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L’Associazione Luca Coscioni chiama l’Onu in aiuto della ricerca italiana

Fondi al palo (1,3% del Pil contro l’obiettivo europeo del 3%), mani legate sulle staminali (in Italia è vietato produrle ma non importarle). Rapporto sullo Stato della Ricerca italiana dell’Associazione Luca Coscioni

22/02/2019
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Corriere della sera

Francesco Sellari

Scarsità di investimenti, lentezze burocratiche e disposizioni di legge sono elementi che influenzano la possibilità di fare ricerca nel nostro Paese. E questo finisce per incidere su alcuni diritti fondamentali, soprattutto quando si parla di ricerca in campo medico. È quanto denuncia l’Associazione Luca Coscioni che ieri, 20 febbraio, nell’anniversario della morte dell’attivista radicale malato di sclerosi laterale amiotrofica, scomparso nel 2006, ha voluto presentare un proprio dossier per evidenziare le negligenze che incidono sui diritti dei malati.

Rapporto per le Nazioni Unite

Un work in progress aperto alla collaborazione di scienziati e ricercatori che verrà poi inviato alle Nazioni Unite. Nel 2019 l’Italia sarà infatti chiamata dal Consiglio ONU sui diritti umani e dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali a presentare la sua relazione periodica sul rispetto degli obblighi internazionali derivanti dalla ratifica dei maggiori trattati internazionali in materia di diritti umani. Il rapporto fa il punto su norme di legge e finanziamenti in ambiti che vanno dalle tecnologie di riproduzione assistita alla ricerca sulle tecniche di miglioramento genetico delle piante; dagli studi sulle proprietà terapeutiche di alcune sostanze psicotrope (cannabis ma non solo) alle politiche in materia di ricerca sulle malattie rare. E naturalmente la ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Investimenti al palo

Gli investimenti pubblici sono chiaramente il tasto dolente. Con l’1,3% del PIL siamo ben lontani dall’obiettivo europeo del 3%. Qualche termine di paragone? La Germania è al 3, la Svezia al 3,3, la Corea del Sud al 4%. Il nostro paese è al di sotto della media dei paesi dell’OCSE e dell’UE, anche se i ricercatori nostrani producono il 4% dei contributi mondiali. Poche risorse, certo, ma i problemi non si esauriscono qui: «La ricerca in Italia fa i conti con finanziamenti che diminuiscono a ogni cambio di governo, l’assenza di un’Agenzia nazionale che si occupi di ricerca, la preclusione, ad esempio, per le università di partecipare ai bandi per la ricerca sulle malattie rare, riservati agli IRCCS (Istituti di ricovero e clinica a carattere scientifico, ndr). Insomma, spesso fare ricerca in Italia è un percorso a ostacoli», sottolinea Filomena Gallo, segretario Associazione Luca Coscioni.

Quale libertà di ricerca?

Ci sono poi normative contestate da una parte del mondo scientifico perché costituirebbero una limitazione alla libertà di ricerca. E torniamo alla battaglia sulle staminali. Ancora Filomena Gallo: «L’Italia su questo tema è isolata nel mondo ci sono 20 trial clinici con queste cellule. I malati italiani sono esclusi da questi test, e parliamo di malattie come il Parkinson, il diabete, la perdita della vista dovuta alla vecchiaia». «Anche la Corte Costituzionale ha stabilito che è una materia sulla quale il legislatore dovrebbe intervenire. È una limitazione seria e costringe i ricercatori italiani ad acquistare le linee cellulari all’estero», aggiunge Amedeo Santosuosso, Direttore scientifico del Centro di Ricerca Interdipartimentale European centre for law, science and new technologies (ECLT) dell’Università di Pavia e docente di Diritto, scienza, nuove tecnologie presso il medesimo ateneo. «Cominciamo un monitoraggio permanente con l’aiuto di grandi scienziati e giovani ricercatori - conclude Marco Cappato, radicale e tesoriere dell’Associazione - per spiegare cosa c’è che non va nella ricerca italiana, sia dal punto di vista delle proibizioni, sia dal punto di vista della paralisi burocratica che dei fondi».


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