione e monitoraggio, che impongono un continuo confronto con benchmark territoriali su precisi obiettivi,  ad esempio proprio un’organizzazione curricolare strutturata per competenze, o dati esiti in uscita;
  • spinte che non trovano- d’altra parte – alcuna rielaborazione o dialettica interna alle scuole, vista  la  riorganizzazione sostanzialmente burocratico – gerarchica dei lavoratori e il progressivo svuotamento degli organi collegiali.

Fatto sta, che in tante realtà scolastiche si procede già di buona lena a progettare percorsi multidisciplinari, lavorando per macro-argomenti, anche prima della classe quinta, con la finalità di preparare adeguatamente gli studenti. Fioriscono le pubblicazioni editoriali e online, si organizzano corsi di formazione. Vale la pena guardare alcuni esempi tratti proprio da un webinar online organizzato da De Agostini Scuola che intende fornire suggerimenti sia per gli spunti che per la costruzione dei collegamenti (scaricabile qui):


Ovvero da Auschwitz al superuomo, passando per il filo spinato in fisica e gli OGM. Oppure, un grande classico: dal viandante di Friedrich all’ermo colle, alle derivate (e sempre gli OGM).

Inserire simili mappe nei documenti di classe significa adottare un preciso approccio metodologico. Significa piano piano sfumare verso quella che i documenti ufficiali chiamano didattica interdisciplinare e collaborativa, ma che nelle condizioni materiali di lavoro quotidiano (eterogeneità degli studenti e loro rapporto numerico rispetto al docente, tempi perennemente contingentati da tutta una serie di fattori più o meno modificabili, difficoltà di contesti sociale e familiare, etc.)  diventa realisticamente una divulgazione più o meno generosa e sensata. Una seria collaborazione tra insegnamenti nasce  laddove si dia l’opportunità di compresenze, laddove si lasci il tempo di dialogare e di sperimentare, senza l’ansia dei risultati del modulo didattico;  le sintesi nascono naturalmente da problemi comuni e non si attivano per direttiva.

Non si tratta di discutere o negare che il sapere o la conoscenza siano per propria natura interdisciplinari. Qui non si sta parlando  “del sapere”, ma della formazione alle premesse  e fondamenti di quel “sapere”, che resteranno tanto più avventurosi e sommari quanto più fragile sarà il contesto in cui si lavora.

A ben vedere, si mette in atto una sottile forma di discriminazione, ammantata di riformismo. L’”interdisciplinarietà” su cui saranno formati gli studenti del liceo Tasso in centro a Roma, anche sulla base di collegamenti picareschi come quelli degli schemi mostrati, sarà altra cosa da quella di un istituto di Tor Bella Monaca. Ma quella diventerà l’unica formazione possibile, per gli uni e per gli altri.

Prima di ogni cosa, su questo il nuovo ministro potrebbe fare una riflessione. La sua proposta innovativa di educazione civico-ambientale-ecologico-costituzionale è poco sostenibile.

____________

[1] S. Panizza, “La reintroduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica da parte ella legge 92/2019, con a fondamento la conoscenza della Costituzione. Tra buone intenzioni e false partenze”, Dirittifondamentali.it, Fascicolo 2/2019, pag. 34.


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