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L’appello dei professori contro i pensionamenti

er gli uni è un modo per far assumere i giovani. E per «svecchiare» il mondo accademico. Per gli altri si tratta di una «rottamazione» che danneggia l’università e il «sistema Paese». Per non parlare del rischio di «ricattabilità» dei docenti.

29/07/2014
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Corriere della sera

Per gli uni è un modo per far assumere i giovani. E per «svecchiare» il mondo accademico. Per gli altri si tratta di una «rottamazione» che danneggia l’università e il «sistema Paese». Per non parlare del rischio di «ricattabilità» dei docenti.
Il nuovo testo di riforma della Pubblica amministrazione dà la possibilità di pensionare «d’ufficio» i dirigenti in possesso dei requisiti contributivi minimi a partire da 62 anni. Una novità che riguarda anche i professori universitari che, a partire dai 65 anni d’età, potrebbero essere — per usare le parole del Consiglio universitario nazionale — «messi in quiescenza».
La decisione, soprattutto in Rete, ha scatenato il dibattito. E polarizzato le discussioni tra favorevoli e contrari. In parallelo arrivano gli appelli pubblici. Come quello — firmato da esponenti di spicco: Remo Bodei ed Eugenio Mazzarella, Roberto Esposito e Maurizio Ferraris — che chiede il passo indietro. «La norma proposta dal governo rischia di essere un altro colpo gravissimo non solo all’università, ma al sistema Paese», scrivono. E «la toppa al pensionamento coatto affidata alla discrezionalità delle amministrazioni rischia di essere peggio del buco, innestando elementi insostenibili di condizionamento e ricattabilità dei “pensionabili”». La lettera si chiude con un invito: «È ora di dire basta a una contrapposizione che mette le generazioni le une contro le altre».
Dice «no» anche il Consiglio universitario nazionale che pochi giorni fa ha chiesto al ministero dell’Istruzione il ritiro dell’emendamento. Diverse le criticità secondo il Cun, a partire dal fatto che la «messa in quiescenza di un significativo numero di docenti» rischia di «danneggiare la qualità della didattica». Poi c’è la questione proprio del ricambio generazionale. Secondo il Cun «l’attuale situazione finanziaria e il blocco del turnover vanificano qualsiasi potenziale effetto che possa favorire l’ingresso di giovani nel sistema».
Ma non manca nemmeno il fronte dei favorevoli. Composto non soltanto da ricercatori e aspiranti docenti, ma anche da professori da anni in cattedra. Molti di loro ammettono che grazie a questa novità potrebbero andare «finalmente» in pensione. E invitano a sfruttare l’occasione per assumere giovani e ricercatori a tempo determinato.
Secondo la legge di stabilità per ritornare al 100% di turnover negli atenei italiani bisognerà aspettare altri quattro anni. Nel 2014 e 2015 il rapporto è fissato al 50%.
L. Ber.