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L'Espresso-Qui si privatizza strano

Qui si privatizza strano di Devil Le privatizzazioni della proprietà delle grandi imprese in mano allo Stato o ad enti pubblici sembravano, fino a pochissimo tempo fa,...

10/01/2002
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L'Espresso

Qui si privatizza strano

di Devil
Le privatizzazioni della proprietà delle grandi imprese in mano allo Stato o ad enti pubblici sembravano, fino a pochissimo tempo fa, elemento essenziale e portante del liberismo economico e, più in generale, dell'economia di mercato. E nella religione del mercato si ponevano le confidenti premesse al sicuro sviluppo economico e alla creazione di ricchezza per tutti i cittadini. Non poteva quindi meravigliare che, durante la passata campagna elettorale, il centro-destra puntasse proprio sulle privatizzazioni come parte attraente e indispensabile di un programma di governo ispirato a togliere allo Stato uno spazio asfissiante nell' economia, per riconsegnarlo alla libera iniziativa dei privati. Naturalmente - e correttamente - alla privatizzazione si collegava la liberalizzazione di settore soprattutto per le imprese di utilità pubblica, le public utilities alle cui attività è sovente collegata la situazione di monopolio naturale oltre che lo sviluppo di una rete. Basti pensare all'energia, al gas, alle telecomunicazioni, all'acqua e via di seguito. La privatizzazione, dunque, diventa sinonimo di concorrenza.

La sicurezza di questa ideologia, proposta fideisticamente senza correttivi, è stata pesantemente minata dalla recente crisi energetica californiana nella quale, a totale danno dei consumatori, i prezzi sono andati alle stelle e il potere di mercato nelle mani di imprese dominanti ha costretto lo Stato della California a intervenire con una politica dirigista, che ha causato molte perplessità e dubbi sull'intero progetto di deregolamentazione del settore, avviato nel 1996. La recentissima crisi argentina sembra aggiungere ulteriori tragiche confusioni alla tesi apodittica sulla panacea delle privatizzazioni.

Ma appare ancora più strano ciò che sta avvenendo nel nostro Paese, in queste prime mosse di attuazione del programma di governo. In settori dove la presenza dello Stato, a garanzia e protezione di tutti i cittadini, non dovrebbe essere scartata, ma piuttosto corretta - come nel caso della sanità e della scuola - le direttive sono invece orientate verso la più liberista deregolamentazione a favore dei privati. E questo può, pur mancando i dovuti approfondimenti al riguardo, apparire coerente col quadro del programma di governo. Se i risultati nella sanità e nella scuola dovessero rivelarsi catastrofici, si dirà allora - con discorso democraticamente scorretto, ma ormai usuale - che così avrà voluto la maggioranza degli italiani.

Quello che peraltro appare del tutto singolare, e suona come un fuor d'opera, è l'abbandono, ormai dichiarato autorevolmente, della privatizzazione delle due maggiori public utilities ancora controllate dal Tesoro, cioè Eni ed Enel. Né tantomeno in discussione è il progetto di privatizzazione della Rai, dove l'unico problema sembra, riduttivamente e squallidamente, la sostituzione dei vertici e di molti di coloro che vi stanno sotto. Che dire poi dell'ambiguo atteggiamento sulle Fondazioni bancarie, che sono state riportate definitivamente nel "pubblico" nonostante i ripensamenti sulla loro qualificazione giuridica, mentre l'organizzazione delle stesse separate società di gestione delle partecipazioni nelle banche è articolata nell'ambito del potere della Banca d'Italia (che certamente tutto si può pensare sia, fuorché un organismo di mercato)?

Che dietro il culto del liberismo si annidino, dunque, inquietanti tendenze stataliste? Se si volesse riportare questo comportamento in termini di mercato, perché non ipotizzare che la maggioranza governativa possa addirittura dare la scalata alle strutture dello Stato, considerato e mantenuto in quanto tale come una grande holding, dove le imprese pubbliche sono solo delle società partecipate che si possono facilmente acquisire, perché qui l'opa a cascata fortunatamente non è d'obbligo? Si tratterebbe, in questo caso, di privatizzazione dello Stato e non delle imprese.

Non abbiamo mai creduto che le privatizzazioni debbano essere perseguite selvaggiamente, né che costituiscano la sola ricetta del progresso economico. Ma in democrazia è opportuno che ogni scelta alternativa sia discussa,s anche dalla società civile, e sia comunque ampiamente motivata.

Altrimenti, ogni decisione può sembrare arbitraria e dettata solo dal desiderio di abusare del potere.

10.01.2002